Il 7 dicembre 2016, alle 18 nella concattedrale di S. Cesareo a Terracina, il seminarista Giovanni Grossi è stato ordinato diacono transeunte. Il rito è stato presieduto dal vescovo Mariano Crociata e concelebrato da vari sacerdoti e diaconi.
Giovanni Grossi è nato a Sezze nel 1989 e ha vissuto a Terracina, dove ha ricevuto il battesimo presso la parrocchia di S. Silviano, dall’allora parroco don Fausto Frateloreto. Nell’età adolescenziale ha frequentato la comunità parrocchiale dei Santi Martiri Terracinesi dove ha conosciuto in modo più attivo il servizio parrocchiale come ministrante e poi come giovanissimo dell’Azione cattolica. Dopo la conclusione degli studi superiori, al Filosi di Terracina, con il diploma in Servizi sociali, nel 2009 ha fatto ingresso nel seminario interdiocesano di Anagni, per frequentare l’istituto teologico Leoniano. Nel giugno 2015 ha conseguito il baccalaureato in Teologia, e questa estate ha concluso la formazione con la frequenza del cosiddetto anno pastorale. Durante gli anni di seminario ha svolto servizio presso la parrocchia di san Francesco d’Assisi a Borgo Montenero, nella parrocchia di S. Domitilla (Latina) e attualmente presso la parrocchia di S. Luca (Latina). Dopo un congruo periodo vissuto da diacono, e previa valutazione positiva dei superiori, Giovanni Grossi sarà proposto per l’ordinazione sacerdotale.
Di seguito l’omelia pronunciata dal vescovo Mariano Crociata:
OMELIA
Terracina, Parrocchia di S. Cesareo, 7 dicembre 2016
Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria
Ordinazione diaconale di Giovanni Grossi
+Mariano Crociata
Un senso di gioia e di fiduciosa speranza anima la festa dell’Immacolata Concezione, perché ciò che esaltiamo in Maria tocca anche noi. «In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità», abbiamo ascoltato dall’inno della Lettera agli Efesini. Maria è il segno anticipatore del nostro destino di santità e lo è dal momento del suo concepimento. Fin dall’inizio e in tutta la sua persona Maria è vissuta nella santità, votata interamente a Dio con il cuore e la mente, con lo spirito e con il corpo. Una appartenenza a Dio che non l’ha esonerata dalla fatica della scelta e dal rischio della libertà, ma l’ha resa vittoriosa nella lotta contro le insidie del male. L’annuncio è profondamente consolante e incoraggiante: non è vero che il male è invincibile, che tutto è sporcizia e inganno, che non c’è niente da fare di fronte alla cattiveria umana che incontriamo non solo fuori ma anche dentro di noi. Ciò che Dio ha compiuto in Maria fin dal suo concepimento, intende realizzarlo in noi nel corso del nostro cammino. Dio è fedele alle sue promesse; Maria è il segno di tale fedeltà perché a lui si affida incondizionatamente fin dai primi bagliori della sua coscienza di sé. È una gioia grande poter guardare a Maria in questa luce e leggere in lei la promessa di Dio per noi, di renderci sempre più conformi alla sua santità e idonei al destino di comunione piena con lui.
Non a titolo meramente informativo, però, dobbiamo ricordare che è solo grazie a Cristo che tutto ciò si compie. La stessa Maria non ha meriti da vantare o diritti da rivendicare. È unicamente la libera e gratuita decisione divina che si dirige su Maria e la prepara e la predispone ad accogliere il dono della santità fin dal primo attimo della sua origine umana. La stessa imprevedibile e sovrana iniziativa abbiamo ancora una volta riconosciuto nella pagina lucana dell’annunciazione: «piena di grazia, il Signore è con te. […] hai trovato grazia presso Dio». Anche lei, come noi – lei immacolata, noi poveri peccatori –, viene redenta anticipatamente e radicalmente dalla grazia di Cristo che muore sulla croce e risorge. Siamo stati benedetti in Cristo e resi figli adottivi mediante Cristo. È ancora san Paolo che parla così. È tutto opera di Dio mediante Cristo Gesù, dunque. Un’opera che egli realizza lungo il corso della sua vita e porta a compimento negli eventi pasquali. Una parola che racchiude questi eventi è quella con cui il NT conferisce a Gesù il titolo di “servo”. La sua intera esistenza è un servizio reso alla volontà del Padre per la salvezza di chiamati e redenti. E il suo servizio non è una serie di opere di bene, ma l’offerta della sua persona, la dedizione della sua vita, il sacrificio di se stesso.
Anche la pagina dell’annunciazione trova un punto culminante nella risposta ultima di Maria all’angelo, quando dice di sé: sono la serva del Signore. Maria ha inteso la sua persona e la sua vita come servizio, cioè come dedizione incondizionata alla volontà di Dio. Non dunque la maternità come un atto isolato, se mai fosse possibile, ma come culmine di una dedizione abbracciata da sempre alla volontà di Dio e ora assunta in un assenso che la rende non solo genitrice del Figlio di Dio ma sua discepola e compagna per sempre, per il lungo tempo della vita nascosta di Gesù, nel tempo della sua vita pubblica quando questo suo figlio sembra agire come se non le appartenesse più, e soprattutto sotto la croce, quando le viene crudelmente strappato nell’atto di morire crocifisso. Questo, dunque, il servizio cristiano: non una semplice sequenza, sia pure lunga, di opere buone, ma un votarsi con tutta la propria persona a Dio e al Cristo Gesù.
Se questa è la diaconia cristiana per tutti i discepoli di Cristo, essa diventa vocazione e missione peculiare per chi è chiamato al ministero ordinato, sia esso in forma permanente sia in forma transeunte, come è la tua, caro Giovanni. Se per un aspetto, il sacramento che ora ricevi costituisce un momento rilevante del percorso che ti conduce al presbiterato al quale sei stato chiamato, per un altro aspetto il diaconato rimarrà una dimensione costitutiva del tuo essere credente e del tuo essere presbitero. Sarà a tempo l’esercizio del diaconato, ma durerà per sempre la tua identità diaconale anche dentro il ministero presbiterale. Ciò che oggi assumi è dunque una grazia e un impegno insieme, che ti legano a Cristo servo nella tua identità personale e nella tua storia di vita per il futuro. Un segno espressivo di tale legame e della dedicazione esclusiva che esso richiede è costituito dalla promessa di celibato che la celebrazione prevede come manifestazione di un impegno definitivo. Celibato significa integrità morale in una castità verginale come scelta di vita; ma significa, più profondamente, un dono di amore, in cambio dell’amore con cui il Signore ti ha ricolmato (un altro modo per dire la pienezza di grazia riversata su Maria), che ti rende capace di amare con cuore libero, cioè senza pretesa di possesso e di relazione esclusiva, in una ricchezza di relazioni in cui c’è posto per tutti quanti sono affidati alla cura pastorale senza la pretesa di nessuno di requisirti solo per sé. La tua famiglia è, ora, la comunità ecclesiale. Non per questo viene preclusa la profondità della condivisione e della comunione, ma piuttosto viene respinta la possessività e l’esclusività che sequestrano e mettono ai margini tutti gli altri. In verità questa capacità di amare con cuore libero è l’ideale di vita di ogni cristiano, commisurato e proporzionato alla condizione di vita propria di ciascuno. È questa la forma pura del servizio: amare (e anche essere amati) senza possedere, donare senza pretendere, cercare il bene con genuino interesse per l’altro e completo disinteresse per sé. Un ideale alto e arduo, ma l’unico adeguato a chi è stato chiamato ad essere discepolo di Cristo e perfino guida di altri discepoli dell’unico Signore. Le forme secondo cui manifesterai in maniera particolare ordinariamente questo amore esclusivo per il Signore e gratuito per fratelli e sorelle sono quelle che impegnano l’azione pastorale della Chiesa: l’ascolto e l’annuncio della Parola, la celebrazione dei santi misteri, la carità e in special modo la cura dei poveri. Ma tutto questo ha bisogno di quell’anima di amore casto che il Signore ti dona di vivere nel momento in cui ti chiama e ti concede la sua grazia sacramentale.
C’è un ultimo aspetto che la celebrazione dell’Immacolata permette di offrire alla nostra preghiera e alla riflessione. Nella pagina del libro della Genesi assistiamo alla scena paradigmatica che vede in sequenza gli attori del primo e definitivo disastro della storia umana – il peccato originale – scaricare sull’altro la responsabilità della propria colpa: per l’uomo è stata colpa della donna, per la donna del serpente. Dio risponde promettendo la salvezza, della quale il primo segno e il primo passo è il coraggio di assumersi le proprie colpe, la propria responsabilità: confessare le proprie colpe nell’atto di mettersi e affidarsi alla misericordia di Dio. Riconoscere secondo verità le proprie colpe è il primo modo di accogliere la misericordia di Dio, perché vuol dire che non ho paura di Dio ma mi fido di lui. L’uomo e la donna hanno avuto paura della punizione divina; noi abbiamo la grazia di conoscere la misericordia di Dio e senza nasconderci ci rimettiamo interamente a lui. C’è però un passo ulteriore da fare: non basta non scaricare più le responsabilità sugli altri, bisogna imparare a prendersi positivamente e attivamente in prima persona le proprie responsabilità; bisogna imparare a dire come Maria: eccomi! Ci sono, sono disponibile, mi impegno. Il sì di Maria non è solo una risposta privata, tra lei e Dio; è anche un mettere a disposizione la propria persona e la propria vita per una causa che coinvolgeva il suo popolo e l’umanità intera. E, del resto, Gesù perché accetta di morire? Per radunare il suo popolo disperso e costituire un popolo nuovo composto di vicini e lontani, di connazionali e di genti di tutti i popoli: Gesù muore per e al posto di. Farsi carico degli altri: è ciò che ha fatto Cristo servo ed è ciò che egli chiede ai suoi discepoli e in modo speciale ai suoi primi collaboratori. Il diacono è uno che è disposto a farsi carico degli altri, a cui gli altri stanno a cuore e per i quali, con la grazia di Dio, spende e offre la propria persona e la propria vita.
Oggi c’è un estremo bisogno di persone così. Il nostro è un tempo di inimmaginabili egoismi, anche se non mancano sprazzi luminosi di generosità. Siamo chiamati a farci carico di questo mondo e del suo destino a cominciare da quelli che stanno peggio di noi. È un compito per il diacono, ma è anche un compito per tutti voi qui convenuti a partecipare a questa festa del diaconato di Giovanni. Se c’è ancora una ragione per la quale esistono i diaconi nella Chiesa, essa è proprio quella di ricordare a tutti i credenti in Cristo che siamo seguaci di un maestro che ha manifestato il grado più alto del suo insegnamento facendosi servo di tutti.