OMELIA
Messa del giorno di Natale
- S. Cesareo, Terracina, 25 dicembre 2022
+ Mariano Crociata
La Messa del giorno di Natale sembra spazzare via d’un tratto tutto il clima incantato della notte. Non ci presenta più, infatti, pagine bibliche che narrano di Maria e di Giuseppe, dei pastori e della grotta, di come dunque è avvenuta la nascita di Gesù. Punta dritto invece a fissare l’attenzione sull’identità profonda del bambino di cui stanotte abbiamo osannato la nascita con il coro degli angeli. E questa identità ultima viene indicata con l’espressione “il Verbo”, che significa “la Parola”. Sì, Gesù è la Parola personale di Dio diventata uomo, fatta carne, cioè esistenza umana comune.
In questo momento ci limitiamo a osservare solo un aspetto di questo messaggio biblico, e cioè che la presenza di questo bambino appena nato parla, è eloquente. Attraverso il bambino Gesù Dio ci parla, ci vuole dire qualcosa, qualcosa di sé e qualcosa per noi. Di sé vuole dire che intende rivolgersi a noi, incontrarci, abbracciarci, avvolgerci con il suo amore. Non dovremmo mai dimenticarlo, anche nelle circostanze più difficili della vita: Dio ci vuole bene, al punto da mettersi nelle nostre mani pur di entrare in comunicazione e in comunione con noi. E per noi che cosa dice? Che discorso ci fa questo bambino che non sa ancora parlare?
Direi che ci trasmette tre ispirazioni. La prima riguarda la fragilità. Se Dio si è fatto fragile, e tale rimarrà Gesù sino alla fine della sua vita terrena, allora vuol dire che nemmeno noi dobbiamo avere paura della fragilità, perché essa non può sconfiggere la volontà di comunione e di amore di Dio verso di noi. E se la fragilità non impedisce a Dio di amarci, allora anche noi possiamo vincere con l’amore la nostra e l’altrui fragilità. Anzi la fragilità può diventare la forma, il luogo in cui più potentemente si manifesta la forza di Dio e, grazie a Lui, anche la forza di una persona umana.
La seconda ispirazione che ci suggerisce è l’amabilità. Un bambino non sa fare altro che lasciarsi accudire e attirare a sé l’affetto e la tenerezza di quelli che lo circondano. Egli per primo si apre alla relazione con gli altri dando se stesso come oggetto da amare, perché bisognoso e mendicante amore. Con la sua sola presenza richiama che all’origine della vita e a suo sostegno perenne c’è solo l’amore, che si fa cura e accudimento, accoglienza e disponibilità. Una lezione costante per noi, che impariamo troppo presto ad essere predatori e rapaci nei confronti della vita e degli altri, e sentiamo come un’insopportabile debolezza ricevere e avere bisogno. E invece la vita comincia e finisce con l’avere bisogno, bisogno di amore. Dio si è fatto mendicante di amore per insegnarci l’amore innanzitutto nella forma dell’essere amati. Egli ci ha amati innanzitutto chiedendo amore e lasciandosi amare, come fa un bambino. Non con la pretesa o per rivendicazione, ma come muta richiesta, attesa, disponibilità, accoglienza.
La terza ispirazione che l’identità di Gesù come Parola di Dio ci suggerisce è la fiducia. Un bambino è tutto tranne che capace di fare qualcosa, nemmeno per sé, e perfino di chiedere qualcosa. Un bambino sa solo affidarsi. Si aspetta che a partire da papà e mamma ci sia solo premura e dedizione nei suoi confronti, si apre al mondo della vita considerandolo un mondo accogliente, e ha fiducia che esso sarà sempre accogliente. Un bambino non lo sa, ma questo mondo sa essere crudele e spietato anche nei confronti dei bambini. Non c’è cosa più terribile che fidarsi e fare l’esperienza di essere traditi nella propria fiducia. Il Figlio di Dio si è esposto a questo rischio, si è messo nelle mani degli uomini, come dice la Scrittura. E alla fine è stato tradito, eccome! Ciononostante Dio si è consegnato, con fiducia, e lo ha fatto nascendo uomo in Gesù. Ha sperato di essere accolto e benvoluto, come ogni bambino che nasce si aspetta da chi gli sta accanto. Anche noi dobbiamo imparare a fidarci, anche se è rischioso farlo e sappiamo a che cosa si può andare incontro. Ma senza fiducia non c’è amore, non ci sono buone relazioni, non c’è amicizia, non c’è nulla di umano che possa attecchire e crescere. Gesù bambino ci insegna il rischio della fiducia come via non solo per camminare dietro a lui e andare a Dio, ma anche per umanizzare noi stessi e il mondo attorno a noi.
Raccogliamo allora il messaggio di questo Natale attorno a queste tre parole: fragilità, amabilità, fiducia. Le possiamo fare nostre, nonostante tutto, non perché ne siamo capaci, ma perché con Gesù che si è fatto bambino per noi, pure noi possiamo diventare più umani, con lui e come lui, e proprio per questo imparare anche a vivere da figli di Dio.