OMELIA
Chiesa Madre di Marsala, 2 ottobre 2019, memoria degli Angeli custodi
Anniversario della dedicazione dell’altare
+ Mariano Crociata
Desidero innanzitutto rinnovare il mio saluto cordiale, a don Marco, e a voi qui raccolti in assemblea, a tutti e a ciascuno personalmente. Un sentimento di gratitudine mi pervade, e un senso di grande affetto, con cui vorrei avvolgervi in questo momento. È ancora calda la memoria della dedicazione dell’altare in questo anniversario, che riporta molti di noi a una stagione parrocchiale di fermento e di operosità; una stagione che ora sto vivendo con la Chiesa particolare che mi è stata affidata e che, sento, anche voi state attraversando.
La nostra non è una rievocazione nostalgica, perché non riguarda solo il passato, bensì il presente di ciò che siamo e il futuro a cui aneliamo. È una comunione nuova quella che unisce la nostra assemblea, qualunque sia il tempo che lega ciascuno a questa comunità. Sta in questo infatti il mistero e la bellezza della liturgia: nel fatto che ciascuno che vi partecipa, per un verso vi porta dentro tutto il carico della sua vicenda umana e del suo mondo, ma per altro verso viene ricondotto dallo sguardo di Dio alla sua vera identità, al suo volto inconfondibile di figlio amato, purificato da tutte le scorie e ricondotto alla luminosità originaria che, almeno nei recessi più segreti della coscienza e dell’io, nessuno ha mai del tutto smarrito, perché tenuto stretto dalla potenza ricreatrice dell’amore creatore da cui siamo stati generati.
Un anniversario ha sempre il sapore di un ricominciamento, di un nuovo inizio: quando non si ha voglia di andare avanti, non si celebrano ricorrenze. In un anniversario c’è lo sguardo al passato per quel tanto che permette di rivivere le ragioni che ci hanno condotto fin qui; ma ora, quelle ragioni hanno bisogno di essere assunte e abbracciate come nuove, come per la prima volta, pur con tutto il bagaglio e la forza di ciò che ha nutrito e sostenuto il cammino fino ad oggi. Andare avanti: non è qualcosa che si possa fare per paura, per senso del dovere o perché qualcuno lo impone; deve sgorgare dal cuore, è come una gioia sorgiva che spinge all’incontro e all’opera.
L’altare è punto di riferimento e di orientamento nello spazio e nel tempo della vita, polo di convocazione, luogo di memoriale, di incontro e di comunione, ma anche sollecitazione e invito ad andare, verso tutte le direzioni in cui portare la testimonianza di ciò che dà senso al nostro essere qui e al nostro stare insieme, e infine verso l’ultima, e prima, patria, quella che già abitiamo nel segno del tempio. In tal modo ci viene costantemente ricordato che la nostra vita deve essere così saldamente ancorata in Dio, come la pietra dell’altare è piantata in terra.
Troviamo nel significato dell’altare evocato per contrasto il dramma spirituale del nostro tempo, ma anche l’indicazione per la sua positiva risoluzione. Perché questo è un tempo di confusione e di smarrimento. Non lo constatiamo con sentimento di paura, ma con la ferma certezza interiore che, grazie alla luce della fede, possiamo attraversarlo senza pericolo di perderci, e con la convinzione che l’umano comune custodisce insospettate risorse per affrontare adeguatamente la sfida.
Purtroppo abbiamo perduto la percezione immediata di significati evidenti alle culture del passato e dobbiamo tornare a spiegare ciò che con abitudine spesso sonnolenta continuiamo ordinariamente a trattare. Così accade all’altare, vero centro del culto cristiano. Logica vorrebbe che le chiese stesse si costruissero e crescessero attorno all’altare, perché esso non è un qualsivoglia supporto funzionale per altro. Esso è il luogo dell’incontro con Dio, è il segno della presenza di Dio e della comunicazione con Lui, e per questo della comunione tra di noi. Tante volte sarà capitato di deplorare l’abitudine devota di chi entrando in chiesa si volge alla statua della Madonna o di un santo prima che al tabernacolo; stasera dobbiamo deplorare anche che si vada al tabernacolo senza avere prima debitamente venerato l’altare. Il tabernacolo conserva le specie sacramentali di Colui che si è reso presente sull’altare; esso non solo ospita e rende possibile l’atto sacramentale supremo, ma rappresenta Cristo nella sua simbologia originaria; nell’altare incontriamo Colui che è la pietra angolare, scartata da chi si ostina a non volerlo accogliere, è il basamento sicuro che sorregge la costruzione della nostra vita, la roccia incrollabile su cui poggia non una vaga devozione né una umana organizzazione, ma una comunità generata dall’alto che deve navigare tra i frangenti della storia.
Nell’altare ritroviamo le coordinate fondamentali dell’esistenza credente e della comunità cristiana: sacrificio e comunione, offerta e convivialità; senza dimenticare quella che viene dall’asse che l’altare stabilisce con l’ambone – perché l’altare non è isolato nello spazio liturgico – e cioè l’ascolto. Vivere lo spazio liturgico è sperimentare nella forma del comportamento simbolico, rituale e sacramentale – e in tal modo anche imparare – come orientarsi e dirigersi nello spazio della vita. È questo in fondo il compito della comunità ecclesiale, che unisce in un ritmo alternato come il respiro, l’attrazione, la convocazione, la celebrazione, per un verso, e, per altro verso, la condivisione, l’invio, la presenza testimoniale trasformante il mondo.
La memoria degli Angeli custodi, che la Chiesa oggi celebra, è come un sigillo su questo anniversario, perché conferma la volontà indistruttibile di Dio di guidare e sostenere la nostra vita in ogni suo passaggio. Alla sua volontà benedetta affidiamo noi stessi e questa comunità parrocchiale, perché cresca nella comunione e nella fraternità e diventi segno in mezzo alla città di che cosa sia una presenza di umanità riconciliata. A voi tutti ancora il mio ringraziamento e la preghiera con cui non cesso di accompagnare il cammino.