«Questo Natale porti una rinascita di autenticità, di spirito di dedizione e di servizio, amore alla vita, fede e spirito evangelico… che ci renda sempre simili a Gesù»

Il vescovo Mariano Crociata per Natale ha celebrato la Messa della notte nella cattedrale di S. Marco, a Latina, mentre la Messa del giorno nella concattedrale di S. Cesareo a Terracina.

In basso i testi delle due omelie. 

 

OMELIA

Natale, Messa della notte

Latina, cattedrale di S. Marco, sabato 24 dicembre 2016

+ Mariano Crociata

La liturgia della notte insiste sulla figura del bambino. Lo fa Isaia, quando dice: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio”, trovando in questa notizia un motivo di gioia incontenibile, di esultanza oltre ogni dire. Lo ribadisce il Vangelo, da cui abbiamo ascoltato: “oggi nella città di Davide, è nato un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. Il contrasto è forte: da un lato il Salvatore, dall’altro un bambino.

In ambedue i casi cogliamo una sproporzione, tra la fragilità del bambino e la potenza del Salvatore, tra l’annuncio della nascita e la gioia che ne scaturisce. Ma non è un fatto sentimentale a suscitare emozione e sguardo sul futuro, né un cedimento alla retorica dell’innocenza e delle speranze racchiuse nei piccoli a caratterizzare il Natale. È piuttosto una convinzione e una certezza a venire proclamata: l’opera di Dio ha umili e fragili inizi, e una crescita graduale, ma la sua efficacia e i risultati sono infallibili e irresistibili. È Gesù stesso a darne prova, con una storia di vita, con parole e opere che hanno confermato fino alla fine il suo provenire da Dio e il suo essere mandato da Lui.

In qualche modo Gesù ha sempre conservato il segno del bambino, è rimasto bambino nel senso evangelico del termine: nel senso, cioè, di colui che si fida incondizionatamente di Dio, cerca solo di conoscere e fare la volontà del Padre, non cede mai alla prepotenza e alla sopraffazione come mezzo per affermarsi e nemmeno per affermare la verità di Dio. Questo assume un significato speciale non solo in questi ultimi giorni ma in generale nella nostra epoca, nella quale si uccide in nome di Dio, anche se nel nome di un dio che sta solo nella testa di persone esaltate e fanatizzate, prive ormai di ogni ragionevolezza e di ogni senso dell’umano.

Gesù, al contrario, preferisce essere sopraffatto lui piuttosto che sopraffare, subire prepotenza piuttosto che infliggerla. Il bambino in qualche modo è la misura di Dio, con il suo invito tenero e sereno, con la sua fiducia incondizionata che non costringe ma offre amore. Per questo l’essere bambino di Gesù rimane una sua dimensione costante; ne è prova anche il modo come tratterà i bambini e li proporrà come modello di accoglienza del Regno di Dio. Egli invita a riconoscere il modo di agire di Dio e non forza nessuno a credere, ma chiede solo di rispondergli ed assecondarlo con la propria fede e con il proprio attivo coinvolgimento.

Come accogliere il messaggio del bambino di Betlem? Innanzitutto contemplando e adorando. È l’atteggiamento dei pastori, delle persone umili e semplici che per prime si accostano alla grotta e scoprono il mistero luminoso che la abita. Contemplando e adorando ci lasciamo illuminare dal mistero e lo penetriamo sempre più profondamente con gli occhi della fede. Gesù chiede di credere in lui e di accoglierlo come si accoglie un bambino, con la cura, la tenerezza e la dedizione che un bambino si aspetta; e questo sempre.

Insieme all’adorazione e alla contemplazione, bisogna poi che il bambino Gesù diventi il modello e la guida nelle scelte della vita. Sì, certamente, nel modo di trattare i bambini di oggi, vicini e lontani, con le problematiche che la loro condizione conosce, oggi in modo particolare: pensiamo innanzitutto ai bambini delle nostre famiglie e delle nostre scuole. Ma non possiamo fare a meno di pensare anche a quelli che non hanno cura e dedizione adeguata in tante famiglie e in tanti ambienti della nostra nazione; come pure alle migliaia di bambini stranieri soli che vagano nel nostro paese e in tutta Europa, senza immaginare quale destino li attende. Anche a questo il Natale di Gesù ci chiede di pensare.

Infine, celebrare la nascita del bambino Gesù significa imparare la fiducia nella bontà e nella efficacia dei piccoli inizi e degli esordi poco appariscenti. Resistiamo alla tentazione di farci affascinare dagli atteggiamenti imponenti e altisonanti; guardiamoci dall’assomigliare alle persone che sanno solo darsi aria di importanza, che si credono o vogliono essere credute importanti, da quelle che vogliono contare a tutti i costi. In simili atteggiamenti non c’è nulla di evangelico, ma nemmeno di umano buon senso. La capacità di cogliere l’importanza della vita ordinaria, della dedizione alla propria missione, quale che sia, anche nelle piccole cose oltre che nelle grandi, ma con la coscienza dell’orizzonte infinito che solo Dio è in grado di disegnare per noi: questo conferma la certezza che la lunga durata darà ragione dell’impegno profuso passo dopo passo e della fiducia data alle promesse di Dio e del suo Vangelo; questo soprattutto fa assomigliare a Gesù, ci rende suoi discepoli.

Questo Natale porti dunque una rinascita di autenticità e di spirito di dedizione e di servizio; porti amore alla vita, che significa anche coraggio della fecondità di coppia e di famiglia; porti fede e spirito evangelico, che ci renda sempre simili a Gesù e lo renda presente nella nostra vita e nei nostri ambienti di famiglia, di lavoro, di comunità.  

 

OMELIA

Natale, Messa del giorno

Domenica 25 dicembre 2016 – Terracina, concattedrale di S. Cesareo

+ Mariano Crociata

Nel passaggio dalla celebrazione natalizia della notte a questa del giorno l’attenzione si sposta progressivamente dal bambino Gesù al mistero della sua persona. L’unico evento viene contemplato e vissuto da angolature diverse con l’unico intento di assimilarlo e lasciarsene compenetrare.

Il Natale rivela che il mistero della sua persona è il suo essere la Parola. Così la fede professa l’identità profonda del bambino Gesù. Egli è ultimamente la Parola: la Parola personale di Dio, nella quale Dio si esprime eternamente nel dialogo intimo delle persone divine. Dio è dialogo e ora ha deciso di coinvolgere nel suo intimo dialogo anche noi, sue umane creature.

Nella parola trova espressione compiuta la nostra umanità; la parola ci contraddistingue come esseri umani. Purtroppo sperimentiamo spesso che le parole possono essere usate non solo per rivelare ma anche per tradire, ingannare, strumentalizzare, piegare, ferire. Comunicare è vivere; inquinare la comunicazione è introdurre un veleno di morte nel tessuto sociale e nel dinamismo vitale della persona.

Il Figlio di Dio si fa uomo per restituirci la grazia della parola accolta e donata secondo verità e con amore. Per farci questa grazia egli non dice tanto parole; semplicemente si fa uomo, diventa carne. La Parola di Dio si materializza, si condensa nella nostra umanità, si impregna di noi e diventa concreta. In Gesù non parla solo la sua bocca quando dice parole di bene e di sapienza; tutto della sua persona parla di come è Dio e di come dovrebbe essere veramente la persona umana, per che cosa essa è stata fatta e come può trovare una vita felice.

In Gesù parla il suo sguardo, il suo dolore e le sue gioie, i suoi gesti e i suoi abbracci, il suo isolarsi per pregare e il suo fare festa in compagnia. Tutto ciò che fa, lascia trasparire la bellezza di Dio e la grandezza dell’uomo. Le sue parole sono come miele, un denso riversarsi in forma di parola della potenza divina che lo abita fin dentro la sua corporeità.

Egli ci indica una via percorrendola per primo. Se vogliamo recuperare la genuinità e la pregnanza delle nostre parole, della nostra incomprimibile espressività, dobbiamo ricominciare dalla verità dei nostri gesti e della nostra carne, delle nostre relazioni e della nostra dedizione. Abbiamo bisogno di gesti di amore, di servizio, di cortesia e di collaborazione, di aiuto reciproco e perfino di sacrificio l’uno per il bene dell’altro. Abbiamo bisogno di renderci fratelli e amici, attenti ai dolori e alle gioie gli uni degli altri, per alleviarci nelle fatiche e soccorrerci nello sforzo con cui vogliamo elevarci, tutto compiendo in umiltà e coraggio. Questo l’augurio per voi che siete qui e per quanti ci seguono in televisione. Buon Natale!

condividi su