Veglia di Pentecoste:dobbiamo cogliere i segni dello Spirito all’opera ed essere disponibili ad essa

Sabato sera, 3 giugno 2017, nella cattedrale di S. Marco, a Latina, è stata celebrata la Veglia di Pentecoste, presiedua dal vescovo Mariano Crociata.
DI seguito si riporta l'omelia pronunciata da mons. Crociata:

I discorsi di addio di Gesù secondo il Vangelo di Giovanni ci hanno accompagnato in queste ultime settimane così da farci entrare sempre di nuovo nel suo intimo sentire, particolarmente nella sua preghiera fatta di dialogo ininterrotto con il Padre. Lo Spirito Santo è personalmente il dialogo di Gesù con il Padre, al quale egli ci ammette nell’atto di consumarsi per noi; così anche noi veniamo a trovarci dentro il dialogo d’amore della Trinità santissima. Lo stesso Spirito sollecita la nostra disponibilità a fare spazio alla divina presenza e a lasciarci plasmare dal fuoco d’amore che circola tra il Padre e il Figlio.

Qui è il nucleo infuocato della nostra unità di Chiesa. È un bisogno di fede e di Chiesa ritrovarsi nella Veglia di Pentecoste per lasciare che lo Spirito fonda e modelli sempre meglio quella forma che è stata impressa in noi con il battesimo e che egli non cessa di rifinire con la Parola e i sacramenti della nostra fede per fare di noi una unità con lui e tra di noi. Per questo le letture proclamate ci fanno compiere un percorso di scoperta del potere di unificazione e comunicazione propria dello Spirito nonché di trasmissione della Parola e della legge di Dio, della sua forza vivificante che dona vita nuova e spirito profetico in mezzo a tutto il popolo, della preghiera che suscita e della presenza rigenerante che insedia nel cuore dei credenti.

Abbiamo molti motivi per ringraziare il Signore e adorarlo per la grazia dello Spirito che incessantemente e abbondantemente effonde su di noi e sulla nostra Chiesa. Non ci devono ingannare le fatiche e i motivi di sconforto che pure non mancano, perché sono molti di più e soprattutto più forti i motivi per ringraziare e sperare. Quando pure constatiamo, per esempio, la fatica vocazionale e il limitato numero di persone dedicate al ministero ordinato, altrettanto prontamente possiamo e dobbiamo richiamare che di doni ne abbiamo ricevuti, e di rilievo. Già solo a guardare l’anno in corso, non possiamo trascurare che nella nostra Chiesa sono germinati significativi frutti di grazia: ancora un vescovo preso dal nostro presbiterio, e poi due sacerdoti, un passionista di Borgo Vodice e un religioso dell’istituto del Verbo incarnato di Pontinia, che saranno prossimamente ordinati; e per la nostra Chiesa, presto avremo l’ordinazione di un presbitero e poi ancora di tre diaconi, uno transeunte e due permanenti. Ancora un segno, poi, ci dà consolazione e speranza per la nostra diocesi: don Alessandro Trani riprende, con questa Pentecoste, l’esercizio del ministero presbiterale. Ringraziando il Signore, lo riaccogliamo con calorosa e gioiosa fraternità nel nostro presbiterio.

Accanto a questi, sono tanti i segni di speranza, anche se non sempre visibili, come, ad esempio, gli sterminati servizi ecclesiali svolti spesso nell’ordinarietà della vita delle comunità parrocchiali e in tutte le realtà ecclesiali negli ambiti della catechesi, della liturgia, della carità e del volontariato, per non dire della preziosa testimonianza della vita religiosa. Davvero sarebbe impossibile ricostruire il tessuto di grazia che si intreccia attorno a noi e ci avvolge come una rete protettiva che il Signore ci stende sopra per assicurare un adeguato cammino alla nostra Chiesa. Quanta preghiera e quanta offerta si levano a Dio dentro il ritmo consueto della vita di tante famiglie, per non dire degli anziani e dei malati che in casa o nelle strutture sanitarie si consumano come candele alla fiamma ardente della sofferenza sopportata e donata con fede e amore! Ma sarebbe impossibile, e perfino azzardato e quasi sacrilego, pretendere di ricostruire la trama di grazia che lo Spirito non cessa di tessere dentro le nostre vite e le nostre relazioni. Solo per questo tutto ciò va richiamato, perché lo scoraggiamento e lo sconforto non abbiamo mai a prendere piede o, peggio, ad avere il sopravvento, sia pure nei momenti più bui della vita personale e del cammino comune di Chiesa. Lo Spirito è all’opera e il nostro compito è solo quello di renderci interiormente sensibili per cogliere i segni della sua opera e sempre più disponibili ad essa.

L’anno pastorale che stiamo portando a compimento ci trova in piena sintonia con questo disegno di grazia che lo Spirito invisibilmente va delineando e ora, a Pentecoste, con più chiarezza si palesa. Se infatti abbiamo cercato l’ascolto dell’altro come condizione dell’annuncio, è perché non possiamo cogliere nell’altro se non i segni dell’azione dello Spirito. Non siamo andati a cercare nelle indagini sociologiche i criteri per discernere l’azione dello Spirito, piuttosto e al contrario abbiamo invocato lo Spirito e scrutato con esso le Scritture per cogliere Dio all’opera nella nostra vita e nella nostra storia, eventualmente servendoci anche di strumenti sociologici di conoscenza. Il presupposto di fede da cui muoviamo, infatti, è che, con le nostre iniziative pastorali, noi arriviamo sempre dopo, in seconda battuta. Prima di noi è già passata l’azione dello Spirito. Non fosse per questo, la nostra azione pastorale troverebbe il deserto e, soprattutto, sarebbe essa stessa sterile e inutile. Come è desiderabile che tutti impariamo lo stile proprio del Vangelo, quello veramente spirituale, che si domanda di fronte ad ogni persona: che cosa lo Spirito sta compiendo in lei, qual è la sua relazione con Dio, che cosa posso fare per favorire l’iniziativa divina? Quanta rozzezza e superficialità sarebbe evitata e quanta delicatezza, discrezione e rispetto dovremmo ancora imparare! C’è un vezzo tipicamente clericale, non nel senso che sia esclusivo di preti, ma piuttosto frequente in tanta gente di Chiesa: quello di considerarsi superiori a chiunque si avvicini a noi, per la prima o per l’ennesima volta, chiedendo qualcosa talora pure con senso di pretesa, magari mostrando tanta ignoranza in fatto di religione e di pratica ecclesiale; un considerarsi superiori che porta a trattare le persone, nel migliore dei casi, con sufficienza e sbrigatività, se non peggio, con arroganza e sprezzo. Ma anch’essi, probabilmente destinati a diventare sempre più numerosi, sono toccati in qualche modo dallo Spirito, anche la loro coscienza è terra sacra, anche il loro rudimentale o inconsistente cammino di vita è luogo religioso, spazio su cui lo Spirito sta operando in quella maniera misteriosa che gli è propria. Forse solo un di più di pazienza e di comprensione sarebbe sufficiente per suscitare una disponibilità maggiore di quella che ci tocca riscontrare di solito in simili circostanze. Le persone sono tutte dello Spirito, come la Chiesa non è nostra ma di Dio e del suo Cristo. Le nostre organizzazioni dovrebbero sempre sottomettersi al suo primato e alla sua iniziativa. E se proviamo, qualche volta, a portare lo sguardo sul mondo esterno alle nostre comunità, ci accorgeremo che ci sono presenze di bene e di verità che fermentano luoghi che nulla sanno di Chiesa. Anche questo dobbiamo ascoltare con attenzione e rispetto, con senso dello Spirito di Dio, che agisce, grazie alla risurrezione di Cristo, in un modo che solo Dio conosce, come insegna il Concilio (cf. Gaudium et spes, n. 22).

Qui sta il cuore dell’ascolto dell’altro. Tale atteggiamento diventa spontaneamente ed efficacemente evangelizzante, perché suscita l’attenzione e l’ascolto del nostro interlocutore, il quale è portato a interrogarsi sul senso del nostro modo di essere, oltre la percezione della naturale urbanità e cortesia. Non a caso lo stesso evangelista Giovanni ci lascia scritto: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (13,35). Il nostro modo di essere parla prima e più delle nostre parole. Sta qui – nel primato e nella precedenza dell’azione dello Spirito e nello stile di relazione con gli altri che ne scaturisce – la radice e il senso del congiungimento di ascolto e annuncio che abbiamo perseguito nel corso di questo anno pastorale. Un obiettivo che non abbiamo la presunzione di avere già raggiunto, ma che rimane al centro della nostra attenzione e del nostro impegno, come del resto vi rimane l’ascolto della Parola e tutte quelle forme di conoscenza, riflessione e preghiera sulla Scrittura che le nostre comunità hanno cominciato o continuato a praticare.

È a questo punto che sorge una nuova domanda per noi: che cosa ci chiede oggi lo Spirito, in continuità e sulla lunghezza d’onda del cammino già compiuto e appena richiamato? Non ci possono essere risposte precostituite. Perciò vi rifletteremo su nelle prossime settimane in due sedi importanti per la vita della nostra Chiesa: l’assemblea del clero e la riunione congiunta dei consigli diocesani presbiterale e pastorale. Di certo, nondimeno, possiamo dire che abbiamo bisogno di ripensare il modello di comunità ecclesiale che siamo abituati a pensare e praticare, a cominciare da quella parrocchiale (nella direzione di quella “conversione pastorale e missionaria” alla quale ci invita insistentemente papa Francesco fin dalla Esortazione apostolica Evangelii gaudium, nn. 5-27, 30-32, 97); e abbiamo bisogno di delineare e proporre a noi stessi e anche alla comunità civile un’idea, un’immagine e una attuazione di persona, di essere umano, senza le quali è da considerare sotto minaccia il futuro della nostra convivenza, per motivi su cui non ci soffermiamo ma che sono sotto gli occhi di tutti. Le due cose sono strettamente unite, perché è tipico del cattolicesimo, per quanto non sempre compreso e praticato, non cercare una salvezza dell’anima disincarnata rispetto a un vissuto esistenziale e storico e a una dinamica sociale alla quale un cristiano non è e si può sentire mai estraneo. Sono temi di grande rilievo e di lungo periodo, ma è bene fin d’ora tenerli presenti e non perderli di vista. L’ascolto del Signore e dell’altro ci apre a direzioni lungo le quali soltanto ci diventa possibile crescere, nella coscienza credente e nella presenza sociale. Anche a questo ci conduce il soffio dello Spirito, al quale vogliamo affidare ogni nostra aspirazione e ogni attesa, perché risulti vagliata al fuoco del suo amore e attuata con la forza della sua vivificante energia.  

 

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