Omelia all’Assemblea diocesana fine anno pastorale 2021/2022 (09/06/2022 – Curia vescovile Latina)

09-06-2022

OMELIA

Assemblea diocesana a conclusione dell’anno pastorale (Is 5,1-7; Mt 21,33-43)

9 giugno 2022

+ Mariano Crociata

Le pagine della Scrittura che sono state proclamate tolgono l’eventuale alone idilliaco alle immagini agresti che fanno, così suggestivamente, da trama al nostro incontro e alla nostra preghiera. In realtà non sono tolte le ragioni della nostra gratitudine serena e fiduciosa alla fine di un anno come quello che va a conclusione; viene introdotto piuttosto un approccio meno ingenuo e gratificante al bilancio di un anno e soprattutto viene gettato uno sguardo responsabile al futuro a cui siamo indirizzati dalla coscienza di un appello e di una chiamata che vengono dal Signore.

L’accostamento dei riferimenti scritturistici che si sono intrecciati nella nostra assemblea ci permette di raccogliere tre suggestioni, che valgono sempre ma che assumono una puntualità specifica in questo momento.

La prima suggestione viene dalla doppia figura della semina e del raccolto del salmo 126. C’è una sequenza, che non è semplicemente naturale, tra l’una e l’altro, ma chiede fatica, pazienza, attesa per lo più fiduciosa, talora penosa. L’abbondanza del raccolto ha bisogno del lavoro che lo prepara, anche se non ne costituisce il frutto automatico; troppi altri fattori entrano in gioco a ostacolare e rendere incerto il processo di maturazione del grano, ma di sicuro senza la semina ad opera dell’uomo nulla si avvia. Senza di noi, dunque, non accade alcunché, non cresce niente, anche se la nostra opera non basta da sola a portare frutto; ci vuole una convergenza, una cooperazione. Ne siamo diventati ancora più consapevoli in questa fase difficile che ancora attraversiamo. E se le difficoltà sembrano aumentate, ancora più accresciuti devono essere i propositi e gli impegni. È questo che ci chiede il Signore in questa fase di passaggio.

In che cosa consiste il nostro impegno? Troviamo uno spunto importante in tal senso nella pagina di Isaia. Qui la vigna è lo stesso popolo, che il Signore minaccia di abbattere ed esporre allo sfruttamento e al maltrattamento da parte di chiunque, perché non ha corrisposto alle cure e alle premure di cui lo ha circondato il Signore stesso. Il primo lavoro è dunque sulla vigna che siamo noi stessi, come singoli credenti, come comunità cristiane e come Chiesa diocesana. Che cosa ne abbiamo fatto dei doni del Signore? Quali frutti abbiamo portato per noi stessi e per gli altri? Quanto delle difficoltà che stiamo affrontando dipende dai tempi e dagli altri, e quanto dipende da noi, dalla superficialità del nostro ascolto, dalla nostra scarsa o assente attenzione a quanto il Signore chiede, dalla povertà del nostro amore, della nostra fede, del nostro entusiasmo? Torna qui opportuno quanto abbiamo condiviso nel corso della Veglia di Pentecoste. La domanda è infatti se la nostra fede è davvero viva e forte. Le difficoltà non possono oscurare il riconoscimento dell’opera di Dio anche in un tempo come questo. Riconoscere il Signore e lasciarlo agire, assecondarlo e acconsentirgli: è questo che ci è chiesto. Non possiamo guardare al nuovo anno che si profila dopo la pausa estiva senza avvertire l’esigenza pungente di lavorare su noi stessi, rimettendo al centro l’ascolto, la preghiera, la cura della qualità della fede, riservando ad essa tutto il tempo e tutte le energie che richiede. Abbiamo bisogno di una ritrovata spiritualità, di un senso vivo della presenza e dell’azione del Signore nella nostra vita e nella nostra storia.

È di questa presenza e di questa azione che ci parla il Vangelo, per il quale la vigna è il popolo e i vignaioli sono i collaboratori del padrone. Da esso sorge una domanda che trasmette un sapore, ahimé, sgradevole, perché insinua il sospetto che alla fine tutta la nostra pastorale sia diventata affare nostro, in tutto dipendente dai nostri gusti e interessi, e che il vero escluso sia proprio il Signore. E quando parlo di noi, non mi riferisco solo ai ministri ordinati, ma penso a quanti prestano servizio e collaborazione nelle parrocchie e nella diocesi, penso a tutti noi qui presenti e ai molti altri che permettono alle nostre realtà ecclesiali di operare e di andare avanti. Può sembrare paradossale, e perfino fastidioso e disdicevole, che proprio nel momento di ringraziare per quanto compiuto quest’anno, si debba insinuare il sospetto che in realtà tutto quello che facciamo lo stiamo facendo per noi e non per il Signore, anzi escludendolo di fatto sistematicamente da tutto l’attivismo di cui ci vantiamo e ci riempiamo il cuore e la mente, pieni alla fine quasi solo di noi stessi e delle nostre buone intenzioni.

Il punto è proprio questo, che la vigna non appartiene a noi, a nessuno di noi, ma solo al Signore. È Lui il vero protagonista, colui che può agire e mandare ad effetto ogni iniziativa di bene. Come sappiamo, il figlio dell’uomo, inviato dal Signore del mondo, viene effettivamente rifiutato e ucciso, spesso anche oggi come allora; egli paga per noi, ma in ultimo proprio per noi c’è la vera minaccia, e cioè che la vigna possa essere data ad altri: non una punizione, dunque, ma l’esclusione, proprio di chi si riteneva tranquillamente esclusivo detentore della vigna. Il Signore saprà prendersi cura della sua vigna, ma per quanto dipende da noi, a chi altri viene data intanto la sua vigna che egli ci ha affidato? A chi sta andando in mano la vigna dei nostri giovani, dei nostri ragazzi, della nostra scuola, dei nostri anziani, delle nostre famiglie, delle nostre associazioni, delle nostre città e della nostra politica? È una domanda per certi versi drammatica, forse un po’ forzata, ma niente affatto impertinente. È appropriata, se vogliamo leggere il Vangelo in modo non accomodante, sentimentale o consolatorio.

È per questo che dobbiamo recuperare la dimensione autenticamente spirituale del nostro cammino di Chiesa e del nostro essere credenti. Siamo grati, certo, al Signore e a tutti noi di quanto abbiamo potuto sperimentare e ricevere nel corso di quest’anno, ma sentiamo in maniera pungente che ci vuole un cambio di passo, un salto di qualità in vista dell’anno prossimo. Pensiamoci e preghiamoci su fin da ora, chiedendo al Signore la grazia di una fede viva e di una spiritualità autentica, anima delle nostre persone e delle comunità, della nostra vita e della nostra storia.

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