«Vittima di una violenza insensata», a Fossanova i funerali di Vittorio Iacovacci

Questo pomeriggio il vescovo Mariano Crociata ha celebrato i funerali di Vittorio Iacovacci, il trentenne carabiniere ucciso in Congo insieme all’ambasciatore Luca Attanasio, cui era assegnato come scorta per i suoi spostamenti istituzionali.

Di seguito l’omelia pronunciata da monsignor Crociata
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OMELIA

Fossanova, 26 febbraio 2021

Funerali del carabiniere Vittorio Iacovacci (2Cor 4,14-5,1; Gv 14,1-6)

+ Mariano Crociata

Anche se ne abbiamo ascoltate molte e di significative in questi giorni, sentiamo che non ci sono parole adeguate a esprimere l’enormità di quanto è avvenuto. La morte è sempre una enormità, ma mai quanto lo è quella che avviene con la violenza nei confronti di un giovane che ha messo la sua vita a servizio dello Stato e del bene di altri.

Più che le parole possono i gesti, come quelli a cui stiamo assistendo, e in qualche modo anche ponendo, in questi giorni fino a oggi. La nazione intera, e non solo la nostra, si è stretta attorno a coloro che sono caduti vittime di una violenza insensata, attorno a Vittorio e alla sua famiglia, al papà e alla mamma, alla sorella, al fratello, alla fidanzata; una famiglia, peraltro, a cui lo Stato deve molto. E prima ancora lo hanno fatto parenti e amici, il borgo di Capocroce e il paese intero di Sonnino, la comunità parrocchiale e noi tutti, oggi qui convenuti per porgere a Vittorio l’estremo saluto e far sentire ai suoi cari la nostra partecipazione al loro dolore, la nostra vicinanza e il nostro desiderio di offrire, o almeno invocare, sostegno e forza in una prova così grande.

Non ci sono parole adeguate ma abbiamo bisogno di mettere in parole ciò che sentiamo, pensiamo, viviamo. E la prima parola che sentiamo di dire ha la forma di una domanda. Perché qualcuno deve spiegare, non solo quel che è successo, ma perché è successo. Non tocca a noi e non è questa la sede per trattare simili questioni, anche perché molto più grandi di noi e perché vedono uomini e istituzioni impegnati a occuparsene con la necessaria competenza e diligenza. Ma la domanda persiste e ci tocca intimamente, se un figlio di questa terra viene massacrato così come siamo stati costretti a vedere fino a poterne solo piangere. Le vittime di uno stato di cose profondamente iniquo e violento, interpellano soprattutto quelle coscienze e quegli organismi e istituzioni che lo tollerano o lo alimentano.

Unita alle domande che continueranno a inquietarci, c’è una parola che non viene da noi ma dalla nostra fede. Non è una parola che si aggiunga dall’esterno al modo di una retorica consolazione, ma una parola che in qualche modo è scritta nelle cose, nei fatti, proprio in ciò che è accaduto. Infatti, il senso cristiano di ciò che è accaduto non va cercato lontano, ma proprio nel gesto compiuto da Vittorio e da quelli che sono stati vittime della violenza omicida insieme a lui. Egli era lì a svolgere un servizio mirato alla sicurezza di chi operava a favore del dialogo tra le nazioni, di iniziative umanitarie di organizzazioni e uomini dedicati a cercare la pace e il benessere degli abitanti di quelle regioni dell’Africa. Proprio nello svolgimento di tale servizio e proprio da parte di quelli a favore dei quali operava, è venuta contro Vittorio la violenza che lo ha portato alla morte. Non leggiamo in questa vicenda, come in filigrana, quello che è avvenuto a Gesù? Anche lui si spendeva con la parola e i gesti, con tutta la sua persona, per il bene di quelli che poi lo hanno, alla fine, ricambiato mettendolo in croce.

Questo sguardo di fede davvero ha il potere di illuminare e di consolare, non con le parole buone che pure possiamo cercare di formulare, ma con la parola stessa di Dio che è Gesù. Il gesto di Vittorio, consapevole del rischio che correva abbracciando questo servizio, assume un valore incommensurabile nel suo accostamento a quello di Gesù, perché, pur in mezzo al dolore più straziante e inconsolabile, ci parla del senso della vita, della nostra vita, di noi che viviamo in relativa serenità e sicurezza rispetto a chi è esposto a immani violenze e sopraffazioni. Vittorio ci richiama e ci fa rivivere il senso cristiano della vita, che noi credenti in Gesù riconosciamo perfettamente in lui nostro Signore: ci siamo a questo mondo per metterci al servizio del bene gli uni degli altri. Viviamo veramente – ci dice Gesù, e ora anche Vittorio – non se pensiamo solo a noi stessi, ma se impariamo ad aiutarci gli uni gli altri, a metterci al servizio gli uni degli altri, a capire che dedicarsi al bene degli altri è la fonte del bene e della gioia più grandi che possiamo cercare nella vita.

Certo, quello che abbiamo dinanzi, la bara di Vittorio, sembra dirci tutto il contrario; ma, in verità, questo sacrificio così alto porta un bene che noi non conosciamo e che può perfino suscitare la ribellione di chi come voi, cari familiari di Vittorio, avete subito una lacerazione così profonda sulla carne viva dei vostri affetti e della vostra intima unione familiare. E il bene che porta è il movimento di giustizia e di cambiamento che quel che è avvenuto produrrà nel paese africano in cui la tragedia si è consumata; è il movimento di ammirazione e di imitazione che il gesto di Vittorio e dei suoi compagni suscita in tutti noi, desiderosi, sì di giustizia e di verità, ma ora con lui desiderosi anche di rendere più splendente il suo esempio e la sua memoria con una vita di servizio e di dedizione agli altri, che solamente dà senso e pienezza anche alla nostra vita. Tutto questo non ci restituirà Vittorio, ma forse ce lo ridarà in modo diverso e nuovo, quel modo che la fede ci fa conoscere e affida, insegnandoci a leggere nel visibile, e oltre esso, la realtà vera che facciamo fatica a riconoscere, ma che non è altrove o lontano, bensì è dentro ciò che vediamo e viviamo, perché è ciò che a tutto conferisce consistenza e verità.

In questo modo le parole della Scrittura che sono risuonate attraverso le pagine di Paolo e del vangelo di Giovanni prendono una forza fino ad ora non immaginata, perché parlando di risurrezione e di vita nuova, e annunciando la promessa di Gesù di essere dove lui è, ci dicono che la nostra appartenenza alla vita di Gesù risorto comincia già ora e attende di compiersi a misura della nostra corrispondenza, che lo abbraccia come via, verità e vita; il suo dono, infatti, è illimitato e incondizionato, dal momento che il Risorto non vuole altro che darci la sua vita e farci vivere di lui e con lui.

Con questi pensieri affidiamo il nostro fratello all’amore e alla misericordia di Dio, certi che Egli l’ha già accolto donandogli pace e gioia senza fine, mentre ci ripromettiamo di riprendere un cammino di vita segnato dall’esempio di Vittorio e dalla comunione con lui che la fede e la grazia di Dio ci assicurano, fino al pieno comune ricongiungimento nell’unità del Regno di Dio.

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