Omelia
Giovedì 21 aprile 2022 nell’ottava di Pasqua
Parrocchia S. Rita, Funerali di don Giovanni Falchi
+ Mariano Crociata
La prima cosa che ci chiede la circostanza, pur essendo essa dolorosa per tutti, è di dare voce al senso di gratitudine al Signore per il dono di don Giovanni, per la sua persona e il suo ministero sacerdotale, per la sua lunga vita e per il bene con cui l’ha ricolmata nei molti servizi pastorali che ha espletato non solo nella nostra diocesi.
Essenziali riferimenti biografici.
Una circostanza, solo apparentemente esteriore, salta subito agli occhi, seguendo il corso della sua vita. Egli ha speso la gran parte della sua vita di prete per la nostra diocesi, pur non essendo stato generato alla fede e al ministero in essa. Il nostro senso di gratitudine pertanto si moltiplica verso chi ha accettato l’invito a lasciare la propria terra e la propria Chiesa per dedicarsi alla nostra. La nostra identità e la nostra vitalità sono il frutto anche di un apporto spirituale e sacramentale come il suo. Non dobbiamo mai dimenticarlo; come non dobbiamo dimenticare la ricchezza di grazia e di testimonianza che in tanti anni egli ha trasmesso con la sua esistenza e con il suo servizio sacerdotale nelle diverse parrocchie alle quali si è dedicato. La pacatezza, il tratto discreto, soprattutto la fedeltà con cui ha servito il popolo cristiano rimarranno nella memoria viva e lunga delle nostre comunità.
Le pagine degli Atti e del vangelo di Luca, che l’ottava di Pasqua oggi ci presenta, suggeriscono di riferire anche a don Giovanni la qualifica più alta che caratterizza gli apostoli e i primi discepoli di Gesù: “di questo voi siete testimoni”. Sì, don Giovanni è stato un testimone di Gesù. Quando parliamo di preti o anche di sacerdozio, il nostro pensiero va spontaneamente alle molte incombenze a cui si dedica chi esercita il ministero, con il rischio di ridurre il tutto a una molteplicità di occupazioni e di attività. Queste, certo, non mancano e fanno parte ordinaria della vita di un prete. Ma a forza di guardare ad esse si corre il rischio di perdere di vista ciò che costituisce il centro vivo e il senso fondamentale del ministero stesso, e cioè l’annuncio della risurrezione, ovvero che Gesù è risorto e vivo. Un prete deve forse innanzitutto essere definito così: un annunciatore e un testimone della risurrezione. Perché è dalla risurrezione che tutto origina. Senza la risurrezione, forse qualcuno avrebbe ricordato Gesù come un uomo saggio ed esemplare, come tanti altri. È la risurrezione che fa capire chi egli era veramente, che cosa ha fatto e che cosa ha detto, e ancora di più chi è ora e per sempre.
Un prete è uno chiamato e dedicato fondamentalmente a questo scopo. Non nel senso di parlare in astratto della risurrezione, ma nel senso di aiutare a incontrare Gesù risorto e vivo. Il prete è uno che ricorda e indica quel che ci ha detto il vangelo: «Gesù in persona stette in mezzo a loro». Aiutare i credenti, piccoli e grandi, a riconoscere Gesù che si presenta e si pone naturalmente al centro: al centro della comunità, al centro della vita, nel cuore delle persone. Questo è il servizio preziosissimo e insostituibile del prete: far incontrare Gesù risorto e vivente come il Tu di una relazione e di un dialogo che, una volta cominciato, non finisce più. Tutto ciò che il prete dice e fa: predicare, celebrare, consolare, incoraggiare, pregare e insegnare a pregare, aiutare nel bisogno e ogni altro compito, ha in Cristo risorto e presente il cuore caldo, la sorgente viva di ogni forma di servizio e di collaborazione.
Credo che don Giovanni non abbia avuto bisogno di cose straordinarie per realizzare tutto ciò, ma lo abbia efficacemente conseguito con il suo stile pacato e l’assiduità della sua dedizione. Mi viene di immaginare quante persone hanno sentito da lui parole e visto compiere gesti, non solo rituali, dai quali hanno imparato a fare proprio ciò che l’apostolo Pietro negli Atti e Gesù stesso nel vangelo chiedono: la conversione, il perdono dei peccati, il cambiamento della vita.
Quando noi sentiamo parole come queste, facciamo presto a soffermarci solo sull’aspetto morale. In realtà l’aspetto morale del cambiamenti nei comportamenti e negli atteggiamenti è l’espressione esteriore di ciò che è avvenuto ben più profondamente, e cioè un cambiamento del cuore per effetto dell’incontro con Gesù e quindi il cambiamento della persona. Le persone che incontriamo in qualche modo sempre ci cambiano un po’; quanto più Gesù risorto! Quando incontro lui, divento un altro, vedo venire fuori il meglio di me, dei mie pensieri e dei miei desideri, della mia volontà di vita e di bene.
Questo, sono convinto, è avvenuto a più riprese nella vita di don Giovanni. E ora avviene in un modo nuovo e del tutto speciale. Cambia tutto adesso per don Giovanni, non tanto – come pensiamo in questi casi – perché tutto finisce (e certo finisce la relazionalità e la presenza fisicamente constatabile); cambia tutto perché adesso egli è entrato in un’altra dimensione, che tuttavia non ci rimane estranea, perché se proviamo solo a coltivare il rapporto di fede con Gesù, allora davvero lo si incontra, come è capitato a san Paolo, il quale è arrivato a dire: «e non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Sono convinto che don Giovanni ha trasmesso questo ideale supremo di comunione e di assimilazione con Cristo, ma prima l’ha vissuto e maturato personalmente, crescendo in una relazione di fede e di amore con Cristo che diventa l’unica ragione di vita per un prete come lui. E ora, in questo suo passaggio ultimo, Gesù risorto gli viene incontro definitivamente per accoglierlo, con il Padre e nell’amore dello Spirito Santo, come servo buono e fedele, e lo invita a prendere parte alla gioia del suo regno eterno.