Domenica XII TO B
(Zc 12,10-11; 13,1; Gal 3,26-29; Lc 9,18-24)
Ordinazione diaconale di fra’ Mauro De Angelis
Latina, Parrocchia S. Francesco d’Assisi, 19 giugno 2016
+ Mariano Crociata
Oggi è festa per la comunità parrocchiale di S. Francesco, per la famiglia cappuccina, e anche per la nostra diocesi. L’ordinazione diaconale di fra’ Mauro, infatti, matura sul tronco della vita religiosa francescana, ma si compie in questa comunità e fa entrare i suoi frutti spirituali nel circolo vitale della Chiesa diocesana. Ne ringraziamo vivamente il Signore.
È necessario non trascurare l’importanza che conserva intatta la professione religiosa di fra’ Mauro. Egli è innanzitutto un religioso; la sua vocazione propria è a vivere da consacrato nella fraternità dell’ordine francescano cappuccino. Su questa vocazione propria e originale per il suo cammino personale dinanzi a Dio, peraltro radicata nella vocazione fondamentale alla fede ricevuta con il battesimo, si innesta la vocazione al ministero ordinato, di cui oggi egli riceve il grado del diaconato, nella prospettiva di giungere al grado del presbiterato. Egli sa, dunque, di essere chiamato ad essere ministro ordinato di Cristo e della Chiesa, a cui si è legato con una consacrazione speciale della sua persona nella vita religiosa.
L’ordinazione a diacono che oggi riceve conforma fra’ Mauro a Cristo servo. È questo un punto davvero decisivo. Nella sua sapienza, la Chiesa ha strutturato il sacramento dell’ordine in due gradi, a cui eventualmente segue un terzo, quello che conferisce la pienezza del sacerdozio. Di questi due gradi noi siamo stati abituati a pensare che il più importante è quello del sacerdozio, o meglio del presbiterato, e questo non è affatto errato. Però non si può accedere al presbiterato prima o senza aver ricevuto il diaconato. Più che una gerarchia, tra i due gradi sussiste una stretta connessione che subordina in un certo senso l’uno all’altro, il presbiterato al diaconato. Al punto che si può essere solo diaconi, ma non si può essere preti senza essere già diaconi. Qual è il motivo di tale struttura sacramentale?
Il motivo è che è imprescindibile, sempre e per tutti, il servizio che caratterizza il ministero diaconale, per cui non si può essere preti senza aver imparato ed essersi impegnati a servire, a fare della propria vita un servizio per gli altri nella Chiesa e nella società. Chiunque esercita una responsabilità nella Chiesa non può farlo se non nello spirito del servizio che ha caratterizzato la vita e l’intera attività pubblica di Gesù. Avere autorità nella Chiesa significa avere responsabilità, non esercitare un potere. E responsabilità significa capacità e volontà di rispondere, di farsi carico dei propri impegni e della propria parola e di risponderne di fronte alla comunità. Ma se uno deve avere la capacità e la volontà di rispondere, allora vuol dire che non è lui a porre le domande e a dire la prima parola, ad avanzare le esigenze, a dare l’orientamento e ad assumere la prima decisione. Chi ha autorità nella Chiesa ha un solo potere, quello di rispondere a quanto il Signore, attraverso i fratelli, comanda e chiede. Per questo ci vuole qualcuno che si faccia carico della risposta di tutti, della comunità, per custodirla, animarla e farla crescere con la parola, la grazia e l’amore di Dio.
Il tema del servizio, della diakonia, attraversa tutto il Nuovo Testamento, ma soprattutto esprime la comprensione che esso ha della persona e della vita di Gesù. Egli è il servo per eccellenza, servo di Dio e, per lui, dei fratelli e della Chiesa. In che cosa consiste il servizio che Gesù è venuto a svolgere? Le pagine scritturistiche di questa domenica sembrano proprio scelte per una celebrazione diaconale. Innanzitutto la pagina di Zaccaria, che offre alcune espressioni che la tradizione cristiana ha immediatamente inteso riferite a Gesù, perché è lui quel trafitto sul quale si fissano gli sguardi di quelli che passano di fronte alla scena dolorosa della croce. E della croce parla Gesù stesso quando deve spiegare che cosa significa che lui è veramente il Cristo, il Messia. Quale genere di Messia? Uno solo: quello che patisce la cattura, la condanna, la crocifissione e la morte. Nel linguaggio del Nuovo Testamento questo è il servizio di Gesù: offrire la propria vita in riscatto per tutti. Lo dice Gesù stesso nel Vangelo di Marco: «il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (10,45); lo dice soprattutto nell’ultima cena e lo continuiamo a ripetere ogni volta che celebriamo l’Eucaristia.
Allora, il diacono è il primo imitatore di Gesù, l’esemplare riproduzione del suo modello nell’esperienza della dedizione alla vita dei fratelli da servire offrendo loro la parola, l’Eucaristia, l’amore fraterno. Una dedizione che si spoglia sempre più di se stesso per far crescere il Cristo in sé, e attraverso di sé nella comunità ecclesiale. La presenza del diacono in essa ha anche infatti proprio questo scopo: ricordare e invitare tutti a condurre una vita cristiana improntata, sull’esempio di Gesù, a un servizio fraterno generoso e disinteressato in cui risplenda il primato dell’amore di Dio.
Uno che si prepara al presbiterato rimane diacono solo per qualche tempo, poi l’ordinazione lo fa diventare un prete. Temporaneo, transeunte, come si dice, è però solo il tempo dell’esercizio esclusivo, non il carattere sacramentale conferito. Una volta ordinato diacono, caro fra’ Mauro, rimani diacono per sempre, cioè sei chiamata a svolgere ogni compito e ministero che ti potrà essere affidato come un servizio da svolgere in umiltà e dedizione, come un cammino dietro a Gesù, come Gesù, fin dove arriva e porta Gesù.
È questo il nostro augurio e la nostra preghiera.