Lettera pastorale 2024-2025
«Oggi per questa casa è venuta la salvezza» (Lc 19,9) – Celebrare e vivere il giubileo
Il cammino pastorale dell’anno che si apre ci viene suggerito insieme da una ricorrenza di calendario e da un autorevole invito ecclesiale. Il Signore, che ci parla sempre dentro percorsi di discernimento, ora ci invita ad accogliere una ricorrenza che coinvolge la Chiesa intera come occasione speciale di incontro con Lui.
Il giubileo giunge così, come una ricorrenza di calendario che la Chiesa ha cura di mantenere viva e di cui il Signore si serve per chiedere qualcosa di importante e nuovo. Attraverso il giubileo il Signore ci parla, parla alla sua Chiesa e alla nostra Chiesa. Che cosa vuole dirci? Scopriamolo con l’aiuto della Scrittura e della Chiesa.
Il giubileo nella Sacra Scrittura
Il giubileo ha una presenza particolare nella Bibbia. Esso designa un ideale più che una serie di fatti precisi. La sua ripresa nella storia della Chiesa del secondo millennio, ancora in piena epoca medioevale, sottolinea un aspetto, quello delle indulgenze, che non esaurisce la ricchezza di significato spirituale e pastorale che il giubileo contiene. Scrittura e vita di Chiesa chiedono di riscoprire tale significato e di valorizzarlo nella nostra vita di credenti di oggi come un singolare segno del tempo.
I testi biblici che parlano del giubileo non sono molti; spesso si presentano in forma di allusioni o accenni; si trovano soprattutto nell’Antico Testamento, nel Pentateuco, ma anche nei libri storici, come pure nei profeti e poi ancora, pur senza una designazione precisa, nei vangeli. Una breve scorsa ci permetterà di avere un’idea essenziale del suo significato, del suo contenuto e delle implicazioni che esso può avere per noi credenti di oggi che lo celebriamo con la Chiesa.
L’Antico Testamento
Il capitolo 25 del libro del Levitico è il testo biblico più esteso sul giubileo. Come l’intero libro, esso si rivolge al popolo per aiutarlo a vivere conservandosi fedele al Dio che lo ha liberato dalla schiavitù, lo ha reso popolo e gli ha dato una terra da abitare. Ciò che Egli chiede al suo popolo è di rimanere fedele alla sua legge rendendogli il culto del rito e della vita. A questo scopo viene ora trasmesso un comando straordinario: viene chiesto al popolo di santificare il settimo anno come fa con il sabato di ogni settimana. Viene così istituito l’anno sabatico, durante il quale, come in ogni sabato, non si deve lavorare.
Quando entrerete nella terra che io vi do, la terra farà il riposo del sabato in onore del Signore: per sei anni seminerai il tuo campo e poterai la tua vigna e ne raccoglierai i frutti; ma il settimo anno sarà come sabato, un riposo assoluto per la terra, un sabato in onore del Signore (Lv 25,2-4)[1].
Accanto all’anno sabatico viene quindi istituito il giubileo.
Conterai sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. Al decimo giorno del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno; nel giorno dell’espiazione farete echeggiare il corno per tutta la terra. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo […]: esso sarà per voi santo (Lv 25,8-12).
L’origine del termine “giubileo” si deve a una parola ebraica, jovel o jobel, che letteralmente significa montone, perché “il suono del corno” viene ottenuto da un corno di montone. L’annuncio del giubileo tramite il suono del corno assume qui un’importanza speciale per il suo valore rituale e quindi sacro.
L’anno sabatico e l’anno giubilare hanno come carattere fondamentale il riposo della terra. L’accostamento del settimo anno al settimo giorno e quindi al giorno in cui Dio portò a compimento la creazione è il motivo originario della istituzione giubilare.
Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva fatto creando (Gen 2,2-3).
Il sabato è al centro della fede di Israele perché esso racchiude il riconoscimento di Dio creatore all’origine di tutto ciò che esiste e il significato del riposo di Dio. Esso esalta la bontà e la bellezza di ciò che Dio ha compiuto e il suo amore verso un mondo che deve essere sempre di nuovo riconosciuto come il riflesso del suo splendore e della sua gloria.
Il comando di celebrare il sabato, e quindi l’anno sabatico e il giubileo, ha innanzitutto valore teologale, perché intende alimentare la memoria grata per l’opera creatrice di Dio e la fiducia incondizionata nella sua bontà senza limiti che si esprime nella fede, nel culto, nelle buone relazioni con gli altri e con tutte le creature. Così il giubileo assume dei connotati religiosi e morali personali e sociali di grande portata. Sul piano personale esso, come già il sabato, fa risaltare la dignità e la libertà della creatura umana. Nel sabato e nel giubileo è inscritto il destino glorioso che Dio ha pensato per la creazione tutta e in particolare per l’uomo e la donna che egli ha creato a immagine di se stesso. Adempiendo il precetto del sabato e del giubileo la persona umana emerge con tutta la sua dignità al cospetto di Dio e grazie a Lui.
La memoria di quanto Dio ha creato è inseparabile dalla memoria dell’esperienza storica straordinaria che il popolo di Israele ha vissuto con la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto fino all’ingresso nella terra promessa. La libertà non è solo la volontà originaria di Dio e la condizione primigenia dell’uomo, è soprattutto una libertà riconquistata dopo l’esperienza della schiavitù e della liberazione da essa, come proclama la famosa pagina Dt 26,1-11.
L’autenticità della memoria grata e della coscienza di fede del singolo e della comunità si verifica nei rapporti interpersonali e sociali. Dal modo come i membri di questo popolo vivono i rapporti tra di loro si potrà vedere quanto sia genuino il riconoscimento di Dio creatore e donatore della terra e della libertà. Il giubileo, come intensificazione del significato del sabato, è l’espressione più alta della risposta del popolo credente alla fedeltà di Dio all’alleanza. Per onorarne il significato esso richiede di assumere impegni precisi di fronte ai fratelli. Il primo di essi è il ristabilimento dell’uguaglianza e dell’equilibrio sociale quale era agli inizi, quando il popolo entrando nella terra ne aveva preso possesso con una distribuzione equa e ordinata secondo il numero delle tribù e delle loro famiglie. Il giubileo chiede una ricostruzione della mappa originaria della terra promessa e un ritorno al punto di partenza.
«In quest’anno del giubileo ciascuno tornerà nella sua proprietà» (Lv 25,13). L’ordinamento ideale voluto da Dio creatore e liberatore richiede che a ciascuno sia restituita la dignità e la libertà come era agli inizi. Questo si vede anche dal modo come devono essere regolati i rapporti tra creditore e debitore e tra padrone e schiavo: «al giubileo il compratore uscirà e l’altro rientrerà in possesso del suo patrimonio» (Lv 25,28). O anche, come dice Dt 15,1-2,
alla fine di ogni sette anni celebrerete la remissione. Ecco la norma di questa remissione: ogni creditore che detenga un pegno per un prestito fatto al suo prossimo, lascerà cadere il suo diritto.
Il termine remissione è adottato per rendere l’idea di liberazione propria del giubileo. La liberazione ha un significato sociale ed economico, equivale a rimettere i debiti. In questo senso il settimo anno viene chiamato «anno della remissione» (Dt 15,9). Questo aspetto sociale ed economico è la premessa di relazioni sociali profondamente rinnovate con la cancellazione delle disuguaglianze grazie ad una ritrovata fraternità e generosità. «Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nella tua terra» (Dt 15,11). È una questione concreta, nell’atto di “aprire la mano”, quella che tocca i rapporti con i fratelli, con i membri del proprio popolo.
Ancora di più questo vale quando si tratta non di debiti, ma di persone.
Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria e si vende a te, non farlo lavorare come schiavo; sia presso di te come un bracciante, come un ospite. Ti servirà fino all’anno del giubileo; allora se ne andrà da te insieme con i suoi figli, tornerà nella sua famiglia e rientrerà nella proprietà dei suoi padri (Lv 25,39-41).
È ancora viva la memoria di che cosa sia stata la schiavitù patita nei lunghi secoli dell’insediamento in Egitto. Ora a nessuno dei membri del popolo deve toccare di subire la stessa condizione, almeno non per sempre.
Alla fine di ogni sette anni ognuno lascerà andare il proprio fratello ebreo che si sarà venduto a te; ti servirà sei anni, poi lo lascerai andare via da te libero (Ger 34,14; cf Is 61,1-3).
Su tutto si distende una verità di fondo che regge il senso e la necessità dell’anno giubilare come anno di remissione e di liberazione: «la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti» (Lv 25,23). Il giubileo si deve celebrare perché è necessario recuperare una verità facilmente perduta di vista ma assolutamente decisiva: la creatura umana, e innanzitutto il popolo di Israele in tutti i suoi componenti, non si può considerare mai padrone della terra e arbitro assoluto della propria vita, come se esse fossero un bene privato inalienabile.
Il riposo della terra è l’interruzione del rapporto di possesso dell’uomo con il mondo e il riconoscimento del primato assoluto di Dio. L’uomo è sulla terra forestiero o inquilino, il proprietario è Dio. L’uomo è ospite sulla terra, egli la occupa come chi accetta di essere ospitato. Questo instaura una condizione di uguaglianza radicale tra i membri del popolo e tra gli esseri umani: in quanto ospiti nel mondo siamo tutti sovranamente liberi, uguali e a nostra volta ospitali. Ciò che l’uomo riceve è un dono gratuito da accogliere e custodire nello spirito e nello stile di chi glielo ha conferito, cioè in atteggiamento di gratitudine verso di Lui e di gratuità nei rapporti con tutti i fratelli del popolo, in ultimo con tutti i simili di cui siamo o a cui ci facciamo prossimi.
In questa maniera l’Antico Testamento ci presenta il giubileo come espansione del sabato, strumento e occasione nuova di riscoperta dell’identità profonda del popolo d’Israele, chiamato a vivere dell’alleanza come dono incondizionato e fondamento di una vita e di una storia che sono opera gratuita di Dio e del suo amore. Il popolo a sua volta è chiamato a estendere lo stesso amore con la medesima gratuità alla terra e ai fratelli della comunità, soprattutto a quelli che soffrono disuguaglianza e mancanza di libertà. È la gratuità la base della giustizia divina che sorregge il mondo. Senza tale giustizia il mondo rischia di ricadere nel caos, perché essa è l’ultimo orizzonte possibile di salvaguardia dell’umano.
Il Nuovo Testamento
Il Nuovo Testamento presenta due riferimenti ai contenuti della ricorrenza giubilare, e precisamente a proposito del «perdono dei peccati», o della loro remissione, in Mt 26,28, nel racconto dell’ultima cena, e in Lc 24, 47, nel contesto del discorso di missione ai discepoli. La remissione che assume più rilievo è quella dei peccati, che di ogni sofferenza e ingiustizia sono l’origine e la causa. Remissione significa rimessa, ricollocazione, ricostituzione o anche reintegrazione di qualcuno o di qualcosa nella sua condizione originaria. Il giubileo è la possibilità e l’invito a restituire al mondo la condizione originaria istituita dal creatore. Perciò Lc 4,16-21 presenta un riferimento di ampio respiro a un anno straordinario. Esso riporta il brano di Is 61,1-3, il quale diventa programmatico per la missione che Gesù va a cominciare e contiene il riferimento all’«anno di grazia del Signore». Anche per Luca c’è dunque un anno speciale che si distingue dagli altri perché vede la presenza di Gesù iniziare e compiere la sua missione, dichiarando egli espressamente che la profezia di Isaia trova esatto compimento qui e ora, nell’atto stesso con cui egli la proclama nella sinagoga di Nazareth. Qui il tempo giubilare si configura come quello segnato dalla presenza messianica di Gesù che porta a realizzazione tutte le opere che il giubileo prescriveva e che ora trovano pieno compimento nella sua persona e nella sua azione.
Vengono sottolineate le opere di liberazione dalla povertà, dalla prigionia, dalla cecità, dall’oppressione, anche dai cuori spezzati. Il messaggio culmina nella proclamazione di un anno di grazia del Signore. Il suo contenuto non può venire arbitrariamente spiritualizzato, poiché abbraccia una dimensione spirituale profondamente intrecciata con quella materiale. Una vera liberazione è integrale, precisamente là dove essa è inseparabilmente esteriore e interiore, personale e sociale. In questa maniera il giubileo di Gesù diventa un paradigma della vita cristiana e la visione di un’età di profondo rinnovamento per la vita dell’uomo che suscita un risveglio di speranza.
Significato del giubileo
Il giubileo è il custode di un grande dono di senso, perché riporta alla radice e al fondamento della vita e della fede. È un auspicio, un segno utopico, uno sguardo oltre il modo usuale di vedere e di vivere. Esso ha il potere di santificare. E santificare significa separare e distinguere. È il carattere e il potere proprio del divino, che attraverso il segno del giubileo riporta a ciò che è veramente e originariamente importante, e perciò altro rispetto al decadimento e alle dipendenze a cui rischiamo di abituarci e rassegnarci. Riportarsi all’originario e all’autentico significa liberarsi da tutto ciò che si è aggiunto di improprio e che ha snaturato le fattezze e l’identità originarie della persona umana, della comunità umana, dell’ambiente, del mondo intero.
Quest’originario da riscoprire riguarda anche la terra. Il riposo periodico della terra significa la restituzione alla sua integrità per come era uscita dalle mani di Dio. Il riposo sabatico dice che la terra è dono e che non dipende solo dal lavoro dell’uomo ma prima ancora dal suo creatore.
La riappropriazione della terra è inseparabile dalla riappropriazione della libertà, perché libertà esteriore e libertà interiore vanno di pari passo, si costruiscono insieme. E libertà significa interruzione dei processi di alienazione o di disumanizzazione. La forma prima e più evidente di tale interruzione è l’azzeramento delle ingiustizie e delle sperequazioni sociali e l’abbraccio della solidarietà come legge ultima delle coesistenza umana. Per questo i beni vanno considerati nell’ottica della loro destinazione universale e quindi dell’accesso universale ad essi. In questo modo la realtà del divino, il volto umano della persona e la relazione sociale delle persone si riscoprono strettamente intrecciati.
Un giubileo per noi
L’idea di fondo che emerge da quanto la Scrittura dice del giubileo è che viene un tempo in cui si fa urgente riportare persone e cose alla condizione originaria, come erano al principio, per ridare ad esse verità e dignità, equità e giustizia. Questa idea del ritorno a come si era all’inizio solleva almeno due difficoltà.
Peso del passato e fecondità delle origini
La prima riguarda il fatto che la storia non può essere cancellata e non si torna indietro. Con il passato è inevitabile continuare a fare i conti. Il peso di ciò che è avvenuto, di ciò che abbiamo fatto o abbiamo omesso non può essere semplicemente annullato, esso ci viene dietro con tutto il suo carico di conseguenze.
Non si può dunque far finta che nel nostro passato non sia successo niente e che si possa ritornare a capo come in un gioco che si ripete a piacimento senza fine. Ciò che è avvenuto, ciò che si è consumato nell’intreccio spesso complicato delle vicende umane e pur esercitando un influsso più o meno grande, tuttavia non cancella la libertà umana, non schiaccia la possibilità umana di riprendersi, di rivedere, di correggere, di ricominciare appunto. La persona non si riduce agli errori che ha fatto, è più grande di essi e da essi, con l’aiuto di Dio, può e deve riscattarsi.
E poi, con tutto il peso che il passato conserva, ogni essere umano rimane capace di distinguere tra bene e male, come anche di confrontare, valutare, giudicare la distanza tra la condizione attuale e quella ideale originaria, e con ciò il desiderio di ritrovarla. Le nostre persone e le nostre relazioni non sono condannate a rimanere nella condizione peggiore e nemmeno costrette a ripetere gli errori del passato; abbiamo la possibilità di riprenderci, di tornare ad essere noi stessi, di riscattarci dal male commesso e da tutto ciò che deturpa e degrada persone e cose. L’ideale intatto di ciò che siamo stati in una condizione immemoriale non può essere mai totalmente cancellato.
Il contributo specifico che il giubileo presenta, e in esso la fede cristiana, è che in tale sforzo di correzione e di ritorno alla condizione ideale originaria entra in gioco in maniera decisiva la grazia di Dio, senza la quale all’uomo con le sue sole forze risulta difficile venire a capo del giudizio sulle cose che non vanno e maturare la volontà e la capacità morale di riportarle alle loro condizioni di giustizia e di bene. E se il degrado fosse tale da avere spento ogni traccia e ogni desiderio di bellezza e di bene, toccherà a noi testimoniare il sapore della gioia e la nostalgia della felicità che l’incontro con il Risorto ci ha fatto pregustare.
Il passato non è il vecchio
Una seconda difficoltà, ancora, è propria di una mentalità di questo tempo. Sono tanti i segnali di una insofferenza ideologica nei confronti del passato. Il passato viene semplicemente identificato con ciò che è superato; ciò che conta è il presente e tutto ciò che serve a vivere bene qui e ora. È, questa, una distorsione dello sguardo e del giudizio difficile da correggere, perché tutto sembra indurre all’esasperazione dell’attualità, con i suoi strumenti tecnici e le potenzialità dell’universo digitale. Il passato viene considerato inutile e noioso; al contrario il presente è pieno, basta a tutto. Siamo nell’epoca dell’attimo fuggente, da cogliere al volo, possibilmente senza dover pensare ad altro.
Se le cose stanno così, come credenti non dobbiamo temere di andare controcorrente. Alla fine si tratta del destino dell’umano, oltre che della fede cristiana. La rimozione del passato – come ogni forma di rimozione – ha solo l’effetto di far perdere il contatto con la realtà e soprattutto la capacità di dare il giusto peso al presente e a ciò che esso richiede, così da riportarlo il più possibile alla sua verità.
Per la fede cristiana il passato è il luogo dell’evento sorgivo della salvezza (e prima ancora della creazione), con l’incarnazione, vita, morte e risurrezione di Gesù di Nazareth. Proprio quel passato è sempre attivo, vivo e fecondo. Come ha detto qualcuno, Gesù risorto è sempre nostro contemporaneo. Il passato in cui si collocano gli eventi che lo definiscono, costituisce un momento decisivo della storia che egli anche nel nuovo oggi occupa e riempie interamente. In questo senso il passato della storia della fede non diventa mai vecchio, perché è sempre vivo, attuale, contemporaneo. Con il giubileo noi siamo chiamati a diventare i suoi contemporanei di oggi, perché senza di lui diventiamo presto non solo il passato, ma il vecchio che non serve più. Mentre egli è il sempre nuovo, di ieri, di oggi, di sempre (cf. Eb 13,8).
Creaturalità e senso della fede
C’è un altro aspetto che qui entra in gioco, poiché alla fine la rimozione del passato è il risultato della sua svalutazione: vale ciò che adesso può essere compiuto e prodotto. La sfida è rivolta direttamente contro la fede cristiana e contro qualsiasi fede religiosa che riconosca in Dio o nel divino l’origine di tutto. Anche su questo punto il giubileo ci tocca e interpella. Esso invita a non dimenticare che l’essere umano non viene da se stesso ma si riceve da un altro. Non è l’origine di se stesso, ha origine da altro. Il primo compito del giubileo è proprio questo: richiamare alla coscienza dell’essere originati da qualcun altro. Esso riconduce alla purezza della fede, che mi fa dire: io non vengo da me stesso, vengo da altri, vengo da Dio, sono dono di Dio. Per questo la fede nella creazione di Dio è fondamentale per riconoscere il valore di realtà e il posto giusto a tutte le cose, a cominciare dalla persona umana. A questa contribuisce il senso del sabato e del giubileo con al primo posto il riposo della terra e di chi lavora.
Se io sono frutto della gratuita iniziativa creatrice di Dio, il mio rapporto con me stesso, con Lui, con la realtà, con gli altri è guidato da questa fondamentale relazione generativa. Innanzitutto mi accolgo come dono, poi mi dirigo con inesauribile gratitudine a colui che mi ha fatto dono, infine mi relaziono alla realtà tutta con il rispetto e l’amore che il mondo creato con me e per me richiede; soprattutto con lo stesso rispetto e amore mi pongo nei confronti dei miei simili, delle creature umane tutte che come me sono dono, e perciò uguali a me, con la medesima grandezza, dignità, responsabilità.
Il giubileo diventa così l’occasione e il tempo per ritrovare l’autenticità della propria fede personale ed ecclesiale come pure di tutti i rapporti umani. Abbiamo bisogno di riscoprire l’atteggiamento di fondo che la fede ispira, e cioè il senso della gratitudine per il dono della vita e della fede. L’orgoglio della vita, la pretesa di esserne autori e padroni assoluti, è in diretto contrasto con il senso elementare della fede, che lo considera vuoto e vano, semplicemente perché nega la verità primordiale della condizione umana. Questo non vuol dire sminuire il valore della libertà e dell’autonomia dell’essere umano; riconoscere il creatore e la propria dipendenza da lui è la base di ogni autentica identità e dignità, anzi diciamo pure di ogni grandezza dell’essere umano.
Il giubileo diventa così l’occasione per rivedere il nostro atteggiamento di fondo nei confronti della vita. Spesso andiamo avanti presi dalle cose di ogni giorno ma senza capire perché e verso dove stiamo andando. E il rischio è che dello stesso giubileo rimanga solo qualche brandello di memoria di eventi pubblici o di celebrazioni straordinarie. Nel frattempo una porzione della nostra vita, più o meno lunga, se ne va, tra un giubileo e l’altro, e nulla cambia del nostro modo di pensare e di agire. Bisognerebbe lasciare risvegliare la coscienza di ciò che rimane inadempiuto, imperfetto, sbagliato, o anche solo non capito e non pensato. Abbiamo bisogno di questo “riposo divino” che è il sabato e il giubileo per ritrovare noi stessi, il nostro vero volto, la nostra collocazione nel mondo della vita nostra e altrui.
Dimensione personale del giubileo
Fare giubileo ha dunque un primo carattere strettamente personale, che tocca la coscienza morale e l’esame delle responsabilità proprie nei confronti di sé stessi e di altri. È questo il momento di rivedere a che punto è il nostro cammino dinanzi a Dio, e se e in quale modo la nostra figura di credenti e la conduzione della nostra esistenza siano conformi al modello che ci è proprio e che ci definisce come creature dell’amore di Dio in Cristo e come chiamati a una specifica vocazione: familiare, professionale, sociale, ecclesiale, ministeriale.
Perciò un momento di grande rilievo della celebrazione giubilare è quello penitenziale, come richiesta di perdono e accesso al perdono sacramentale e alle indulgenze, ma comprensivo delle decisioni e dei gesti necessari a risanare relazioni ferite, offese arrecate, a promuovere solidarietà e fraternità là dove viviamo e con tutti quelli con cui conviviamo o veniamo in contatto. L’anima del cammino penitenziale è il ritorno cordiale a Dio che in Gesù e con la forza dello Spirito ci fa misericordia e ci riaccoglie. È la grazia della comunione, che Egli ci concede con sempre nuova e larga generosità, il principio generativo di ogni recupero di integrità personale e di armonia nei rapporti con gli altri e con la realtà tutta.
Un giubileo per la terra
L’esperienza giubilare suggerita dalla Scrittura apre, tra altri, due piste di approfondimento e di azione, che vanno oltre l’ambito strettamente personale di responsabilità e raggiunge il livello della dimensione sociale e politica del bisogno che sentiamo di recuperare integrità e bene in ogni ambito di vita. Il tema biblico del riposo della terra tocca direttamente la questione ormai così viva del nostro rapporto con l’ambiente e con la terra tutta su cui viviamo. Dobbiamo imparare ancora di più e meglio che cosa comporti la necessità di rivedere il nostro modo di usare dei beni della terra e della nostra responsabilità di custodire l’ambiente attorno a noi, che significa non solo proteggere ma anche promuovere e far crescere bene. Il nostro modo di usare, nel privato e nel pubblico, le risorse e le energie che la terra ci mette a disposizione non rimane mai estraneo al nostro rapporto con Dio e alla nostra responsabilità morale nei confronti di noi stessi, dei nostri simili e delle nuove generazioni. I nostri sprechi e le nostre attività inquinanti non passano inosservati agli occhi di chi ne percepisce il significato e il peso. Nessuno può dire onestamente su questo punto, e non solo su di esso: io non c’entro, la cosa non mi riguarda, non mi interessa e faccio quello che mi piace e mi fa comodo. Ora sappiamo che ne rispondiamo dinanzi a Dio come di ogni altra nostra azione.
Ritrovare fraternità
Una seconda pista interessa le relazioni interpersonali e sociali. Le disuguaglianze sono purtroppo così consolidate ormai e siamo così assuefatti a tante forme di ingiustizia che giudichiamo immutabili le situazioni sociali attorno a noi, sempre che ci pensiamo; se non accade addirittura che tutto ci sembri parte del panorama naturale, e quindi fisso, di quanto ci circonda e non passa nemmeno lontanamente il pensiero che ci siano cose da cambiare e molto da fare. Insieme alla dimensione personale, in base alla quale ognuno è chiamato a rispettare ogni persona e a fare di tutto perché essa sia tutelata nella sua integrità e nel suo buon diritto, bisogna imparare a farsi carico della dimensione sociale, politica e istituzionale. Nessuna ingiustizia e nessuna disuguaglianza deve essere accettata con fatalistica rassegnazione e tanto meno con scarico di responsabilità personale. Ogni forma di schiavitù, sia essa di tipo materiale o di tipo morale, psicologico e sociale, deve essere individuata e combattuta, perché grida vendetta al cospetto di Dio, che ci crea tutti uguali e liberi, e chiede che ci adoperiamo per difendere l’uguaglianza e la libertà di tutti e di ciascuno. Non possiamo dimenticare, a questo proposito, le vittime di quell’ingiustizia e di quello sfruttamento sul lavoro che affligge tanti nel nostro territorio, in particolare stranieri immigrati. Non è l’unica forma di ingiustizia, ma essa ha assunto il valore di simbolo espressivo e riassuntivo di tutte le ingiustizie che questa terra patisce. Come creature dotate di coscienza e come credenti, dobbiamo adoperarci perché esse siano contrastate e superate.
Una Chiesa che fa giubileo
Il carattere sociale e perfino cosmico del giubileo interpella e mette in questione anche la Chiesa come tale nel suo carattere sociale e istituzionale. Anch’essa, come comunità e come istituzione umanamente riconoscibile, ha bisogno di fare verifica, di esaminarsi, di guardare il suo volto per ritrovarlo nella sua forma più autentica e splendente. Anche questa è un’operazione, per così dire, eminentemente spirituale, poiché il soggetto che innanzitutto e propriamente agisce è lo Spirito del Risorto, il cui corpo è formato dalla comunità dei credenti in Cristo. Ma l’azione dello Spirito rende possibile e attende la risposta fattiva di tutti e di ciascuno dei membri della Chiesa perché si adoperino nel far crescere l’unità – «perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21) – e si realizzi la comunità nella quale si incarna lo splendore della rivelazione, il fascino della fede, il modello di una umanità nuova, ricreata a immagine del primo uomo, non l’Adamo caduto, ma l’uomo nuovo per eccellenza, Gesù Cristo Signore. La Chiesa ha a che fare con questa vocazione originaria e con il destino ultimo dell’umano, e ad essa sa di dover rispondere in tanti modi. Come Chiesa particolare abbiamo la responsabilità di verificare come la vocazione e la missione che ci sono affidate debbano trovare adempimento.
Gli ambiti su cui impegnare la nostra riflessione e la nostra azione sono quelli che ci vedono già occupati nei compiti propri della nostra responsabilità ecclesiale: la comunione del presbiterio e nella comunità diaconale, l’edificazione di parrocchie tese sempre più a diventare comunità vive, la collaborazione tra parrocchie secondo un modello che stiamo gradualmente definendo e attuando, la cura della vita cristiana nel suo nascere con l’iniziazione cristiana e nel cammino ordinario di vita di singoli e famiglie secondo i tempi e i passaggi dell’esistenza e della comune condizione umana. Su tutto questo, e su altro che può essere messo a tema per una riscoperta del volto autentico della nostra Chiesa, il cammino giubilare di quest’anno deve essere motivo e occasione di riflessione, di confronto, soprattutto di preghiera e, non ultimo, di decisione e di azione.
Un invito e una icona
L’invito su cui vorrei chiudere questa lettera è suggerito dalla Bolla con la quale papa Francesco ha indetto il giubileo del 2025. Egli ha voluto dare un tema al giubileo con un preciso riferimento alla speranza, secondo l’espressione di Rm 5,5 adottata come titolo: Spes non confundit (9 maggio 2024). La speranza presenta peraltro un nesso molto stretto con il significato del giubileo così come la Scrittura ce lo presenta. Prima di essere un adempimento, infatti, il sabato, l’anno sabatico e il giubileo costituiscono il segno e la memoria riconoscibili che non siamo condannati a rimanere fautori ostinati e vittime impotenti del male e del peccato; è annunciata infatti la promessa e la possibilità reale di una remissione che vince il peso schiacciante delle cadute e delle colpe e restituisce alla capacità di cercare e di riscoprire il volto autentico dell’uomo e della creazione tutta secondo il disegno originario di Dio. Questo il credente lo sa con la certezza della fede e in qualche modo lo possiede con il pegno che viene dalla speranza riposta senza riserve in colui che è fedele e non delude mai nessuno di quanti si affidano a lui. Con questo atteggiamento siamo sollecitati a guardare noi stessi e il mondo attorno a noi, così che la grazia di questo giubileo rigeneri profondamente la nostra interiorità, la nostra vita, il mondo attorno a noi.
In ultimo suggerisco una icona che ci accompagni nel corso di quest’anno. Quella che suggerisco non contiene alcun riferimento al giubileo, ma presenta uno dei frutti del giubileo, o meglio uno dei frutti dell’anno di grazia che Gesù proclama all’inizio della sua vita pubblica dichiarando l’attuazione piena in lui di quanto il profeta Isaia aveva annunciato alcuni secoli prima. Zaccheo è una di quelle figure, come altre, che nel vangelo di Luca mostra che cosa debba significare fare giubileo, accogliere l’appello a recuperare l’identità originaria propria e altrui creando di nuovo equilibrio, facendo giustizia, rimettendo il non dovuto e ritrovando la libertà per sé e per gli altri.
Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto (Lc 19,8).
Ciò che permette di fare un tale passo, di ricevere e prendere la decisione di una simile remissione, è il ritorno a Dio e alla sua verità e giustizia, alla sua visita e alla sua amicizia, grazie all’incontro con Gesù Maestro e Signore. Perciò Gesù può dare parola a ciò che è avvenuto e si è compiuto: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,9-10). Nessuno è escluso dal giubileo e nessuno deve sentirsi perduto, perché proprio per lui è venuto il Signore e viene proclamato l’anno di grazia. Raccogliamo anche noi l’invito a tornare all’essenziale. Impariamo di nuovo, se lo abbiamo dimenticato o si è oscurato, a mettere Dio al centro: Egli non si è stancato di cercarci e di attirarci sempre di nuovo a sé.
A conclusione, una apertura
La decisione di Zaccheo – di ripagare i derubati e dare ai poveri – restituisce al giubileo tutta la concretezza con cui è impastato fin dalla sua istituzione. Un tratto inconfondibile del giubileo è l’irriducibile consistenza sociale ed economica. Quando esso ricorre, più facilmente tutte le forme di ingiustizia e di diseguaglianza vengono a galla come evidenze non occultabili. La Chiesa ne è stata e ne è sempre consapevole, quando, per esempio, ha invocato la cancellazione dei debiti dei Paesi poveri da parte dei Paesi ricchi creditori. A partire da questa proposta di stile inconfondibilmente giubilare, abbiamo più che mai bisogno di guardare questo orizzonte storico e sociale con occhi diversi da quelli con cui gli occhiali dell’abitudine ci hanno assuefatti a vedere.
Così, possiamo notare come nel mondo di oggi i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Crescono le moltitudini di miserabili che bussano alle porte dell’Occidente, che con tutti i suoi problemi rimane incomparabilmente più ricco di tanti e tanti Paesi, le cui economie, a volte di diversi di loro messi assieme, sono sopravanzate dalle ricchezze di una sola persona che ha accumulato fortune immense. Non ci rendiamo conto di quale sia la forza della disperazione di chi fugge dalla miseria e dalla guerra a rischio della vita pur di tentare la fortuna (non era questa una frase che interpretava la decisione di tanti nostri connazionali di emigrare fuori dall’Italia dalla fine dell’Ottocento in avanti?).
Senza addentrarci in questioni di tecnica finanziaria ed economica, non possiamo non constatare come la finanza oggi sia sempre più autonoma dall’economia reale. Sembra diventato un ideale da perseguire quello di vivere di rendita, accumulando ricchezza con la sola attività finanziaria e non lavorando, producendo, trasformando. Di fatto però chi è fuori dai grandi circuiti della circolazione di denaro, e cioè la grande massa delle persone, continua a penare per riuscire ad arrivare a fine mese. Lo stesso sistema creditizio sembra sfruttare il piccolo risparmio privato per garantire se stesso e accumulare ricchezza in concentrazioni sempre più lontane dalla vita reale delle persone e dei loro bisogni. La struttura anonima del sistema bancario e delle grandi multinazionali sembra essere fatta apposta per aggirare e sfruttare la massa degli individui che ad essi ricorrono.
Ci avvediamo subito che sono questioni troppo grandi per noi comuni cittadini. E tuttavia dobbiamo a noi stessi almeno la possibilità di non smarrirne del tutto la drammatica coscienza. Anche perché c’è un legame non sempre facilmente discernibile ma reale tra le tante forme di dipendenza, prime fra tutte la droga e il gioco d’azzardo, che fanno la miseria di molti e la fortuna di pochi. Per non parlare della produzione e del commercio delle armi, in forza dei quali fattori politico-sociali e fattori economici si intrecciano e si confondono nell’innescare guerre tremendamente sanguinose. Bisognerebbe sapere meglio come sia possibile fare economia senza rimanere abbagliati e ingannati dall’idolo del profitto a tutti i costi, come tentano efficacemente di fare l’economia sociale di mercato e soprattutto l’economia civile.
Senza perdere questo orizzonte, siamo chiamati dalla ricorrenza giubilare a guardarci attorno, lì dove viviamo, per chiederci come creare condizioni di uguaglianza e di giustizia nelle nostre comunità. Si richiede un esame di coscienza personale, sul nostro rapporto con i beni, con il lavoro, con gli altri anche dal punto di vista della giustizia sociale. Ma poi dobbiamo chiederci come migliorare le condizioni di chi sta peggio di noi, come accrescere il senso della solidarietà, soprattutto il senso della fraternità all’interno delle nostre realtà ecclesiali, segnate da condizioni anche materiali diverse e tra le quali dovrebbero mettersi in moto iniziative e gesti di aiuto e di sostegno.
Su tutto ciò dovremmo avviare una seria riflessione, come dovremmo farlo riguardo almeno a due altre realtà, lo sfruttamento del lavoro (e pensiamo al giovane indiano Satnam Singh, che ha perduto la vita sul lavoro in maniera così crudele e indegna nelle campagne del nostro territorio, diventato simbolo di tutti gli immigrati vittime dello sfruttamento sul lavoro in Italia) e la cura dell’ambiente. In molti si è presi da idolatrie che derivano dall’assolutizzazione del guadagno e del profitto, così da perdere perfino il senso della intangibilità e dignità di ogni singola persona umana, e da perdere il senso del valore dell’ambiente attorno a noi, quasi che i beni che sono comuni – la terra, l’acqua, i diversi tipi di energia, gli spazi urbani e tutte le risorse di cui disponiamo – vadano solo consumati ed eventualmente sprecati, e comunque non curati una volta soddisfatti i propri bisogni.
Il giubileo diventi davvero l’occasione per una radicale revisione e correzione di un andazzo di vita personale e sociale che alla fine risulta miope perché autolesionistico e distruttivo. Noi credenti dobbiamo prendere coscienza, ora più che mai, che tutto questo è la fede a chiederlo e che essa non può più ridursi a un vago intimo sentimento o a una osservanza formale di pratiche e di riti.
Indice
Il giubileo nella Sacra Scrittura
L’Antico Testamento
Il Nuovo Testamento
Significato del giubileo
Un giubileo per noi
Peso del passato e fecondità delle origini
Il passato non è il vecchio
Creaturalità e senso della fede
Dimensione personale del giubileo
Un giubileo per la terra
Ritrovare fraternità
Una Chiesa che fa giubileo
Un invito e una icona
A conclusione, una apertura
[1] Troviamo riferimenti all’anno sabatico anche in Es 23,10-11; Dt 15,1-11; Ger 34,8-22; e poi allusioni in Is 61,2; Ez 46,17; e ancora in Ne 10,32 e 1Mac 6,49-54.