Assemblea diocesana di inizio anno pastorale
Presentazione della Lettera pastorale
Venerdì 27 settembre 2024
✠ Mariano Crociata
Quando parliamo di giubileo, la prima cosa che sappiamo fare è pensare subito a quale porta santa sarà aperta e a quale pellegrinaggio partecipare, a come organizzarsi e così via. Non so quanti di noi sarebbero in grado di spiegare come nasce il giubileo e perché lo celebriamo.
La Lettera pastorale di quest’anno ho voluto incentrarla proprio sul giubileo, sul senso e sul valore, cioè sull’opportunità che esso rappresenta per noi e, quindi, perché merita di essere accolto e vissuto da noi e dalla Chiesa tutta.
Bisogna aggiungere che parlare del giubileo in tale maniera non solo non interrompe la linea che lega tra loro i temi degli anni pastorali e quindi i motivi e le attenzioni che ci hanno accompagnato e guidato in questi anni; al contrario, come vedremo, il giubileo avvalora e completa il cammino che stiamo facendo.
Il titolo della Lettera e dell’anno pastorale è una citazione dal vangelo secondo Luca. Dico subito che non dovete sorprendervi se lungo la Lettera non troverete nulla a suo riguardo; soltanto verso la fine di essa riprendo il versetto che dà il titolo spiegando la sua scelta e la sua collocazione nel quadro della Lettera stessa. In essa non mi soffermo sul brano perché può essere ben commentato in altra sede e in altro momento, essendo il suo messaggio evidente nell’economia della Lettera. Questo mi sembra un momento adatto per riservare una maggiore attenzione al brano evangelico e così iniziare il nuovo anno pastorale con il piede giusto. Leggiamo il testo.
1Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, 2quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, 3cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. 4Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. 5Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. 6Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. 7Vedendo ciò, tutti mormoravano: “È entrato in casa di un peccatore!”. 8Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. 9Gesù gli rispose: “Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. 10Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.
Non commenterò il brano per intero, ma proverò a raccoglierne qualche spunto. Il primo elemento che si fa notare è la ripetizione non casuale, per due volte, dell’avverbio oggi, una piccola parola che però possiede un forte potere evocativo. L’oggi racchiude in qualche maniera la dimensione temporale nella quale siamo immersi e che ci costituisce. Esso indica il momento presente, o il tempo che ruota attorno al momento presente, ma come tale porta comunque con sé la memoria del passato e l’aspettativa del futuro. L’oggi non lo possiamo fermare, perché il tempo per noi è lo scorrere di tanti momenti presenti quanti sono quelli che riempiono la nostra vita. Non tutti i momenti presenti hanno lo stesso peso e una grande risonanza nella nostra esperienza, e tuttavia noi disponiamo solo del momento presente che stiamo vivendo. Se sappiamo viverlo con consapevolezza e attenzione, allora esso ci aiuterà ad essere pronti quando il momento presente ospiterà qualcosa di grande e di straordinario. Con questa lucidità Zaccheo vive l’oggi. Egli è sempre vigile e attento; lo richiede il suo mestiere, ma lo è comunque il suo spirito. Così, quando sente dire che Gesù sta passando, subito accorre mosso da curiosità e forse anche da un oscuro desiderio, comunque attento e consapevole che qualsiasi momento può portare con sé una sorpresa, una novità capace di rendere più bella e ricca la vita.
Così arriva quel momento presente in cui accade qualcosa di inaudito. Qualcuno si ferma e gli rivolge la parola, lo isola dalla folla e lo sceglie tra molti altri per dedicargli la sua attenzione. Lui, che si sentiva ed era considerato uno scomunicato, un escluso, un indegno, e che perciò si mette in una posizione fuori dalla folla, su un albero, per vedersi la scena, ora viene chiamato, invitato, anzi richiesto: «oggi devo fermarmi a casa tua».
Le nostre coordinate esistenziali sono il tempo e lo spazio: oggi, a casa tua. La storia sembra fermarsi per quest’uomo, in realtà essa riprende a scorrere con una presenza e un’anima nuova che entrano nella sua vita, nel momento presente e nel suo luogo di vita, la sua casa, qui e ora. Si tratta di una di quelle congiunzioni spazio-temporali che segnano per sempre la vita di un uomo e ne decidono il futuro; incontri ed eventi che diventano quel punto del passato dal quale viene continuamente generato, qui e ora, un nuovo futuro. Zaccheo capisce l’unicità di quel qui e ora, capisce che quello è l’appuntamento della vita, l’appuntamento che Dio gli ha dato.
Zaccheo ha saputo cogliere e accogliere quell’appuntamento, ha capito che non poteva farlo passare invano, che esso gli chiedeva non di fare qualcosa di importante, ma di cambiare rotta, di cominciare a vivere in base all’incontro che aveva fatto, o a partire dall’incontro che gli era capitato, che lo aveva raggiunto. Non era stato lui a cercare Gesù, a curiosare sì; era stato Dio a cercare lui. Uno che capisce di essere stato cercato e incontrato da Dio non può far finta di niente, non deve far finta di niente. Deve essere all’altezza di ciò che un tale incontro significa. Ed ecco che accade l’inatteso: chi si sarebbe mai aspettato che uno che aveva costruito la sua vita e la sua fortuna attorno al denaro, al profitto, allo sfruttamento degli altri, cambiasse così completamente da restituire e dare quattro volte tanto? È davvero accaduto. E allora l’incontro voluto da Gesù si trasforma in un evento di salvezza: appunto, «oggi per questa casa è venuta la salvezza».
Il segno che è venuta la salvezza è inequivocabile, colui che depredava gli altri restituisce e dona, finisce di sfruttare e approfittare. Il segno della salvezza di Dio nella vita di un uomo è che i rapporti con gli altri cambiano. Non più rapporti di maltrattamento, di sfruttamento, di strumentalizzazione, ma rapporti di ricostituzione della giustizia e del bene che erano stati conculcati e smarriti.
Che cosa ha a che fare il giubileo con tutto questo? Lo direi così, servendomi del linguaggio e della lezione del brano evangelico: ci vuole un tempo favorevole, un “anno di grazia”, un oggi, come proclama e annuncia Gesù nella sinagoga di Nazareth, un incontro qui e ora, in questo luogo e in questo tempo, nel quale Dio torni a visitarti e a interpellarti. E Dio lo fa. Ora che Gesù è morto ed è risorto, Gesù Signore è l’eterno presente (ieri, oggi e per sempre) di Dio, il Signore dell’oggi, il permanente contemporaneo di ogni nuovo oggi.
Ci vuole che noi impariamo e insegniamo a protenderci verso Gesù che passa. E Gesù passa per le vie delle nostre città e nel nostro tempo. Ma ci vuole desiderio per riconoscerlo e farsi incontrare da lui. Egli è pronto a guardarci in faccia e ad autoinvitarsi a casa nostra, nella nostra misera condizione di esistenza. E se noi lo facciamo entrare volentieri, allora accade l’inaudito, arriva la salvezza nella nostra vita, perché impariamo a liberarci di tanti fardelli inutili o, anche, di tanti pesi diventati insopportabili, e ci disponiamo ad aprire il cuore e la mano ai fratelli.
Parole come “peccatore” e “ciò che era perduto” designano puntualmente la condizione umana che Gesù è venuto a visitare e incontrare. Essa non è condannata a rimanere tale per sempre, può davvero cambiare. La giustizia, la verità, la solidarietà e la fraternità possono davvero tornare, perché Gesù è venuto per salvare ciò che era perduto. Crederci significa accogliere veramente la presenza del Signore che salva.
È una contraddizione in termini sentire persone di chiesa, che vanno in chiesa, lamentarsi della condizione odierna, del male che c’è attorno e in tutti, o rassegnati ai propri fallimenti e alla propria condizione di peccato, senza coraggio e senza speranza. Questi pensieri e questo sentire non può avere posto nel cuore di un vero credente. Il giubileo viene a dire proprio questo: è possibile, anzi è necessario, ritornare al volto originario della nostra condizione, perché non siamo condannati al degrado e alla decadenza. Il Signore rende possibile e chiede di impegnarsi a ritornare alla condizione voluta da Lui, a ritrovare il nostro vero volto.
È quest’ultima idea il tema principale della Lettera pastorale, per la quale la ricorrenza giubilare è un’occasione irripetibile per fermarsi, riprendere coscienza di ciò che siamo e riscoprire che cosa il Signore ha fatto e fa per noi. Il giubileo chiede di rendersi contemporanei degli inizi per scoprire che Dio, in Gesù, è il nostro contemporaneo, in questo nostro oggi.
La prima parte della Lettera è dedicata a descrivere la nascita dell’idea di giubileo a partire dall’anno sabatico, e prima ancora dal sabato della settimana, giorno e tempo privilegiati per tenere desto il senso di Dio creatore e della creazione come suo dono. Il principio generativo, per così dire, è il riposo di Dio al settimo giorno, come segno del dono che definisce ciò che Dio ha fatto e di cui non bisogna mai perdere memoria. La terra è dono di Dio non solo per le sue origini nella creazione ma perché per il popolo eletto essa è stata data come terra promessa al popolo uscito e liberato dalla schiavitù dell’Egitto. L’anno sabatico e l’anno giubilare hanno la funzione di risvegliare questa memoria e di riportare all’equilibrio e alla giustizia primitiva le relazioni sociali. In Gesù, la menzione dell’anno di grazia del Signore rende attuale e tutt’uno con la sua persona il significato del giubileo, nel quale remissione dei peccati e giustizia sociale e fraternità si fondono fino a formare un’identità compatta. La venuta di Gesù è l’anno di grazia, il giubileo per eccellenza, capace di rendere ogni tempo, ogni giubileo, tempo di grazia e di salvezza.
Nella seconda parte la riflessione è diretta a cogliere il significato attuale del messaggio biblico sul giubileo. In particolare invito a considerare alcuni pregiudizi o schemi mentali che si attivano quando si tocca il passato (il passato è solo un peso, il passato è solo il vecchio), e poi mi soffermo sui vari spetti del messaggio del giubileo, che sono la dimensione personale, quella sociale, quella ecclesiale e quella ecologica. Ad emergere come gli atteggiamenti fondamentali che scaturiscono dal celebrare il giubileo sono: la fede unita a gratitudine nei confronti del creatore e Salvatore, e la gratuità, che ci aiuta a cogliere come noi non siamo padroni di nulla ma tutto abbiamo ricevuto. In questo senso e in questo punto inserisco l’icona evangelica di Zaccheo, a cui segue una conclusione che definisco una apertura perché mi soffermo sulla dimensione più propriamente sociale ed economica a cui richiama il giubileo (un giubileo concreto).
Insomma, non siamo di fronte ad un atto di devozione dalla ricorrenza straordinaria, ma dinanzi a una chiamata che viene dal cuore della nostra fede a riesaminare l’intera condizione umana nella sua estrema concretezza fatta di ingiustizie, di povertà e di miseria, di sfruttamento e di guerra. È qui che dobbiamo credere e sperare, e quindi agire, così da trasmettere la certezza che è possibile ritrovare il nostro vero volto e la nostra identità originaria, sia personalmente che nel nostro stare insieme. Se il giubileo non lascerà nulla di questa certezza di fede, di speranza e di carità, non sarà servito a nulla.
L’impegno che dobbiamo prendere è di fare nostro il movimento che la tela di Jacopo Palma il Giovane esprime con la sua eloquenza pittorica. Gesù passa, questo è il presupposto, lo sfondo, l’antefatto. Vediamo Zaccheo sull’albero protendersi, quasi a rischio di cadere dall’albero, attirato da una forza da cui si sente afferrato. E Gesù dall’altra parte che volge il suo sguardo verso di lui, anche lui in un movimento che quasi si slancia con le braccia, le mani, le dita, come volesse prenderlo, afferrarlo, abbracciarlo. Movimenti composti ma potentemente eloquenti. È il senso dell’esistenza spirituale fondamentale che il giubileo vuole rimettere in luce e, anzi, a cui vuole ridare splendore. Dio alla ricerca dell’uomo e noi protesi all’incontro con Lui. Vogliamo mancare questo appuntamento? Credo proprio di no. Quest’anno dobbiamo viverlo perché l’incontro avvenga di nuovo e con una efficacia decisiva e definitiva.