Nella giornata del 29 aprile il vescovo Mariano Crociata ha portato il suo saluto alla Conferenza internazionale su “I Patrimoni immateriali italiani e le buone pratiche dei riti e delle manifestazioni della Settimana Santa”, tenuta presso la Curia vescovile di Latina.
L’evento è compreso in un elenco di altre attività organizzate dall’Associazione della Passione di Cristo di Sezze, tenute dal 28 al 30 aprile nella città lepina, in occasione delle celebrazioni per i novant’anni della sua fondazione. L’iniziativa rientra nelle attività programmate nell’ambito del percorso finalizzato ad approfondire i temi d’interesse per promuovere la candidatura dei riti e delle manifestazioni della Settimana Santa in Italia quale patrimonio immateriale UNESCO.
Di seguito il saluto pronunciato dal vescovo Mariano Crociata (in basso, disponibile anche in formato pdf per il download):
«Sono lieto di portare il mio saluto a questa Conferenza sui Patrimoni immateriali, che si lascia apprezzare sotto diversi profili, il primo dei quali è l’interesse a quelli che nel titolo vengono richiamati come riti e manifestazioni della Settimana Santa. Sull’importanza dell’iniziativa è difficile avere riserve, dal momento che nella Settimana Santa ci incontriamo con il momento più alto della fede, del culto, della spiritualità e della pietà popolare cristiana. Ciò che riti e manifestazioni evidenziano è la profonda risonanza nel cuore del popolo cristiano di ciò che viene celebrato e rappresentato. Da sottolineare poi il raccordo creato tra diverse associazioni anche oltre i confini nazionali (perciò si parla di Europassione), in vista di un riconoscimento autorevole, che esprima un sentimento condiviso verso espressioni di cultura popolare che uniscono tradizioni diverse tra loro ma attraversate trasversalmente da un culto o, quantomeno, da una devozione che trova convergenza oltre i confini nazionali e linguistici. Identificare tutto ciò come patrimonio immateriale è segno di una maturazione della sensibilità culturale e religiosa che riconosce il valore di bene da custodire non soltanto a reperti materiali della più varia natura, ma anche a quelle pratiche sociali che non meno profondamente danno espressione culturale antropologica ad aspetti fondamentali del comune sentire di una comunità e di un popolo.
Alla luce di quanto così richiamato, mi permetto di suggerire tre piste di riflessione in occasione di questa conferenza.
La prima riguarda il valore di un tale patrimonio immateriale inteso come vero e proprio serbatoio di risorse culturali, religiose e spirituali diffuse. Queste mostrano un carattere espressivo elementare e immediato della sensibilità popolare, che chiunque si accosti ad esse riesce a percepire, poiché l’esperienza umana comune, nei suoi tratti costitutivi, si sente interpretata, colta nei suoi momenti di dolore o di gioia, di fatica o di speranza, di angoscia o di esultanza, di solitudine o di solidarietà. Necessario precisare che qualificare tutto questo come popolare non ha alcuna nota riduttiva, poiché si riferisce all’umano socialmente condiviso oltre ogni differenziazione di ceto.
Una seconda pista è suggerita dalla distinzione, introdotta nel titolo, tra riti e manifestazioni. I riti fanno esplicito riferimento alla dimensione religiosa, come tratto antropologico tipico della pratica religiosa e in particolare del culto e della liturgia, a differenza delle manifestazioni o delle rappresentazioni a contenuto religioso che ne sono una derivazione e una riproposizione in forma scenica. Una distinzione necessaria per sottolineare che i riti hanno, sì, una dimensione antropologica culturale ma non possono essere ridotti a un generico patrimonio culturale, proprio in forza della loro connotazione credente, cultuale ed ecclesiale, e quindi per l’esplicita e consapevole esperienza religiosa che li caratterizza. Nondimeno il nesso tra riti e manifestazioni è di vitale importanza se non si vuole vedere alla lunga snaturato il significato culturale della pietà popolare e delle azioni rappresentative che la esprimono.
Questo mi introduce all’ultima pista che vorrei evocare. La relazione tra riti e manifestazioni è ben di più di un accostamento funzionale, rispetto a ciò che si deve manifestare. Il problema decisivo, anche sul piano antropologico culturale, è il rapporto dei riti e delle manifestazioni con ciò che li ha generati, e cioè l’esperienza della fede e la sua concrezione propriamente ecclesiale. L’entrata in crisi di quel rapporto tra fede e pietà popolare, non da ora e per ragioni complesse che non possono essere esaminate adesso, denuncia una deriva che ha un nome preciso, e cioè folklorizzazione, ovvero riduzione a espressione esteriore di un vago sentire popolare e di un bisogno di aggregazione e di rappresentazione sul piano sociale, ma con un riferimento sempre più povero alle origini da cui nascono manifestazioni e rappresentazioni sacre. Non ci si illuda che la riproduzione di linguaggi e di modelli recitativi di contenuto religioso protegga da questo genere di derive. Là dove si effettua quella dissociazione, rischia di verificarsi una sorta di eterogenesi dei fini, perché, nel momento in cui avviene una sorta di consacrazione sociale e culturale di una rappresentazione rescissa dalle sue radici, si avvia un processo di dissoluzione della rappresentazione stessa o di introduzione in essa di altri contenuti, che nulla o poco ha a che fare con le sue vere origini.
Non siamo certo a questo punto, ma è bene riflettere su una tendenza crescente. C’è bisogno di alimentare il senso delle nostre manifestazioni religiose e attingere alle sorgenti da cui provengono. Abbiamo bisogno dell’acqua viva del vangelo, della fede e del culto cristiano, di una consapevolezza più avvertita e di una responsabilità più attenta di fronte alla tradizione che ci viene consegnata. Si perviene a una tale consapevolezza passando da una attenzione centrata sulla propria scena alla preoccupazione per colui che va veramente in scena, il protagonista vero di ogni nostro rito e di ogni nostra manifestazione, il Signore che abbraccia la passione. Se abbiamo questa preoccupazione, anche la nostra comparsa risulterà più riuscita e significante.
Vi auguro di trarre grande profitto da questa conferenza e di raggiunge gli obiettivi per cui è stata convocata.
Buon lavoro!»
✠ Mariano Crociata