Omelia per il funerale di Marisa Castagna (20/11/2024 – Chiesa S. M. Assunta, Cisterna di Latina)

20-11-2024

OMELIA

Funerale Marisa Castagna

Cisterna, S. Maria Assunta in cielo, 20 novembre 2024

+ Mariano Crociata

Vogliamo innanzitutto esprimere la nostra vicinanza e la nostra partecipazione al dolore di don Massimo e della sorella Raffaela per la perdita della mamma. Una simile perdita è sempre unica, qualunque sia l’età, perché ci costringe a fare esperienza di un legame umano unico e profondissimo, che nessuno sforzo concettuale può adeguatamente afferrare e tantomeno spiegare. È in momenti come questi che sentiamo la nostra precarietà e la nostra relatività. Noi veniamo da altri, da altrove; non siamo origine e nemmeno totalmente padroni di noi stessi.

Una madre rimane sempre la fonte dell’esperienza fondamentale di essere stati nutriti, accuditi, amati. Ad essa si lega il senso della bellezza e della bontà della vita, e di un ambiente che ci ha accolto e ha avuto cura di noi. Perfino in un mondo devastato dalle tragedie noi sappiamo, perché l’abbiamo toccato con mano, che c’è una casa, un luogo caldo, uno spazio protetto, c’è un posto sicuro per noi, per me. Tutto questo rappresenta una madre, anche quando non c’è più, su questa terra, e dobbiamo cominciare a fare l’esperienza di contare su noi stessi, di camminare senza appoggi, e assumere le radici in un modo diverso da quello offerto dalla presenza premurosa e rassicurante di qualcuno che c’è innanzitutto per te.

Lo sappiamo che la nostra esperienza di fede ha un supporto formidabile nell’esperienza dell’essere amati con amore materno, oltre che paterno; con tale esperienza di essere amati si pone in continuità l’apprendimento dell’essere amati da Dio. Lo impariamo dai nostri genitori non perché ce lo insegnano a parole, ma perché prima ancora i loro gesti, le loro premure, le loro attenzioni parlano un linguaggio divino, il linguaggio creativo che Dio ha modellato all’inizio dei tempi per farci essere e per condurre tutti a incontrarlo e riconoscerlo.

Tutto questo è reso possibile e lo comprendiamo se guardiamo l’altra faccia dell’esperienza materna, non quella di noi che abbiamo ricevuto, ma quella della madre che si è dedicata, instancabilmente e per un tempo inenarrabile, magari dimentica di sé, al bene dei figli, alla loro crescita, alla loro serenità e alla loro maturazione. Ci sono madri la cui unica ambizione è vedere i figli raggiungere la loro statura umana compiuta e trovare in ciò abbastanza gioia e appagamento rispetto a tutta la fatica consumata senza riserve residue. Certo ci sono state nel passato ed è l’esperienza di tanti.

Non c’è già in questo un senso cristiano della vita, a imitazione di Cristo Signore, che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per molti (cf. Mc 10,45)? La vita come servizio credo sia la lezione che ci lascia la signora Marisa, accanto al padre, al marito, ai figli, ininterrottamente.

Bella questa immagine evangelica dei servi sempre pronti ad accogliere il Signore in qualunque momento arrivi. Sono quelli più fedeli, che non fanno le cose per farsi vedere, ma perché credono al valore di ciò che fanno e hanno a cuore per loro stesse le persone a cui si dedicano senza risparmio. E poi la successiva immagine del padrone che fa mettere a tavola e passa a servire, lui, i propri servi, perché li ha trovati pronti, non a fare cose, ma a dedicarsi a qualcuno da accudire. Noi preghiamo e abbiano fiducia e speranza che questo Signore che riconosce e accoglie i servi fedeli sia stato anche per Marisa colui che ha incontrato quando egli l’ha chiamata a sé.

«Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso». Ci toccano sempre profondamente queste parole dell’apostolo Paolo. Perché ci dicono allo stesso tempo che noi viviamo grazie al Signore e ai fratelli; ma ci dicono anche che noi viviamo dedicandoci al Signore e ai fratelli, perché se non lo facciamo non apparteniamo a nessuno, né al Signore, né ai fratelli e, alla fine, nemmeno a noi stessi.

Il Signore ci insegna e ci vuole far capire che siamo fatti per servire e per dedicarci. Vorrei dire che, prima di essere una verità di fede che viene dall’esempio di Gesù, è una verità umana che lui per primo ci insegna. Noi siamo fatti per avere qualcuno di cui prenderci cura, di cui occuparci, da aiutare e sostenere, per andare avanti. Sono convinto che la grande confusione che regna in mezzo a noi venga anche da questo, dall’andare contro la nostra natura, che è fatta per prendersi cura. In questo senso i figli non sono un prodotto qualunque, ma la risposta più adeguata al bisogno di dedizione dei genitori. Quando ci prendiamo cura di altri, ci prendiamo anche cura noi stessi. Quando invece pensiamo solo a noi stessi, non ci prendiamo cura veramente di noi stessi, non sappiamo come trattarci e perciò stiamo male. Abbiamo bisogno della mediazione degli altri, della dedizione verso qualcuno su cui riversare amore e cura, anche perché questo ha l’effetto di curare le nostre ferite, consolare il nostro cuore, appagare il nostro bisogno di vita. Viviamo in un tempo in cui spesso non sappiamo prenderci cura dell’umano altrui e di conseguenza nemmeno del nostro, magari riversando altrove un affetto che rimane incompiuto perché privo di destinazione umana adeguata.

La nostra certezza di fede che la nostra sorella Marisa è stata accolta dal Signore come una sua serva fedele nella dedizione di amore alla famiglia, ci deve spronare a rivedere tanti nostri atteggiamenti e a ritrovare la dimensione di essere insieme umani e credenti sull’esempio di Gesù e con il sostegno della sua grazia. La vita eterna di cui la nostra sorella Marisa noi crediamo che goda in questo momento, diventi per noi motivo di speranza e di impegno per un nuovo modo di stare con noi stessi e tra di noi, e quindi anche con il Signore.

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