OMELIA
Solennità del SS. Corpo e Sangue del Signore
(Gen 14,18-20; 1Cor 11,23-26; Lc 9,11b-17)
Cattedrale di S. Marco, 19 giugno 2022
+ Mariano Crociata
«Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure». Non è una frase rimasta per caso, questa che dà inizio alla pagina di Vangelo e precede il racconto della moltiplicazione dei pani. Tante altre volte Gesù ha insegnato alle folle e ha fatto seguire alla sua parola gesti di consolazione e di guarigione soprattutto verso malati e sofferenti. Ma proprio tale accostamento del brano di oggi parla a noi e alla situazione della nostra fede in maniera particolarmente illuminante.
I Vangeli non si stancano di annotare con quanto entusiasmo le folle seguivano Gesù, e non soltanto per i miracoli che compiva, bensì anche per la sua parola, che non finiva di affascinare e conquistare cuori e menti. Anche nel caso della pagina odierna, la gente cerca e segue Gesù perché attirata dal suo insegnamento. A fine giornata, non è la folla che chiede pane, è Gesù che attraverso i dodici si preoccupa di procurare ad essa da mangiare. Su questo aspetto è importante riflettere. Se è vero che nel Vangelo di Giovanni, nella stessa circostanza Gesù rimprovererà quelli che lo hanno cercato perché aveva dato loro da mangiare, nondimeno la ricerca di Gesù – agli inizi della sua apparizione pubblica – nasceva dal profondo bisogno della sua parola, di cui tutti quelli che lo ascoltavano avvertivano subito il timbro della novità e il sapore della genuinità e della verità.
Non corriamo il rischio di andare lontano dall’intenzione di Gesù e dal sentimento delle folle che lo seguivano, se diciamo che esse desideravano ascoltarlo perché una fame atavica le aveva tenute a lungo a digiuno da quel sostanzioso nutrimento che è la sapienza che aiuta a vivere, perché fa capire, dà risposte vere, indirizza alle scelte giuste da fare. «Insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi», nota Mt 7,29. Usiamo – o usavamo – dire che dopo aver ascoltato una parola giusta, saggia, vera, o semplicemente un buon consiglio, le persone se ne vanno con una sensazione di soddisfazione, di appagamento, di essere state nutrite e saziate con un pane di cui avevano bisogno come del pane che mettiamo sulla nostra tavola. Davvero capiamo perché non di solo pane vive l’uomo! Il pane della sapienza non è qualcosa che, come pure si usa dire, deve servire per nutrire astrattamente la nostra mente, in maniera puramente intellettuale, ma un pane che a mangiarlo lascia la sensazione di un pieno che coinvolge tutta la persona, perché tocca la vita e le apre prospettive, speranze, visioni.
Questo effetto aveva la parola di Gesù, illuminante e incoraggiante sempre e per tutti. Si capisce meglio il perché, se osserviamo che la notazione evangelica sull’insegnamento di Gesù è quasi sempre accompagnata dall’altra che riguarda la guarigione dei malati e i segni che egli univa sempre al suo dire. Gesù non è un maestrino che la sa lunga e deve dimostrarlo a tutti; è Colui che porta il Regno di Dio con il suo annuncio, con i suoi gesti, con la sua persona. È importante notare che Gesù non si limita e non si ferma mai a dire parole. E i gesti che compie sono sempre esplicazione luminosa del senso delle parole: egli è venuto a portare il Regno, cioè a portare vita nuova, parlando e agendo, mai l’uno senza l’altro, gestis verbisque. Noi forse diciamo solo parole, Lui mai.
Anche la moltiplicazione dei pani è un gesto straordinario che segue la parola e il gesto con cui Gesù si prende cura delle folle, perché sempre attento a ciò che esse vivono e attendono. Parla a loro secondo ciò di cui hanno bisogno, secondo ciò di cui hanno fame, secondo il dolore che soffrono e la pena che portano. Anche noi dovremmo imparare a fare allo stesso modo, partendo da una celebrazione come la Messa che unisce, ancora una volta, il pane della parola e il pane del corpo di Gesù morto e risorto. Forse abbiamo perduto il senso vivo e toccante di questo profondo legame. Che cosa fare per recuperarlo?
Pe primo, tutti dobbiamo chiederci che cosa ci muove ad andare a Gesù, quale bisogno, quale desiderio, quale fame.
Poi, dobbiamo chiederci come rendere le nostre celebrazioni – ma non solo esse, bensì anche tutte le forme della nostra presenza ed esistenza di Chiesa, di parrocchie sparse nel territorio – come rendere le nostre celebrazioni vive, capaci di parlare, con le parole e con i gesti, con quelli rituali e con quelli – gesti e parole – che siamo chiamati a porre e offrire oltre i confini dello spazio e del tempo sacro, nei territori delle nostre esistenze quotidiane e della vita sociale tutta intera. Dovremmo riflettere sulla fame che soffre una città come la nostra, in attesa, sì, di lavoro, di risorse, di strutture e iniziative, ma anche di senso di futuro, di slancio verso progetti di crescita e di rinnovamento sociale e civile oltre che economico, di gioia di stare insieme e di offrire speranza alle nuove generazioni.
La processione eucaristica che terremo a prolungamento della celebrazione è l’occasione per riflettere su queste domande, a cominciare dalla prima, che ci interroga sulla direzione dei nostri desideri più profondi, sull’anima delle nostre aspirazioni. Esse ci chiedono: di che cosa ci nutriamo? Di che cosa nutriamo i nostri pensieri, i nostri sentimenti, le nostre emozioni, la nostra intelligenza, i nostri progetti di vita? Quanto tempo trascorso a seguire programmi televisivi che sono un’offesa all’intelligenza e alla dignità delle persone, trascorso a bruciare il tempo dietro social e passatempi inutili, dietro chiacchiere e pettegolezzi da quattro soldi, nel vuoto di ideali, di valori, di pensieri buoni e di buoni propositi!
La preghiera e la riflessione ci diano intanto il giusto atteggiamento per accedere alla comunione eucaristica, e quindi a un cambiamento di vita che renda gustoso e apprezzabile il pane della vita che è Gesù.