OMELIA
Celebrazione con i sindaci dei comuni lepini
Fossanova, sabato 17 dicembre 2016, IV domenica di Avvento
+ Mariano Crociata
La festa del Natale fa riemergere alla coscienza, insieme a un senso intimo della famiglia, il bisogno di comunità, a tutti i livelli, da quello ecclesiale a quello cittadino fino a quello di un territorio omogeneo che abbraccia diversi comuni. Se si è voluto creare una Compagnia dei Lepini è perché c’è una serie di legami, non solo geografici, che unisce le diverse comunità cittadine e motiva una loro condivisa progettualità. La tradizione religiosa è senza dubbio uno degli elementi che maggiormente assimila le varie comunità. Dalle celebrazioni liturgiche alle manifestazioni folkloristiche alle iniziative di solidarietà, il periodo natalizio è quello nel quale più intensamente si avverte il senso di una comunità unita attorno ad alcuni valori fortemente radicati nel sentimento profondo di ciascuno e nella cultura condivisa da tutti.
La nostra celebrazione potrebbe limitarsi a rivolgersi ai singoli nel richiamare tutto questo, cosa che avviene in ogni caso. Non possiamo ignorare, però, le responsabilità amministrative e pubbliche che molti di voi detengono. Unito all’appello alla coscienza personale di ciascuno si impone, perciò, il richiamo al ruolo pubblico e al senso di responsabilità per la comunità che in modo diverso tutti, amministratori e cittadini, dobbiamo coltivare, senza con questo voler caricare nessuno di pesi che vanno al di là delle effettive possibilità dei singoli in una comunità cittadina. È necessario sapersi confrontare con le questioni anche più grandi di noi che gravano sulla nostra situazione sociale.
Il contrasto più forte che si presenta in questo momento ai miei occhi è tra la condizione giovanile e il clima natalizio ormai entrato nella sua fase più intensa, almeno sul piano commerciale, ma spero anche religioso. Anche nei nostri comuni più piccoli i fenomeni di disagio giovanile non mancano, per una serie di motivi che vanno dalla mancanza di lavoro, o almeno di prospettive di lavoro, alla diffusione della droga. Sono questioni che superano il potere di un sindaco o di un consesso comunale e so bene che ciascuno di voi non manca di arrovellarsi su che cosa può fare per alleviare e indirizzare al meglio le cose. Sono convinto che ogni sforzo in questa direzione è benemerito e contribuisce a portare avanti una lotta che è impari, anche se nessun senso di inadeguatezza o anche limiti oggettivi devono autorizzare alcuno a tirarsi indietro. Il Natale viene a dirci anche questo: di non rassegnarci anche quando i problemi sembrano infinitamente più grandi di ciò che riusciamo a fare. La tentazione più grande è appunto la rassegnazione e l’inerzia, lo scoraggiamento e la sfiducia. Chi ha responsabilità pubblica ha anche il dovere di trasmettere una spinta interiore, una volontà di combattere e andare avanti anche nelle situazioni più complicate e nei momenti più difficili.
È un invito che non viene tanto da me, quanto piuttosto dalle stesse pagine della Scrittura di questa IV domenica di Avvento, l’ultima prima di Natale. San Paolo nella lettera ai Romani usa una espressione che merita di essere sottolineata. Parla di “obbedienza della fede”. Che cosa significa? Non si tratta della obbedienza, per esempio, alla legge o agli ordini dati da uno che ha autorità e potere. È invece l’obbedienza che viene dalla fede, che è compiuta a motivo della fede, cioè all’interno di un rapporto di fiducia con il Signore. È, per intenderci, l’obbedienza di un bambino che volentieri asseconda la madre dalla quale si sente amato e che ricambia spontaneamente con tutto il cuore; o anche l’assenso che si dà alle richieste di una persona che ci vuole bene e di cui ci si fida incondizionatamente. In tanti casi le cose vengono eseguite per convenienza, per paura di una punizione, per calcolo o per altro ancora. Con Dio non può essere così: solo la fede e l’amore spingono il credente a compiere la sua volontà; e d’altra parte una fede che non cercasse di accogliere e adempiere ciò che Dio chiede non sarebbe vera fede.
Le altre due letture spiegano, in un certo senso, tutto ciò mostrando due casi opposti. Nella prima, il re Acaz, ipocritamente si giustifica dicendo che non vuole mettere alla prova Dio; in realtà non vuole accogliere la richiesta del Signore perché ha un suo progetto che è diverso da ciò che Dio gli chiede tramite il profeta. Nel Vangelo, invece, Giuseppe accoglie la rivelazione dell’angelo che gli parla a nome del Signore e accetta di prendere come sua sposa Maria, riconoscendo che Dio stesso glielo chiede, perché proprio Lui ha agito in maniera miracolosa nel concepimento avvenuto in Maria.
Viene spontaneo fare una applicazione immediata: in tutte le situazioni, non c’è obbedienza dove non c’è fede. Questo è evidente sul piano religioso, nel quale il fatto che tante esigenze della vita cristiana vengano disattese mostra semplicemente che è venuta meno la fede o si è gravemente indebolita. Ma questo vale non solo sul piano religioso ma anche sul piano dell’umano comune. Di fronte alla corruzione dilagante ogni tanto si alza qualcuno a invocare un risveglio della moralità e dell’etica. Nessuno si preoccupa, però, di istillarne e coltivarne le motivazioni. Moralità ed etica non si ottengono per legge e con la minaccia di sanzioni, ma solo a partire da una convinzione interiore e da una fermezza d’animo. La legalità è il primo livello per garantire la serenità e la giustizia nella vita sociale, ma il suo argine è troppo esile per reggere gli urti di chi cerca in tutti i modi di aggirare la legge. Chi ha responsabilità sociali deve in primo luogo e sempre preoccuparsi della sua osservanza. Ma la via maestra per salvaguardare anche la legalità è una coscienza motivata e convinta. Ed essa è il frutto di una educazione solida e duratura.
La deriva della condizione giovanile è destinata ad accelerare sempre di più e a rovinare inesorabilmente il tessuto sociale se non vengono seminati fermenti di bene e di giustizia nel cuore di ogni persona e se noi adulti non mostriamo di essere i primi a crederci e ad agire in un certo modo. Per trovare persone che operino bene, secondo giustizia e verità, bisogna formare persone che credono nella giustizia e nella verità, e che amano l’una e l’altra. Ognuno di noi può fare qualcosa in tal senso, perfino chi occupa posti di responsabilità nella città, nella società e, certo, anche nella Chiesa. Il Natale viene a ricordare che il Figlio si fa uno di noi per renderci desiderosi e capaci di operare quel bene e quella giustizia che solo in Dio trovano piena realizzazione e che abbiamo avuto la fortuna di riconoscere nel bambino e nell’uomo Gesù.