OMELIA
Messa del crisma
Latina, Cattedrale, 23 marzo 2016
+ Mariano Crociata
Questa celebrazione potrebbe essere definita la festa del sacerdozio. La messa del crisma ha assunto solo di recente questo significato, raccogliendo in un unico rito la benedizione degli oli e la rinnovazione delle promesse sacerdotali da parte dei presbiteri. Proprio questo accostamento ci fa entrare nel mistero che celebriamo, poiché pone la domanda: di quale sacerdozio stiamo parlando? Voi sapete che il concilio Vaticano II ha rimesso in luce il sacerdozio battesimale o comune di tutti i fedeli, a servizio del quale si pone il sacerdozio ordinato con il suo distinto carattere sacramentale. L’articolazione di sacerdozio battesimale e ministero ordinato ci restituisce il senso compiuto di questa celebrazione.
«Cristo Signore, pontefice assunto di mezzo agli uomini (cf. Eb 5,1-5), – leggiamo al n. 10 della Lumen gentium – fece del nuovo popolo “un regno e sacerdoti per il Dio e il Padre suo” – come abbiamo appena ascoltato nella seconda lettura – (Ap 1,6; cf. 5,9-10). Infatti per la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per offrire, mediante tutte le attività del cristiano, spirituali sacrifici […]. Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo».
Oggi il Signore ci chiama ad assimilare più profondamente il mistero che ci abita, per farne in un crescendo d’amore e di impegno l’anima della nostra vita, in sintonia con l’appello e la grazia che si riversano su di noi con accresciuta liberalità in questo Anno santo della misericordia.
Tutto ciò vale innanzitutto per noi ministri ordinati. Questa celebrazione, e i giorni santi del Triduo pasquale da cui scaturisce, si deve considerare il vero anniversario di ogni ordinazione. Le promesse che adesso rinnoveremo sono oggetto della nostra preghiera e del nostro impegno ogni giorno della nostra vita, e rispondono al dono incommensurabile che ci è stato conferito. La responsabilità e l’autorità che ne derivano sono strumento della guida che Cristo, il vero buon pastore, esercita nei confronti di tutto il popolo, per il quale ha donato la vita riscattandolo con il suo sangue. Siamo perciò strumenti della sua grazia, segni della sua presenza e del suo amore che salva. Facciamoci, pertanto, imitatori degli apostoli, che hanno fedelmente seguito le orme del Maestro e pastore, e accogliamone l’accorato invito. Come quello dell’apostolo Paolo, che definisce se stesso e i suoi collaboratori semplici “servitori” senza pretese (cf. 1Cor 3,5) e ai Corinzi scrive: «Noi non intendiamo fare da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia» (2Cor 1,24); e poi aggiunge: «Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù» (2Cor 4,5). Ancora più esplicito è l’apostolo Pietro nella sua prima lettera: «Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge» (1Pt 5,1-3). Che questa Pasqua e l’Anno santo in corso segnino davvero una riscoperta dello spirito che deve animare l’esistenza del prete e l’esercizio del ministero! Questa è anche la premura e la preoccupazione dei vescovi italiani; torneremo infatti a occuparci della vita e del ministero dei presbiteri nella prossima Assemblea generale di maggio.
Ma la responsabilità nei confronti dei ministri ordinati deve essere anche propria di tutto il popolo cristiano, di voi cari fedeli, convenuti, come sempre, così numerosi a questa celebrazione che consideriamo peculiare realizzazione e manifestazione della Chiesa. Qui oggi rinnoviamo, con la solennità e la completezza che vengono dalla presenza di tutta la comunità diocesana riunita attorno al vescovo, l’esperienza di ogni celebrazione, nella quale non ci sono da un lato attori e dall’altro spettatori. Il ministero del celebrante che presiede non è altro che l’attivazione del sacerdozio del popolo cristiano, interamente celebrante in forza della sua incorporazione a Cristo, sommo sacerdote della nuova alleanza, capo del corpo che in lui si relaziona e si ricongiunge al Padre, in cui termina e si realizza ogni sacerdozio. Essere sacerdoti non vuol dire altro che essere in relazione e in comunione con Dio, ed esercitare il sacerdozio consiste nel mettere in comunicazione e in relazione con Dio. Questo lo compie qualsiasi battezzato, anche se soltanto chi ha ricevuto il sacramento dell’ordine lo assolve con l’efficacia propria dell’agire sacramentale. La stessa mediazione sacramentale, dunque, è a servizio dell’incontro per Cristo, nello Spirito, con il Padre.
La benedizione degli oli assume in questo orizzonte un significato particolare. Gli oli sono segni peculiari dell’agire sacramentale della Chiesa perché, in modo particolare nel caso del crisma, segno dell’unzione dello Spirito del Risorto, esprimono il loro significato e la loro efficacia nei sacramenti caratterizzanti l’essere e l’agire del cristiano. Ciò è particolarmente evidente per il crisma, che viene usato per il battesimo, per la cresima e per l’ordine sacro, cioè appunto in quei sacramenti che conferiscono il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale. Il dono dello Spirito impregna innanzitutto l’anima e il corpo di tutti coloro che sono stati segnati dalla scelta dall’alto e dalla grazia della fede. Perciò l’apostolo Giovanni può arrivare a scrivere nella sua prima lettera: «Ora voi avete ricevuto l’unzione dal Santo, e tutti avete la conoscenza. […] E quanto a voi, l’unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi e non avete bisogno che qualcuno vi istruisca. Ma, come la sua unzione vi insegna ogni cosa ed è veritiera e non mentisce, così voi rimanete in lui come essa vi ha istruito» (1Gv 2,20.27). Abbiamo, dunque, un dono in dotazione che ci supera infinitamente, ma abbiamo la responsabilità di custodirlo e coltivarlo con scrupolosa cura e diligenza.
Il pensiero va, con gioia e trepidazione, ai tanti bambini e ragazzi, ma anche giovani e adulti, che saranno battezzati e cresimati, chiamati a diventare cristiani, i nuovi credenti di oggi e del prossimo domani. Ed è bello considerare, in questo momento, che insieme ad essi la nostra Chiesa conoscerà presto l’esperienza rinnovata dell’ordinazione presbiterale e l’esperienza, questa unica, dell’ordinazione episcopale nella persona dell’arcivescovo eletto don Felice, che salutiamo con affetto di amicizia nella fraternità di ministero.
Il punto di convergenza, e anche di conclusione, della nostra riflessione è il cammino della nostra Chiesa. Che cosa chiede a noi il Signore a questo punto del cammino? La dimensione dell’ascolto, verso cui confluisce in maniera peculiare l’impegno di questi anni, come deve orientarsi? Quale direzione di approfondimento deve prendere? A me sembra che sia la parola della Scrittura odierna a suggerire la risposta. La sua insistenza, con la ripresa evangelica, sull’iniziativa giubilare straordinaria («promulgare l’anno di grazia del Signore», dice Isaia) chiede concretezza di iniziativa e di conversione alla nostra vita di Chiesa. Dobbiamo chiederci: che cosa significano per noi quei gesti di liberazione e di restituzione alla vita che le letture indicano? Dove e chi sono i poveri a cui annunciare la buona notizia, gli oppressi, gli schiavi, i prigionieri da liberare, i ciechi a cui ridare la vista, gli afflitti da consolare, le piaghe da fasciare? «Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti»: così abbiamo sentito da Isaia. Vuole dire che il nostro sacerdozio, battesimale e ministeriale, è a servizio di una vita che si rinnova al cospetto di Dio, di un mondo che cambia per l’avvento del Signore, della sua parola e della sua grazia. Che cosa stiamo facendo a questo scopo?
Ho la sensazione che siamo tutti sotto il peso di una stanchezza, soprattutto spirituale e morale, che papa Francesco non ha esitato a indicare per tutta l’Europa paragonandola ad una donna anziana e stanca. L’immagine evocata assume un significato pungente per i pensieri e le immagini che le recenti stragi terroristiche suscitano. Sentiamo che quanto succede altrove non è poi così remoto ed estraneo; soprattutto avvertiamo che anche dietro questi tragici eventi sta anche una inerzia interiore, una incapacità di articolare giudizi e decisioni conseguenti, rimanendo come paralizzati e inerti su ciò che è giusto pensare e fare.
Per reagire e risvegliare le tante energie sopite dobbiamo dirci: si ricomincia da me; si ricomincia da noi. Se c’è una unzione che ci è stata elargita, allora vuol dire che le risorse le abbiamo, ma le teniamo nascoste, perché impacciati da una quantità di inutile zavorra, in cui si condensano insieme abitudine al peccato e accumulo del superfluo fino a soffocarci. Nella forza dello Spirito dobbiamo riscoprire le cose genuine ed essenziali. E ciò che è essenziale nella nostra vita cristiana e per la vita della Chiesa è far crescere cristiani convinti, motivati e appassionati che arricchiscano comunità reali, cioè segnate da vita fraterna, ascolto assiduo, preghiera e comunione, secondo il modello apostolico della Chiesa delle origini. La proposta che voglio richiamare, di formare gruppi di ascolto della Parola, vuole andare proprio in questa direzione: plasmare cristiani consapevoli e costruire comunità reali di vita fraterna nelle quali l’unzione dello Spirito porti frutti di santità e di umanità rinnovata che fermentino un modo nuovo di vivere anche nella società di tutti, per farla crescere e contribuire a darle ancora un volto umano.