OMELIA
Funerale di don Anselmo Mazzer
Latina, S. Maria Goretti, 16 settembre 2024
+ Mariano Crociata
Siamo stati dolorosamente sorpresi dalla morte di don Anselmo Mazzer. Quando le reali condizioni della sua salute sono apparse chiare era già troppo tardi non solo per fare qualcosa ma anche per avere il tempo di elaborare la sua fine. E ora invece siamo qui a dargli l’ultimo congedo.
La morte di un prete non è diversa dalla morte degli altri, dalla morte di ogni persona umana che incontra in essa il termine ma anche il compimento di una esistenza terrena qualunque sia la sua durata. Ci fermiamo al suo cospetto con la costernazione e il rifiuto che merita, ma anche con l’accettazione della sua presenza inevitabile nella condizione umana alla quale essa conferisce tutta la sua drammatica grandezza. Fatti per l’infinito, possiamo solo conoscerne l’anelito profondo che ci anima verso di esso proprio preparandoci ad accoglierne l’inesorabile interruzione e l’apparente negazione. Apparente almeno per noi credenti in Cristo, il quale intorno alla morte ha giocato la sua esistenza terrena nella prospettiva di una vita che Dio ha affermato vittoriosamente sulla morte donandogli la risurrezione. Per questo la morte di un prete ha un potere evocativo singolare e una capacità peculiare di rimandare a tutto ciò che egli rappresenta nella Chiesa e nella società.
Ho cercato una parola che condensasse ciò che don Anselmo è stato e ha fatto, e mi è venuto in mente un termine astratto ma efficace: concentrazione. La sua esistenza di prete è stata concentrata in due parrocchie, Santa Maria a Sezze, dove ha trascorso 27 anni, e Santa Maria Goretti a Latina, dove è stato per 21 anni. Ma soprattutto la sua personalità aveva un carattere compatto, tutto d’un pezzo, come si usava dire una volta. C’è una coerenza che va apprezzata in uno come lui, serio e severo, intelligente e attento, soprattutto fermo nelle convinzioni che aveva fatte sue in un apprendistato ministeriale che ha ricevuto l’impronta decisiva al seminario di Anagni ma è cresciuto dentro l’esperienza pastorale, nella quale si è speso, soprattutto in Azione Cattolica, in un’opera educativa e formativa costante.
Collaboratore fidato di tutti i vescovi che ha avuto come pastori nei suoi anni di ministero, si è speso per la nostra Chiesa avendo in essa l’unica sua ragione di vita. La sua forma mentis aveva soprattutto un carattere dottrinale, direi dogmatico. Nel confronto con lui si poneva il problema di come trasmettere il senso della centralità di Cristo, a cui teneva con estrema determinazione, in un mondo nel quale i presupposti religiosi e cristiani sono venuti meno. In questo senso egli ha rappresentato la fatica che la Chiesa oggi fa a incontrare questo mondo contemporaneo e la mentalità corrente. Certo un esempio egli lo è stato, perché non ha conosciuto la tentazione in cui molti oggi cadono, secondo cui il cambiamento della mentalità dominante rende indulgenti, e perfino cedevoli, verso gli adattamenti e gli annacquamenti di una fede cristiana che finisce con il perdere la sua specificità e perfino i suoi contenuti più propri e irrinunciabili. Le letture appena proclamate ci chiedono di rievocare proprio quei contenuti e di rinnovarne la convinta accoglienza.
Due sono infatti per un cristiano le realtà essenziali da tramandare che san Paolo per primo sottolinea, la fede nella risurrezione e la fede nell’Eucaristia. Entrambe hanno a che fare con la morte, come abbiamo ascoltato. La risurrezione di Cristo non riguarda solo lui, ma la condizione umana come tale, perché se la morte è toccata a lui che è il Signore della vita, allora vuol dire che essa si è trovata in uno scontro impari che non poteva in alcun modo superare. La morte come tale viene sconfitta nell’atto stesso in cui aggredisce Cristo; in lui infatti abita una potenza infinitamente più grande della morte. La morte viene dall’uomo, da noi creature, la vita viene da Dio. Perciò nella morte di Gesù la morte di tutti è stata irreversibilmente aggredita, per essere sconfitta al momento opportuno, ma già fin da ora per noi che continuiamo a vivere andando verso la morte. Se infatti apparteniamo con la fede a Cristo che vince la morte, allora viviamo della sua stessa vita, come lui, vincendo quel peccato che della morte è l’origine e la causa. In lui allora viviamo già della vita di Dio in attesa di entrarvi definitivamente attraverso un passaggio di morte che a questo punto nulla potrà più contro di noi.
Don Anselmo ha creduto fermamente in tutto questo e lo ha insegnato e spiegato nel suo lungo ministero, che si è ugualmente concentrato nell’Eucaristia, davvero centro e culmine della vita cristiana. Attorno ad essa ha costruito la sua esistenza personale e il suo servizio pastorale, consapevole che nutrirsi del corpo risorto del Cristo glorioso sacramentalmente presente nel pane e nel vino equivale a partecipare della sua stessa vita umana trasfigurata dalla risurrezione e entrata nella condizione di Dio, nella comunione delle persone divine. Celebrare e quindi ricevere l’Eucaristia non è entrare in comunicazione con una figura del passato bensì venire a far parte della comunione attuale della vita di Dio. Non finiamo di interrogarci, per noi stessi e per i tanti che lo chiedono, su quali debbano essere le condizioni, i tempi, la consapevolezza per accostare adeguatamente questa realtà così inarrivabile nella sua infinita grandezza. Ma confidiamo che colui che si è abbassato fino alla morte di croce e fino a farsi cibo e bevanda per noi, riconosca la sincerità del nostro desiderio e non misuri con il rigore che richiederebbe l’indegnità delle nostre persone e della nostra vita. Davvero grandioso sapersi in comunione reale con la vita eterna in Dio, che attende di accoglierci oltre il confine della morte che don Anselmo ha appena varcato.
Lo affidiamo alla misericordia di Dio, certi che Egli lo accoglie con l’amore e la misericordia che don Anselmo ha professato, predicato e cercato nel suo lungo ministero. Mentre lo affidiamo a Dio con la nostra preghiera, siamo certi che la sua preghiera si farà più intensa per la nostra Chiesa e per tutti noi che lo abbiamo conosciuto. Per la sua presenza in mezzo a noi non finiremo di sentire gratitudine.
Don Anselmo, riposa in pace.