OMELIA
Veglia di Pentecoste
Sabato, 4 giugno 2022, cattedrale di S. Marco
+ Mariano Crociata
Abbiamo bisogno di incontrarci. Ne avvertiamo l’esigenza, ma per primo il Signore stesso ci ha invitato a farlo. Proprio nell’atto di celebrare lo Spirito e di invocare il suo dono, dobbiamo soprattutto ricordare che la nostra è fede in un Dio incarnato. Non potremo mai ridurci a coltivare privatamente pensieri religiosi e buoni sentimenti. Senza gli altri e senza riti, senza celebrazioni, non c’è Spirito e non c’è vera spiritualità. Noi siamo qui a invocare lo Spirito perché fin dalla prima Pentecoste è sulla Chiesa, sull’assemblea, che egli viene effuso. Lo Spirito non è solo nei pensieri, ma nella vita e in tutta la persona. Lo Spirito ci spinge a uscire, a incontrarci, a pregare insieme, come stiamo facendo stasera; e ci spinge poi anche a programmare e a operare insieme, a collaborare e ad aiutarci a vicenda, senza nulla togliere alla nostra vita personale e ai suoi momenti singolari.
Ora siamo attesi al varco di una sfida senza pari. Siamo in mezzo al guado di una transizione inedita, rispetto alla quale ci scopriamo malamente attrezzati, tra risorse e personale che vengono meno con una accelerazione inarrestabile. Cerchiamo di darci da fare, di inventare qualcosa di nuovo, o, all’opposto, ripieghiamo su ciò che si è fatto sempre, ma in entrambi i casi senza vedere risultati né davvero nuovi segnali.
Se proviamo a riflettere, non facciamo fatica a rilevare una situazione sempre più diffusa: siamo così presi dalle cose da fare – che aumentano pure! – da sembrare in continua agitazione, ma non sempre traspare da noi la motivazione, la forza di convinzione, la gioia e l’entusiasmo per ciò che facciamo. Le circostanze avverse hanno visto indebolire il nostro tessuto ecclesiale, ma la cosa di cui più manchiamo è una fede viva e forte. Quando dobbiamo parlare di Dio e della Chiesa, non siamo più così convinti di ciò che il Vangelo annuncia e richiede da noi, della chiamata alla santità, di una nuova fraternità ecclesiale e sociale, della vita eterna, e altro ancora (senza per questo vagheggiare, all’opposto, alcuna forma di fanatismo). Cerchiamo di rendere tutto più facile, abbiamo paura di cose impegnative, pensiamo che se siamo più accomodanti avremo più seguito. La verità è che noi stessi sembriamo non credere veramente più tanto che la nostra fede sia qualcosa di grande, capace di meritare passione, sacrifici, dedizione; insomma, la totalità di noi stessi. Stiamo finendo con il dubitare delle cose più importanti della nostra fede, per cui evitiamo di parlarne, sconcertati come siamo dei grandi cambiamenti in atto dentro e fuori la Chiesa, per non parlare degli scandali.
Forse non crediamo più veramente che Dio è l’autore della Chiesa ed essa è comunque sempre nelle sue mani. O dubitiamo che Cristo è il nostro unico salvatore, e lo Spirito l’unica vera forza della nostra vita e delle nostre persone, come pure delle nostre comunità? Forse si è annidato in noi il veleno del sospetto che le cose non stanno così come ci è stato detto e sarà bene arrangiarsi per cercare di andare avanti alla meno peggio. Ma chi sente e pensa così non farà molta strada, anzi per lui la strada è già finita.
La nostra vita di Chiesa dovrebbe servire soprattutto a ravvivare la fede e l’amore al Signore e tra di noi. Tutte le cose che facciamo, vecchie e nuove, hanno questa unica finalità. E questo è anche il segreto di ogni impegno e di ogni collaborazione ecclesiale: alimentare la nostra fede e farla crescere. Il Signore ci sta guidando, non sappiamo verso dove, ma è certo che Egli è con noi. Siamo nella medesima situazione di Abramo, a cui Dio dice di lasciare la sua terra per andare verso la terra nuova che gli indicherà. Siamo come il popolo nel deserto; abbiamo scampato una pandemia e forse una guerra in Europa, con tutte le conseguenze economiche che magari verranno, e siamo riottosi come quel popolo che non riesce a tenere vivo il desiderio, l’attesa, la lotta per la terra promessa; e pensiamo anche noi solo a come stare meglio adesso, senza speranze e magari con l’illusoria consolazione di qualche idolo – anche religioso – che ci facciamo da noi stessi.
Ma come facciamo a convincere qualcuno se non ne siamo fortemente convinti noi per primi? Ci vuole fuoco, ci vuole amore, ci vuole entusiasmo, ci vuole spirito – con la s minuscola e con la S maiuscola –, bisogna essere davvero vivi, interiormente e spiritualmente vivi, per contagiare e trascinare anche altri. Ma se noi per primi non sappiamo e non abbiamo dove andare, chi ci potrà seguire?
Il Signore ci ha convocati per questa Pentecoste per interrogarci, per scuoterci, per aprirci in modo nuovo al dono dello Spirito. Lo chiediamo ravvivando il desiderio sincero di esserne toccati e intimamente trasformati. Sono sicuro che tutti insieme faremo esperienza di una nuova Pentecoste.