Omelia Anniversario della dedicazione della cattedrale di S. Marco (18/12/2019 – Cattedrale di Latina)

18-12-2019
OMELIA

Mercoledì 18 dicembre 2019

Anniversario della dedicazione della cattedrale di S. Marco

+ Mariano Crociata

La pagina del profeta Ezechiele sprigiona una grande forza evocativa. Dal lato orientale del tempio – da dove sorge il sole, la fonte della luce, del calore, della vita – sgorga un fiume che ha il potere di risanare le acque con cui si mescola e di fecondare la terra che raggiunge. È una immagine che indica nel tempio la sorgente di quest’acqua prodigiosa, e perciò suggerisce che dal luogo dove Dio ha posto la sua dimora scaturisce una fonte di vita capace di diffondersi e di raggiungere i posti più lontani per portarvi guarigione, benessere, fecondità.

Leggiamo la pagina di Ezechiele nel contesto della liturgia che celebra l’anniversario della dedicazione di questo tempio, cattedrale della diocesi da quando essa ha preso sede in Latina, fondendosi con l’anniversario dell’inaugurazione della città. Il suo messaggio è innanzitutto per la comunità ecclesiale. Siamo una Chiesa unita attorno al suo pastore che, idealmente sempre e concretamente in occasioni come quella di oggi, presiede la Chiesa radunata in assemblea, celebra e proclama la parola affinché la comunità sia confermata nella fede e cresca nella comunione e nella carità fraterna e verso tutti. La cattedrale è simbolo per eccellenza della totalità dei fedeli, dell’assemblea dei credenti radunata dal Signore e raccolta da ogni dove. La Chiesa siamo noi, come è tornato ad insegnarci il concilio, e perciò a noi sentiamo riferita l’immagine di Ezechiele; essa parla di noi e ci interpella come luogo vivente da cui scaturisce un fiume di vita che guarisce e fa fruttificare ogni luogo e ogni essere che tocca.

Noi crediamo che tale efficacia operi nonostante la nostra fragile umanità; ci sovrasta e ci coinvolge sorprendendoci. C’è un bene che si compie e passa ad altri ben al di là delle nostre capacità e della nostra operosità. Nondimeno, il bene che si compie attraverso di noi, per opera di una grazia infinitamente più grande, ci rende grati e più intensamente credenti, ma non ci lascia tranquilli, perché solleva la domanda sulla qualità della nostra adesione e partecipazione all’opera della grazia. Non possiamo fare a meno di domandarci che cosa ne facciamo del fiume di grazia che si riversa su di noi e che attraverso di noi vorrebbe raggiungere tutti i luoghi del nostro passaggio e della nostra più duratura presenza.

Troppo di frequente la nostra visibilità intraecclesiale, come quella di stasera, si trasforma in una sorta di invisibilità quando ci troviamo nello spazio pubblico, qualunque e dovunque esso sia. Perché diventiamo invisibili quando ci troviamo in mezzo alla folla, alla massa della vita di tutti e di tutti i giorni? Avviene una sorta di mimetizzazione, che bisognerebbe capire se deriva da paura, da opportunismo o, semplicemente, da superficialità e assenza di radicate convinzioni e motivazioni. Non auspico certo una visibilità di maniera, di esibizione e di dimostrazione di identità chiuse, arroganti e contrapposte; parlo invece di quella visibilità che si mostra nella forza interiore ed esteriore della testimonianza, nello stile e nel tratto che sa porsi e stare “con dolcezza e rispetto” in relazione con altri, nel senso del dovere e nella diligenza sul lavoro, qualunque esso sia, nell’attenzione alla persona – a qualunque persona – e alle cose, soprattutto quando sono cose di tutti, beni comuni, di piccola o grande entità che siano. Noi credenti siamo interpellati in prima persona nella nostra capacità di coerenza e di verità. Come potrebbe altrimenti il fiume d’acqua viva raggiungere e trasformare, rinnovare e far rivivere tutto ciò che tocca e incontra?

La domanda ci tocca tutti anche come cittadini, in questo anniversario dell’inaugurazione di Latina, qualunque posto occupiamo nella vita della città. E la prima cosa che la domanda fa evocare, purtroppo, è la sequela di lamentele a cui si dà la stura quando si parla di come vanno le cose. Non è questo il momento, e nemmeno la sede, per dare spazio allo scontento, sia pure legittimo e motivato. Oltretutto, dovremmo renderci conto che ad alimentare lo scontento e a farlo crescere non si conclude nulla, e, soprattutto, che lo sguardo dovrebbe essere rivolto con equilibrio sia agli aspetti negativi che a quelli positivi della realtà che ci circonda, senza partigianeria e con la più grande obiettività possibile. La riflessione che dovremmo sempre fare è che nessuno è solo spettatore e che le responsabilità sono divise tra tutti, seppure non nella stessa misura, per le cose che vanno male come per quelle che vanno bene.

Dobbiamo riconoscere che ci sono acque malate da risanare e terreni aridi e incolti da rendere verdeggianti e fruttuosi. E tali acque e tali terreni sono i cuori delle persone, le loro intenzioni e le loro scelte, più precisamente: i nostri cuori, le nostre intenzioni, le nostre scelte e le nostre azioni. Non sarebbe errato rappresentare la nostra città sempre in bilico, tra il rilancio e la deriva, tra la ripresa e lo scacco. In questi anni essa ha conosciuto tutti e due i tipi di tendenze, momenti di slancio e tempo di malumore. Dobbiamo essere grati a quanti, in maniera spettacolare o nel silenzio della quotidiana operosità, hanno permesso di superare momenti difficili. Ma ora dobbiamo andare oltre.

Alla luce della parola di Dio, dobbiamo chiederci dove possiamo riconoscere e alimentare questo fiume di acqua viva capace di rivivificare il nostro territorio e la nostra comunità, insieme alla comunità ecclesiale e oltre. Ci sono diversi segni positivi da richiamare: tante forme di generosità, soprattutto nel volontariato e nell’associazionismo; tanta imprenditoria sana e coraggiosa. Su un aspetto in particolare vorrei però mettere l’accento. Mi riferisco alle nuove generazioni. Latina conosce ancora un livello significativo di natalità, quanto meno rispetto alla media nazionale. Il dato, da solo, è il segno di una popolazione attiva, aperta al futuro, carica di speranza. Nondimeno, questo dato attende di venire assunto con senso di responsabilità e spirito di iniziativa. Credo sia da considerare importante il lavoro che svolge in buona parte la scuola, anche se non c’è da lasciarsi andare a illusori autocompiacimenti. È certo che dalle nuove generazioni arriva un appello pressante rivolto a tutta la cittadinanza, perché si prenda cura di esse. Se allarghiamo lo sguardo a tutte le fasce di età, poi, non possiamo non essere colpiti da una presenza rilevante di studenti universitari, spesso provenienti da altre città e regioni. Davvero ci è chiesta una coscienza all’altezza del momento e del compito che esso impone.

La risposta adeguata può essere trovata unicamente nella scelta di stringere tutti insieme un patto educativo. Sarà difficile trovare persone che a un titolo o ad un altro, per legami familiari, parentali e sociali, o per compiti d’ufficio e di lavoro, non siano coinvolte in una qualche responsabilità educativa; ma poi un tale patto dovrebbe essere stabilito tra tutte le istituzioni implicate, a partire dalla politica e dall’amministrazione, dagli organismi statali, dalla giustizia e dalle forze dell’ordine, fino soprattutto alle famiglie e alla scuola, alla Chiesa e alla società civile in tutte le sue espressioni. Come possiamo istituire un tale patto educativo e lanciarlo in maniera coinvolgente ed efficace?

È una domanda che chiede attenta riflessione, perché dobbiamo soprattutto renderci conto della sua necessità. È una necessità di principio, ma anche una necessità che sale dai fatti; di essi dobbiamo richiamare almeno alcuni, come il fenomeno dell’infanzia non adeguatamente accudita, o quello di ragazzi e giovani ai quali non vengono offerte le medesime opportunità, o ancora quello dei ragazzi precocemente lasciati in balia dell’alcool e della droga, spesso segnati dall’assenza o dalla dissoluzione della famiglia, privi di punti di riferimento e di offerte sociali ed educative adeguate per la loro crescita, come pure il fenomeno dell’abbandono scolastico o quello dell’impossibilità di portare avanti gli studi; per non parlare della mancanza di una educazione al senso civico e ai valori comuni che sono alla base della nostra convivenza e della nostra nazione, senza dimenticare, infine, le nuove generazioni di stranieri, che non devono essere del tutto trascurabili se l’8% della popolazione complessiva della città è composta da immigrati.

Come comunità ecclesiale, riusciamo ancora a portare avanti la catechesi dei ragazzi, che ci mette in contatto con una fascia delicata come quella della preadolescenza. Penso sia ancora un servizio quanto mai importante, anche se comprendiamo che non basta, ma che dobbiamo cercare di prenderci cura dei più piccoli, come pure di giovanissimi e giovani. Forse proprio le parrocchie possono dare un segnale importante nella direzione indicata, stabilendo e coltivando un patto educativo con le famiglie e con la scuola, e poi anche tra parrocchia e parrocchia, e a partire da qui con i vari servizi sociali che operano nel territorio. Potrebbe delinearsi così un patto educativo che parte dal basso e diventa stimolo per tutte le altre istituzioni a stringere una alleanza tra tutti a favore delle generazioni che nascono e crescono.

Ce lo auguriamo e chiediamo al Signore di poter vedere le nostre comunità ecclesiali e l’intera città rinnovata da questo fiume di vita nuova costituita dalla folla di bambini, ragazzi e giovani che si aprono – è la nostra speranza, la nostra preghiera, il nostro impegno – in modo sano e costruttivo alla vita.

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