Messa del Crisma, Crociata: «Senza la coscienza delle proprie dipendenze schiavizzanti non ci può essere riscatto»

Oggi mercoledì 17 aprile, il vescovo Mariano Crociata ha presieduto la Messa del Crisma nella cattedrale di San Marco, a Latina.

Alcuni momenti della celebrazione:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di seguito l’omelia pronunciata da mons. Crociata.

OMELIA

Messa del crisma

Mercoledì 16 aprile 2025

+ Mariano Crociata

 

Ad ascoltare le letture di questa Messa del crisma la nostra attenzione è stata probabilmente richiamata dall’espressione che Isaia e Luca, citando a sua volta il profeta, riferiscono: promulgare/proclamare l’anno di grazia del Signore. Dico probabilmente perché siamo in un anno giubilare e ormai abbiamo ben imparato che proprio ad esso si riferisce Gesù rileggendo il brano di Isaia.

Quale legame c’è tra il giubileo e la Pasqua che fa qualificare questa settimana, in cui si colloca la Messa del crisma, come santa? Il giubileo, nella sua originaria intenzione biblica, non è altro che un modo per salvaguardare e tenere vivo il frutto della Pasqua ebraica, che consiste nella liberazione dalla schiavitù e nell’ingresso nella terra promessa. La Pasqua aveva dato al popolo di Israele libertà e dignità. La memoria annuale, e anzi ancor prima il sabato settimanale, serviva a tenere viva la coscienza e la responsabilità di quella libertà e dignità ricevute. Ancora di più il giubileo.

L’essere entrati nella terra promessa aveva dato inizio a una storia di libertà, nel corso della quale però altre dipendenze e vere e proprie schiavitù si erano ri-formate. C’era bisogno di intervenire di nuovo e in modo straordinario a riscattare i figli d’Israele dalle nuove servitù in cui erano caduti.

Gesù viene a riprendere il disegno di liberazione per riscattare da quella che è l’ultima radice di ogni schiavitù, il peccato e con esso tutto il male che si accumula nel cuore dell’uomo senza che egli riesca a liberarsene. La sua venuta, la sua missione pubblica: ecco il pieno e definitivo anno di grazia del Signore, al cui culmine sta la Pasqua di morte e di risurrezione. Il nostro giubileo ripropone un intervento straordinario di riscatto che la Pasqua di Cristo ha già compiuto una volta per tutte ma ora ha bisogno di essere da noi accolto e assimilato.

Il primo passo è sempre quello dell’esame di se stessi e della propria realtà comunitaria e sociale, e quindi una presa di coscienza. Senza la coscienza delle proprie dipendenze schiavizzanti non ci può essere riscatto e quindi nemmeno celebrazione del giubileo. Non facciamoci illusioni, le schiavitù più gravi sono quelle avvincono il nostro cuore e ci tengono stretti come in una morsa, incapaci di pensare e di volere una libertà che a volte non riusciamo più nemmeno a immaginare come possibile per noi. Dobbiamo innanzitutto cercare di capire e conoscere meglio noi stessi, e lasciarci aiutare in questo. La parola di Dio, a partire dalla Sacra Scrittura, è sempre la luce più penetrante per entrare nelle strutture profonde del nostro mondo interiore e del nostro essere spirituale. Ma c’è visione della nostra realtà interiore soltanto se sorge in noi insieme il desiderio di uscire dalle nostre schiavitù. È un desiderio che nella luce della parola si apre alla speranza che scaturisce dalla certezza di fede che Dio è fedele e ci ama.

Nella stessa luce bisognerebbe imparare a leggere le storture e le rotture nei nostri rapporti interpersonali e nelle dinamiche comunitarie e sociali, nelle quali situazioni incancrenite di ingiustizia o di pregiudizio, di incomprensione e di risentimento si consolidano nel tempo fino a diventare strutture di peccato, nelle famiglie e nelle parentele, e anche nelle comunità parrocchiali e negli ambienti ecclesiali, per non parlare della più grande e anonima vita sociale dentro la quale il singolo si sente spesso perso se non si adegua a relazioni vischiose di ingiustizia o di corruzione strisciante o talora perfino conclamata.

Dobbiamo purtroppo registrare la tentazione che quasi regolarmente opera in simili situazioni, che possiamo ritrovare tra l’altro, come in tanti altri passi, anche nel seguito della narrazione lucana di oggi, quando gli ascoltatori della sinagoga si metteranno contro Gesù e addirittura lo minacceranno di morte. Che cosa ha detto Gesù? Semplicemente li ha messi di fronte alle proprie responsabilità e alle proprie colpe. E nessuno vuole sentirsi incolpato di nulla, nessuno ama prendersi le proprie responsabilità delle cose che non vanno. Conosciamo bene come lo sport più praticato in questo senso è quello dello scaricabarile: la colpa delle cose che non vanno, piccole o grandi che siano, è sempre di qualcun altro. E invece qualcosa comincia a cambiare, in noi e attorno a noi, dal momento in cui abbiamo il coraggio di metterci di fronte alle nostre responsabilità e di trarne le debite conseguenze.

Il bello, in tutto ciò, è che il Signore sta lì non come chi abbia piacere di accusare e condannare, ma come colui che vuole risanare e donare libertà. La luce della Parola non ci è data per ferirci ma per guarirsi. È davvero un anno di grazia quello che Gesù promulga e quindi inaugura. Adesso si può cominciare, adesso ci è restituita la possibilità di ricominciare, ci è data una nuova opportunità.

La Messa del crisma ci dispiega dinanzi la ricchezza e varietà della grazia che ci salva, con i doni che ci conferiscono la forza dello Spirito Santo nel quale siamo liberati da ogni schiavitù. Il cristianesimo non è moralismo, che giudica e condanna; certo discerne bene e male e indica la via per camminare nella verità e nella vita che ci sono donate; il cristianesimo è generativo, riscatta, ricrea, restituisce e moltiplica fiducia e speranza, volontà e generosità di bene verso tutti.

Gli oli santi sono un segno e uno strumento sacramentale di questa grazia rigeneratrice che, a partire dal battesimo, non conosce ostacoli e confini alla forza dello Spirito, tranne quelli che poniamo noi stessi. In questo clima trova il suo pieno senso la rinnovazione delle promesse sacerdotali da parte dei presbiteri, che così tornano alle sorgenti del sacramento che li ha conformati a Gesù buon pastore, nell’imposizione delle mani e nell’unzione con il crisma che li hanno ordinati e nella risposta di impegno personale che essi hanno assunto e manifestato. E il loro ministero è cruciale per l’esistenza cristiana di tutti nella Chiesa, da essi dipende infatti la grazia sacramentale e la sua adeguata accoglienza nella celebrazione e nella vita della comunità ecclesiale.

Non permettiamo che questa grazia giubilare passi invano o come una rituale abitudinaria ripetizione di cose risapute e fatte altre volte. Ne risponderemo tutti, ciascuno secondo i compiti ricevuti. Ma abbiamo fiducia e speranza che i nostri cuori e le nostre comunità saranno toccati dal passaggio del Signore trovando in tutti noi accoglienza e sincera disponibilità.

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