Omelia funerali ved. Randich (18/05/2020 – Cattedrale Latina)

18-05-2020
OMELIA

Funerali di Anna Tribò vedova Randich (Fil 4,4-9; Gv 14,1-14)

Cattedrale di S. Marco, Latina, 18 maggio 2020

+ Mariano Crociata

 

Fa un certo effetto ascoltare come prime parole delle letture bibliche, nel bel mezzo di una celebrazione funebre, queste, peraltro insistenti, della lettera ai Filippesi: “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti”. Non si tratta di una svista, ma di una scelta precisa di chi pur sta vivendo un momento, comunque doloroso, di estremo distacco. Una scelta che riflette il sentire profondo di familiari credenti che riconoscono in questo passaggio supremo l’incontro di Anna Tribò Randich con il Signore. “Il Signore è vicino”, dice ancora san Paolo: vicino a noi, che siamo ancora pellegrini; vicino alla nostra sorella Anna, che oltre il passaggio della morte ora incontra il Signore in quella comunione intima che è la meta del nostro cammino terreno. Per questo l’invito rivolto a noi ad essere lieti vale certo anche per la nostra sorella, che ha aperto gli occhi dello spirito all’eternità e ora può contemplare il Signore quale fonte e pienezza di tutta la gioia. In questa gioia giunge a compimento il suo cammino di vita, di donna forte, di sposa e di madre.

Al cuore di questo sentimento di gioia serena, che scaturisce non da circostanze esteriori ma dalla fede, c’è una certezza: il Signore è con noi e non ci abbandona, nemmeno di fronte alla sfida suprema della morte. Noi siamo sempre nel pensiero del Padre eterno e nel pensiero di Gesù; per questo – come ci dice il Vangelo – non dobbiamo lasciarci turbare da nulla, né avere paura di alcuno, poiché anche se la presenza del Signore a volte non si percepisce sensibilmente, egli non è mai lontano da noi. Quando lo percepiamo lontano, allora vuol dire che egli sta operando per prepararci un posto, sta pensando a noi e si sta dando da fare per noi.

È importante notare come in celebrazioni come questa il messaggio delle pagine della Scrittura è indirizzato a noi più che a chi ci ha lasciato. Perché chi ci lascia ha raggiunto già il Signore, mentre noi rimaniamo ancora in cammino. Perciò dobbiamo regolarci secondo la bella espressione della lettera di Giacomo: “Avvicinatevi a Dio, ed egli si avvicinerà a voi” (4,8). Solo se la nostra libertà si attiva verso Dio, si lascia attirare da Lui, l’iniziativa e la presenza di Dio ci raggiunge e ci conquista dentro e oltre ogni vicissitudine.

Per questo voglio condividere con voi tre sollecitazioni. La prima viene spontaneamente da quanto stiamo celebrando: il saluto della fede ad una donna che ha compiuto un lungo cammino di vita e ora si congeda circondata dai figli, dai nipoti e dai pronipoti. Sgorga spontaneo un senso di gratitudine, in voi familiari innanzitutto: gratitudine per quello che lei è stata e ha fatto, gratitudine per il dono della vita, e perciò gratitudine a Dio fonte di ogni vita e di ogni bene. Questo sentimento e questa volontà di gratitudine non deve mai venire meno, in nessuna circostanza. Noi siamo soprattutto intessuti di bene, e tutto ciò che ha potuto o può oscurare l’orizzonte non potrà mai eguagliare la luce della vita e del bene da cui siamo circondati e intimamente pervasi.

La seconda sollecitazione ce la suggerisce san Paolo: noi che godiamo di questo bene e di questa grazia non possiamo improntare il nostro pensiero e il nostro sentire tutto a nulla di meno di ciò che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, virtuoso, lodevole. Lontano da noi ogni volgarità, rozzezza, malizia, malvagità e cose simili. Dobbiamo cercare di assomigliare a Colui che ci ha fatti per sé e per farci partecipare alla sua vita. Oggi sembra che siano inevitabili trivialità, corruzione e depravazione di pensieri e comportamenti. Non è così. Dobbiamo mostrare di appartenere ad un altro mondo, di avere un altro stile, pur vivendo con i piedi a terra e la testa sulle spalle.

L’ultima sollecitazione ci viene dal Vangelo: Gesù e il Padre sono una cosa sola e Gesù è venuto per la nostra comunione con Lui e con il Padre. È questo il nostro destino definitivo, la nostra speranza e la nostra gioia. Ma il fatto che sia la meta finale non vuol dire che possiamo solo stare ad aspettare, perché quella unione comincia qui e ora, nel nostro modo di vivere. “Chi ha visto me, ha visto il Padre”, dice Gesù. Essere con Lui è la stessa cosa che essere con il Padre, con Dio, perché Egli è “via, verità e vita”. Tutto l’impegno della vita cristiana si racchiude in questo stare uniti a Gesù, ascoltarlo, pensarlo, assecondarlo, entrare sempre più in sintonia con Lui negli atteggiamenti, in parole e pensieri, in gesti e opere. Scrittura, preghiera e sacramenti, comunione ecclesiale, tutto ha solo questo scopo: vivere uniti a Lui. Comincia così in anticipo quella unione piena che è la nostra meta ultima e la nostra gioia.

In questa maniera la nostra celebrazione si apre alla speranza, poiché nel momento del distacco siamo confermati nella certezza che la separazione dalla nostra amata sorella Anna ha un carattere temporaneo non solo per durata ma anche per qualità, poiché nel Signore la comunione è già effettiva, in attesa che si compia definitivamente.

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