OMELIA
Venerdì 2 dicembre 2016 (Is 29,17-24; Mt 9,27-31)
Roma, Augustinianum, Convegno FIDAE
+ Mariano Crociata
Per troppo tempo la fede è stata considerata soprattutto o solo una questione di dottrina e di persuasione intellettuale. Oggi siamo in grado di dire che anche nell’esperienza della fede tutto parte da un movimento interiore della persona, certo sollecitato dall’iniziativa divina e non privo di una sia pur fioca luce di verità. Forse bisogna arrivare a dire che la fede è l’emozione originaria che percepisce nell’atto stesso di formarsi la verità che la suscita e l’attrae. È vero: emozione e intelligenza stanno insieme; l’una risveglia e sostiene l’altra. Purché non si perda di vista che l’esplosione primigenia da cui si generano simultaneamente l’una e l’altra è la verità, o più semplicemente la realtà.
Non è altro il compito della scuola: favorire e il sorgere dell’emozione e dell’intelligenza originarie del bambino o del ragazzo e del giovane di fronte all’incanto e alla maestà della vita e al mistero della realtà; più esattamente: di fronte alla fiducia che la realtà merita e attende, alla possibilità di affidarsi alla promessa che il mondo, la vita, l’umanità fanno balenare agli occhi e al cuore di ciascuno. Senza questa fiducia radicale non ci si può avviare nella vita e non la si può abbracciare.
Una tale profonda emozione è quella che sta alla radice della fede in Cristo e della fede in Dio. A partire dalle esperienze umane più disparate e, non raramente anche più disperate, come quella dei due ciechi del Vangelo. L’intuizione, suscitata dall’alto, della identità di Gesù che passa, anzi che si sta allontanando, riconosciuto come figlio di Davide e messia, fa tutt’uno con un trasporto straordinario, con una speranza incontenibile che spinge a smaniare, gridare, correre. Il dolore della cecità e il bisogno di vedere spremono le risorse più profonde del cuore e della mente di questi due disgraziati aprendoli alla fiducia e perfino alla certezza della fede, che non esitano a confessare in risposta alla domanda di Gesù. E Gesù, che non può far nulla senza un accenno di ricerca, di iniziativa, di fiducia e di affidamento da parte di chi incontra, il quale invece viene profondamente trasformato nella persona e nella vita quando non rimane inerte spettatore e pigro consumatore del tempo che scorre ma si slancia assecondando la fiducia che comincia ad animarlo, Gesù fa diventare la fede strumento di salvezza, attivatore di vita rinnovata, scintilla di un nuovo inizio, da cui sprigionano luce e visione. Giovanni direbbe che cieco rimane chi non vuol vedere, mentre chi si affida e si attiva con fiducia motivata e fervida alla fine arriva a vedere: a vedere Gesù e in lui la realtà intera. Perché senza Gesù, la realtà scolora e imbruttisce, e il suo orizzonte si oscura.
Riusciamo a trasmettere tutto questo alle nuove generazioni? A volte sembra che ai loro occhi predomini l’incolore e il brutto, e che l’oscurità opprima il loro cuore e le loro menti. Ma essi conservano una nostalgia indistruttibile dell’emozione originaria; hanno bisogno di incontrare e riconoscere qualcuno di cui fidarsi, che insegni e testimoni che non sono cancellati il fascino e la bellezza di una vita autentica e vera. Noi adulti ed educatori dovremmo essere tali testimoni, perché in prima persona rinnovano ogni giorno l’esperienza della fiducia e della speranza nel Dio della vita e nella vita di Dio, l’emozione originaria di sapersi da lui guardati, amati, salvati.