Sabato dell’XI settimana TO
(2Cr 24,17-25; Mt 6,24-34)
Celebrazione di chiusura dell’anno sociale del Serra club
Borgo Carso, 18 giugno 2016
+ Mariano Crociata
Siamo qui per ringraziare il Signore alla fine di un anno di attività e per una verifica spirituale del cammino compiuto e della situazione in cui il vostro club e ciascuno di noi si trova. Le nostre celebrazioni non sono mai meramente “celebrative”, cioè fini a se stesse. Ciò che noi celebriamo, come cristiani, realizza un evento, nel quale siamo coinvolti ma il cui protagonista non siamo noi. La celebrazione eucaristica non è mai un tempo di mero consumo; è invece l’accadere di un sovrappiù di realtà, una sua intensificazione. Bisogna esserne consapevoli e saperla accogliere. In questo senso una celebrazione contiene sempre una dimensione penitenziale, conseguente al riconoscimento dell’infinita inadeguatezza al dono che siamo e che abbiamo già ricevuto per essere qui, e al dono che proprio qui e ora si rinnova per noi. E contiene, perciò, una dimensione di incontro, di rinnovamento e di rivivificazione. Sentiamo di averne bisogno, soprattutto in questo tempo di stanchezza, se non di inedia, spirituale. E dichiararne il bisogno e cercarvi una risposta è l’unico modo perché la stanchezza non si tramuti in ignavia.
La vostra responsabilità fa riferimento in modo speciale alla dimensione vocazionale, ancor più accresciuta dalle esigenze poste dalla canonizzazione di p. Junipero Serra, avvenuta meno di un anno fa. Le letture del giorno liturgico ci indirizzano a cogliere le radici di tutto ciò che ultimamente conduce alla negazione di tale dimensione vocazionale. In sintesi potremmo identificare quelle radici nella opzione per l’idolatria, che rappresenta l’alternativa di fronte alla quale ci troviamo rispetto alla opzione per Dio e per la fede in lui.
Il brano del secondo libro delle Cronache ci presenta un periodo oscuro della storia di Israele, lungo il quale veniamo a contatto con un groviglio di rivalità e di violenze nel quale si avvoltola sempre una comunità quando perde il senso della fede in Dio e si lascia ammaliare da idoli che promettono con troppa facilità e senza scrupoli di sorta sicurezza e benessere. Al di là della semplicistica visione contenuta nel libro circa il premio dei buoni e il castigo dei cattivi già nel corso della storia, è chiara la denuncia del disordine in cui cadono i gruppi umani che si votano a idoli che sono soltanto l’espressione e la proiezione dei propri desideri e dell’illusione di un facile appagamento dei propri bisogni, se non dei propri istinti.
Il Vangelo pone ancora più chiaramente di fronte a tale drastica alternativa, indicando più precisamente nella ricchezza il termine di una diffusa e comune concentrazione della idolatria o almeno una delle sue molle più forti. La parola di Gesù non si limita a condannare, ma invita a riflettere, a osservare con sguardo di saggezza la realtà. Intende far capire che la servitù idolatrica nei confronti della ricchezza è effetto di una distorsione di ottica e di giudizio, indotta ancora una volta dalla illusione di un facile conseguimento di condizioni di sicurezza e di benessere. Sono illuminanti le domande che Gesù pone: «la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?»; «Non valete voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?»; «Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?». Con queste parole Gesù invita semplicemente al buon senso di un giudizio che sa valutare la realtà e coglierne la verità e l’ordine. Di fatto l’idolatria è ultimamente l’alterazione dell’ordine della realtà, conferendo a una parte di essa una importanza infinitamente maggiore di quella che effettivamente possiede. Tale è il caso del denaro; ma dietro e oltre il denaro tante altre cose possono assumere un ruolo analogo. La ricchezza ha la sua importanza ma non è tutto, non ha quel potere divino che l’idolatria le attribuisce. E non bisogna andare lontano per rendersene conto, se consideriamo gli effetti globali di una crisi finanziaria ed economica che dura ormai da diversi anni gettando nella miseria e nella disperazione fasce sociali, intere nuove generazioni e popoli interi. E ciò che vale per grandezze macroeconomiche e macrosociali si sperimenta poi anche nella vita delle famiglie e dei singoli.
Ciò che noi dobbiamo concludere, però, prima che di ordine morale, presenta un rilievo spirituale. La perdita di un sano giudizio sull’ordine della realtà e del senso dell’unicità e della trascendenza di Dio è destinata a produrre una dissoluzione anche dell’orientamento dell’esistenza nelle sue scelte fondamentali e nei suoi fini ultimi. Se la ricerca della sicurezza e del benessere assume un valore assoluto, non c’è senso vocazionale dell’esistenza che possa essere percepito e perseguito. Il problema qui non è solo religioso, poiché in tal caso per tutti l’orizzonte del futuro si restringe al conseguimento di un materiale e consumistico vivere bene finché le condizioni fisiche e materiali lo consentono, senza lasciare spazio per prospettive ulteriori o di altro genere. Ma questa è una morte spirituale che uccide non solo Dio e la religione, ma anche la vita umana nelle sue relazioni fondamentali e nella sua apertura e destinazione a una pienezza che travalica i confini dell’esistenza umana, troppo angusti per quegli spazi infiniti verso i quali lo spirito umano si sente e sa di essere proteso.
Il vostro compito associativo e il nostro impegno personale devono allora essere rivolti a coltivare il senso di Dio e del suo primato in noi e attorno a noi, riscoprendone il significato umano e culturale unitamente a quello più propriamente spirituale cristiano.