«A Natale dobbiamo semplicemente accettare di uscire dalla nostra prigione interiore e fare spazio a Dio»

Nella mattinata di oggi, 14 dicembre, nella cattedrale di S. Marco, il vescovo Mariano Crociata ha presieduto la celebrazione celebrazione natalizia delle Istituzioni di Latina. Si è trattato di una Santa Messa sollecitata dai vari enti della Pubblica amministrazione presenti nella zona pontina.

Di seguito l'omelia pronunciata dal vescovo Mariano Crociata:

OMELIA

Celebrazione natalizia delle Istituzioni di Latina

Cattedrale, Mercoledì 14 dicembre 2016 (Is 45,6b-8.18.21b-25; Lc 7,19-23)

+ Mariano Crociata

Una frase ricorrente in occasione del Natale dice che almeno a Natale bisogna essere buoni. Nessuno si risenta se mi permetto di dire che è una espressione se non pericolosa, almeno equivoca, o forse semplicemente ipocrita o, peggio, cinica. Chi vuole essere buono solo per un giorno in realtà si sente legittimato a non esserlo tutti gli altri giorni dell’anno. Al di là della frase fatta, che lascia il tempo che trova, tante nostre feste religiose e momenti di sospensione del lavoro e delle solite occupazioni assomigliano – come vediamo anche in questi giorni – a quelle tregue che servono a chi vuole solo avere tempo per riarmarsi e riorganizzarsi più che alle vittime innocenti di una violenza di fronte alla quale rimangono impotenti. Il problema è proprio la sincerità del nostro voler essere buoni e anche migliori. Una sincerità che il più delle volte esprime le nostre intenzioni ma non la nostra vera volontà E così ci ingarbugliamo nel groviglio delle intenzioni buone ma velleitarie e delle scelte opposte a quelle intenzioni ma che reputiamo necessarie e perciò giustificate ai nostri occhi.

Il Natale, se lo guardiamo con lucidità, ci mette dinanzi alla cruda realtà della nostra vita, delle nostre coscienze e dei nostri comportamenti. Ci fa capire soprattutto che da soli non ce la facciamo a sbrogliarci da quel viluppo che avvolge e soffoca. Esso ci dice che ci vuole un intervento dall’alto, una iniziativa di Dio, per darci nuovo respiro, vera libertà da noi stessi e uno slancio che non conoscevamo più nell’inseguire ideali e progetti che per un attimo ci avevano forse in qualche momento animato.

Per coglierne il frutto salutare dobbiamo semplicemente accettare di uscire dalla nostra prigione interiore e fare spazio a Dio, cioè credere che veramente Egli si è messo in gioco nella nostra storia e nella nostra umanità, diventando come noi, uno di noi. «Io sono il Signore, non ce n’è altri», abbiamo ascoltato ripetere due volte dal profeta Isaia. «Solo nel Signore si trovano giustizia e potenza!», aggiunge. Forse a volte pensiamo di essere noi Dio, almeno per noi stessi, e di non avere bisogno di nessuno, o al più di qualche favore da cercare o di qualche prepotenza da usare. Ma Dio è uno solo e lui solo può aiutarci. «Volgetevi a me e sarete salvi!», abbiamo ancora ascoltato. Il bello è che Egli ha deciso di intervenire per davvero, di farsi presente e aiutarci.

Sono duemila anni che predichiamo e sentiamo profondamente nostra la domanda di Giovanni Battista: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Tutto sembra andare per il verso di sempre e a noi pare di aspettare inutilmente che arrivi il tempo del Messia nel quale tutto cambia d’un sol colpo. La risposta di Gesù è allo stesso tempo disarmante e incoraggiante: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia». Abbiamo bisogno di occhi capaci di vedere i segni di un cambiamento già in corso e allo stesso tempo di una possibilità di porli noi stessi, quei segni, sull’esempio di Gesù. Noi pensiamo ai miracoli, e sono veramente tali. Ma quelli che Gesù pone sono soprattutto segni di cura e di dedizione ai disgraziati che incontra sulla sua strada. A guarirli prima che la sua forza divina è l’amore e la compassione che lo anima e lo spinge. L’amore è la prima medicina che ha il potere di guarire, come il disinteresse e l’odio sono un fattore patogeno di inenarrabile potenzialità per le persone e la collettività.

Dio viene veramente a salvarci se lo riconosciamo e lo accogliamo facendoci suoi strumenti e collaboratori. «Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia», abbiamo sentito da Isaia. I cieli e le nubi hanno visto scendere il Salvatore in Gesù, il figlio di Maria nato per noi. A noi in risposta, con il suo aiuto, è chiesto di aprire la terra del nostro cuore e fare germogliare la giustizia dalle nostre persone e con le nostre azioni. Non un giorno solo, ma ogni giorno dell’anno. 

condividi su