Omelia partenza reliquiario (13/05/2018 – S. Cuore, Latina)

13-05-2018

OMELIA

Domenica 13 maggio 2018, Ascensione

Parrocchia S. Cuore di Gesù

Conclusione della visita del reliquiario della Madonna delle lacrime

+ Mariano Crociata

La partenza del reliquiario della Madonna delle lacrime, a conclusione della sua visita qui alla parrocchia del S. Cuore, invita a chiederci quali frutti ha portato questo segno forte della premura materna di Maria nei nostri confronti, in ciascuno di noi e nella comunità nel suo insieme. Difficile dare una risposta quando si tratta dell’azione interiore dello Spirito e dell’esperienza personale e comunitaria della fede, che consiste soprattutto in un lavorio interiore e richiede tempi non calcolabili di maturazione. Forse, però, la domanda non è posta bene, perché neutrale e descrittiva in un ambito in cui invece non può esserci neutralità ma solo coinvolgimento; la domanda deve essere trasformata in una di tipo operativo: che cosa possiamo e dobbiamo fare perché ciò che è stato seminato in noi, con la preghiera e la riflessione, porti frutti duraturi? Quale impegno ci lascia questa visita?

Una domanda del genere è in profonda sintonia con la festa del giorno, l’Ascensione. In essa celebriamo Gesù, che da risorto entra nella gloria del Padre portando con sé la sua umanità, la sua carne, così che ora la nostra umanità è presso Dio ed Egli, vivente in eterno, può venire in soccorso di quanti gli si aprono. Proprio il suo rendersi presente e il suo venirci in aiuto non ci permettono di rimanere nella parte di spettatori inerti. È per noi la domanda degli Atti degli Apostoli: «perché state a guardare il cielo?». Non serve che ci attardiamo in una religiosità intimistica e consolatoria, perché alla fine non ci lascia nulla di vero e di duraturo. Bisogna che ci lasciamo interpellare dall’esempio degli Apostoli, dei quali, dopo che Gesù fu asceso al cielo, il Vangelo dice: «Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano». L’Ascensione pone una cesura nel corso terreno della vita di Gesù, non nel senso di un trasferimento spaziale bensì nel senso di una trasformazione della sua condizione, perciò chiede un cambiamento e, anzi, una rottura anche alla nostra vita. Come avviene, o dovrebbe avvenire con i giovani, per i quali arriva il momento di uscire di casa, di imparare a prendersi le proprie responsabilità, di metter su casa per conto proprio e costruire la propria vita, così anche per i veri credenti l’Ascensione di Gesù esige una scelta di libertà, personale e comunitaria: quella di camminare da soli con coraggio e decisione.

Adesso il reliquiario parte, per tornare alla sua sede a Siracusa; ma anche noi dovremmo partire, non per spostarci geograficamente, ma per farlo umanamente e spiritualmente: una umanità interiormente in partenza, in movimento, in uscita. Le lacrime di Maria parlano di una madre il cui cuore (e l’immagine da cui sono uscite le lacrime era quella del Cuore di Maria) trepida e gioisce dietro il destino e le vicende dei propri figli: il cuore di una madre non riesce a star fermo, ma vuole come uscire da sé, andar dietro e inseguire i propri figli. Di questo genere è l’uscita, la partenza, la missione che la Madonna delle lacrime ci chiede a conclusione dell’esperienza spirituale di questi giorni. Rassicurati come siamo dell’amore di Maria per noi, della presenza del Signore nella nostra vita, dobbiamo imparare a non preoccuparci tanto di noi stessi, ma di chi ci è affidato, di chi è nella prova e nel dolore, di chi è in pericolo di smarrirsi.

Dobbiamo cominciare con il far diventare il nostro cuore sensibile alle sofferenze altrui. È vero che assistiamo a tanti gesti di solidarietà, soprattutto in occasione di eventi tragici magari amplificati dai mezzi di comunicazione. Senza sminuire nulla, si ha l’impressione che sia facile in tali circostanze accodarsi all’emozione collettiva. Mi sembra però che, tranne appunto in casi del genere, ci sia invece molta indifferenza attorno a noi di fronte a tante altre tragedie vicine e lontane, piccole e grandi, da cui siamo piuttosto infastiditi o, più frequentemente, non toccati e lasciati indifferenti. Il nostro cuore spesso è indurito di fronte al dolore altrui; preferiamo tapparci dentro le pareti delle nostre case e convincerci che il dolore degli altri non ci riguarda e che non possiamo farci niente.

Effettivamente i drammi che si consumano attorno a noi sono troppi e troppo grandi per le nostre risorse e capacità. Ma questo non equivale a essere legittimati a sentirsene estranei. Le lacrime di Maria ci insegnano innanzitutto che dobbiamo diventare più umani. Sono lacrime vere di una madre in pena per i figli amati: sono un segno umano, umanissimo, che ci interpella innanzitutto in tale sua qualità umana. A volte viene il dubbio che stiamo perdendo la nostra umanità. E questo è un pericolo non solo per il nostro essere persone ma anche per il nostro essere credenti e cristiani. Se la nostra fede non ci rende più umani, pensate che serva a qualcosa? Pensate che ci sia una salvezza vagamente spirituale che possa essere raggiunta senza che la nostra umanità non sia stata in qualche modo migliorata proprio dalla fede? O pensiamo che la fede riguardi un mondo diverso da quello in cui conduciamo la nostra vita, quale che sia, con le sue contraddizioni e la sua complessità? Sì, è questione di umanità. Maria è venuta a dirci che diventare disumani equivale a tradire la fede, Cristo Gesù e anche lei, la nostra madre celeste.

Che non stiamo facendo discorsi stravaganti lo conferma S. Paolo, quando scrive: «Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto» (Rm 12,15). In un qualche modo, in questo invito si racchiude l’intera missione cristiana, che consiste nel portare a tutti, e soprattutto a chi è nella prova più grande e nel dolore, i segni e l’espressione della compassione divina e della tenerezza materna di Maria. In fondo, che cosa ci annuncia la fede cristiana se non, come dicevano i Padri, la condiscendenza divina nell’incarnazione del Verbo, l’abbassarsi di Dio fino a mettersi al livello dell’uomo per sollevarlo dalla sua condizione di peccato e di infelicità? E come vuole che noi lo seguiamo se non imitandolo in questa capacità di abbassamento fino a sentire la sofferenza altrui e a farcene carico? E che cosa è stata la lacrimazione di Maria se non un segno che conferma lo stile di Dio di farsi in Gesù prossimo di chi soffre? Una nuova umanità, un modo nuovo di essere umani, una reale possibilità di trasformare le relazioni e perfino la nostra generale condizione sociale consiste proprio in questa ritrovata e riscoperta capacità di reciproca compassione e solidarietà: sentire come proprio il dolore altrui e desiderare ardentemente di alleviarlo come vorremmo che altri alleviasse il nostro. Maria ci ha dato l’esempio, ora ci lascia il suo invito. A noi raccoglierlo e riprendere la strada nella nuova rincuorante direzione.

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