Cosa significa essere vescovo oggi: segno e principio di unità. La discussione nel convegno organizzato in Curia

Lo scorso venerdì si è tenuto presso la Curia a Latina il convegno «Essere vescovo oggi». Un momento voluto dal vescovo diocesano Mariano Crociata in occasione della prossima ordinazione episcopale di don Felice Accrocca, arcivescovo eletto di Benevento, ma anche per conoscere meglio il servizio di «insegnare, santificare e reggere» la propria diocesi in una società come quella attuale. A relazionare sono stati chiamati il cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona-Osimo; monsignor Dario Vitali, teologo esperto di ecclesiologia, professore ordinario alla Pontificia università Gregoriana; Paolo Rodari, giornalista di Repubblica, esperto di informazione religiosa.

Proprio il cardinal Menichelli, con franchezza, ha posto l’attenzione su una questione di principio: «Non c’è diritto all’episcopato. Però, se un presbitero accetta questo ministero credo debba aver risolto un problema di fondo: ci crede o non ci crede? Perché bisogna essere prima di tutto discepolo di Cristo ed essere alla sua sequela». Rispetto alla sua esperienza personale, Menichelli ha spiegato di impostare il suo ministero «sulla scelta continua tra l’essere servito e l’essere servitore; come un padre è sempre disponibile, anche il vescovo non ha orari ed è un pastore che “abita con” la gente che ha bisogno di essere ascoltata. Consiglio di non allontanarsi mai dalla normalità».

In un’epoca come quella attuale, in cui la comunicazione è istantanea e pervasiva, è risultata interessante la visione di un giornalista. Secondo Paolo Rodari «il vescovo deve ricordare sempre il profilo pubblico del suo ministero, cioè non si rivolge solo ai suoi fedeli, tenendo presente che anche coloro che non credono hanno un’attesa; comunque tutti giudicano la sua coerenza di vita con quella professata». Nella vita di tutti i giorni, sempre per Rodari, «è una questione di stile, che per me deve essere all’insegna della sobrietà».

Da parte sua, il professor Dario Vitali ha riportato la discussione «su quale immagine abbiamo di un vescovo e quindi della stessa Chiesa». Si è passati da «una visione preconciliare, che vedeva il vescovo di fatto come funzionario del Papa a livello locale, a quella del Vaticano II che introduce la sacramentalità dell’ordinazione episcopale e recupera il valore della successione apostolica. Così, alla luce di questo magistero si può affermare che, nella sua diocesi, il vescovo è un cardine della collegialità, poiché è uomo di relazione, ma soprattutto è segno e principio di unità». Un aspetto questo su cui tutti hanno trovato una sostanziale concordanza. Una cifra distintiva, per un vescovo, «deve essere la sua docilità allo Spirito; infatti, proprio la sacramentalità dell’episcopato la troviamo in un passaggio fondamentale del rito dell’ordinazione episcopale che è quello dell’imposizione delle mani sulla testa del nuovo vescovo», ha voluto sottolineare infine il professor Vitali.

Ricco di spunti di interesse anche il momento riservato alle domande rivolte dai presenti, come quelle sul rapporto in diocesi tra Vescovo e religiosi; quale futuro per le chiese particolari obbligate a mettersi in diallgo con le diverse culture mantenendo la propria identità; come essere docili allo Spirito; quale rapporto con il mondo della comunicazione e in particolare con quello della stampa professionale.

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