Omelia
per la morte della mamma di don Enzo Avelli
Terracina, SS. Salvatore, 28 gennaio 2020
+ Mariano Crociata
Siamo radunati nella chiesa parrocchiale nella quale Lucia Cerilli ha coltivato fedelmente in una lunga vita la sua fede, semplice ma profonda, radicata nella sua interiorità, fusa in un grande amore verso la Vergine, la Madonna del Carmine. Siamo qui, sacerdoti, diaconi e fedeli, a dare a lei l’ultimo saluto terreno e ad annunciare la certezza che ci ritroveremo in Cristo risorto nella vita di Dio. Lo diciamo con convinzione nel momento in cui vogliamo esprimere a don Enzo e alla sorella Gianna la nostra vicinanza e la nostra partecipazione.
Lucia era nata a Terracina il 26 dicembre del 1927, da una famiglia modesta. Le sue origini da una madre, Luigia, di ambiente contadino, e da un padre, Angelo, pescatore, ne facevano un esempio di incontro e di fusione tra le due anime di Terracina. Dopo un’infanzia ordinaria, nello stile e nelle condizioni di quei tempi, ha vissuto la dolorosa esperienza della guerra, con lo sfollamento dalla città verso le campagne, con tutto ciò che ha comportato di timore, di dolore e di fame anche. Di Lucia viene ricordata la personalità forte e la saggezza, in un amore e in un servizio alla famiglia senza riserve, che ha sostenuto sempre il cammino dei figli, diventando non solo per loro, ma anche per tanti altri, punto di riferimento per la sua capacità, discreta ma efficace, di accoglienza, di ascolto, di consiglio. La sua fine serena, anche se sofferta, segnata da un senso di gratitudine verso tutti, è un motivo di consolazione per i figli e un esempio per noi.
Ho voluto richiamare queste circostanze perché di fronte alla morte le persone si presentano nella loro verità e la grandezza umana e cristiana si misura in maniera diversa dai criteri solitamente adoperati dal mondo. Non ci rendiamo conto, tante volte, presi come siamo dalla ricerca di visibilità, di riconoscimenti e di ruoli di primo piano, che a svolgere un ruolo decisivo spesso sono le persone meno esposte alla pubblica considerazione, perché il loro lavoro nascosto, o anche la sola presenza riservata e discreta, esercita un’influenza molto più profonda, perché costruisce e custodisce il cuore delle persone e il senso delle relazioni, nutrendo di amore, di fede e dei valori decisivi della vita ogni incontro e ogni attività.
Nel Vangelo abbiamo ascoltato la parola di Gesù sul chicco di grano che, caduto in terra, muore e porta molto frutto. Questa parola è vera innanzitutto per Gesù: è lui che, morendo per noi, ci comunica il frutto della redenzione e della salvezza, il dono della vera vita. Ma egli ci insegna anche che c’è una fecondità misteriosa eppure straordinaria non meno in una vita ordinaria, spesa per gli altri nella famiglia, nel lavoro quotidiano, nell’operosità di un tessuto di relazioni e di attività le più comuni. L’importante è avere coscienza del senso di ciò che facciamo, del motivo che ci spinge ad andare avanti nel cammino di ogni giorno. Non ci rendiamo conto che noi moriamo ogni giorno; qualcosa di noi finisce e non tornerà più. Il punto decisivo è il senso di eternità e di fede che abbiamo dato al giorno di ieri che è passato, alla fatica fatta, alla gioia sperimentata, all’incontro vissuto con spirito di dono e di fraternità. Tutto ciò siamo chiamati a rivivere anche oggi, così che l’accumulo di un giorno dopo l’altro, mentre vede scomparire in maniera irreversibile il passato, vede soprattutto arricchirsi ogni nostro nuovo giorno del desiderio del bene, della presenza di Gesù, della speranza di una vita piena in cui si condensi il senso della gioia e della fatica di ogni giorno.
Dovremmo imparare a vivere con un pizzico di sana spensieratezza lo scorrere ordinario delle nostre giornate, forti come siamo – o almeno dovremmo essere – della certezza che il Signore è sempre con noi e non ci abbandona mai. Niente potrà separarci dal suo amore, ci dice san Paolo. Solo noi possiamo separarci, con la nostra pochezza di fede, con la nostra mancanza di speranza e di amore, soprattutto con il nostro inutile affannarci dietro a mille cose di poco conto o senza senso. Credere vuol dire non perdere mai di vista ciò che veramente conta, ciò che conserva un valore imperituro, di fronte ad ogni situazione e in ogni circostanza. Di fronte alla morte, nel nostro ultimo giorno, tutto ci apparirà nella sua vera consistenza e nel suo valore. Non ci accada di dover constatare che abbiamo perduto tempo ed energie dietro a cose di cui non resta più nulla, mentre abbiamo curato poco o nulla ciò che in quel momento apparirà veramente importante. Credo che l’esempio della nostra sorella Lucia ci dica che si può avere cura di ciò che manda avanti concretamente la nostra vita giorno per giorno, senza perdere di vista, ma anzi coltivando, ciò che vale e dura per sempre: l’amore di Dio, la fedeltà a Cristo, il bene delle persone che ci sono affidate, la cura delle responsabilità che la vita ci chiede.
Preghiamo, allora, che il Signore doni a lei la sua vita per l’eternità, e a noi di prepararla in una vita da credenti ordinata e coerente.