Omelia al XXII Capitolo generale della Suore Francescane Alcantarine (29/12/2019 – Roma)

29-12-2019
OMELIA

Roma, Casa generalizia delle Suore Francescane Alcantarine

Domenica 29 dicembre 2019

Festa della Santa Famiglia di Gesù Maria e Giuseppe

Celebrazione di apertura del XXII Capitolo Generale Ordinario

✠ Mariano Crociata

 

Care sorelle,

siamo consapevoli della solennità del momento, pur nella semplicità che contraddistingue il vostro stile di Francescane Alcantarine. Il carattere di solennità scaturisce dal senso della presenza di Dio, che chiama ad un tempo speciale di discernimento la vostra congregazione, sollecitata e sostenuta dallo Spirito con la richiesta di riscoprire la fedeltà al carisma originario e un’attenzione e un’apertura ai segni che Dio stesso dissemina oggi nella vita della Chiesa e nella storia umana. La scelta del tema denota un processo di discernimento già avviato, con il riferimento peculiarmente francescano alla spiritualità ecologica e l’adozione dell’icona della Visitazione. Questa celebrazione di apertura vuole porsi anch’essa come segno che illumina il vostro raduno a partire dalla liturgia della festa della Santa Famiglia.

Mi verrebbe da dire che, paradossalmente, il tema della festa di oggi non è la famiglia, quanto meno non in senso sociologico. Gesù viene a superare tutti i meccanismi naturali, sociali e istituzionali che ordinano la vita delle persone. Conosciamo bene le sue parole: «chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre» (Mt 12,50). Gesù crea una nuova famiglia, e con essa un nuovo modo di essere famiglia. Il dato naturale e il legame di sangue non vengono delegittimati o smentiti, ma richiesti di una elevazione che soltanto l’ordine nuovo che egli viene a instaurare è in grado di ristabilire. E tale nuovo ordine non nasce da norme e criteri formali, di tipo giuridico o sociologico o altro, ma dall’avvento del Regno di Dio e del suo amore e dall’adesione ad esso con la fede e la grazia dello Spirito. Accogliere il Regno consiste nel fare la volontà del Padre, e nel fare la sua volontà si determina una nuova appartenenza e nuove relazioni, soprattutto un nuovo senso e un nuovo stile di relazioni interpersonali. La stessa famiglia naturale diventa vera e autentica nell’assumere la forma della famiglia ricreata da Gesù attorno all’adempimento della volontà di Dio.

Quella di Gesù è la famiglia modello non perché composta da persone speciali, ma perché composta da persone rese speciali dalla ricerca e dalla pratica della volontà di Dio. Anche in questo bisogna fare attenzione, poiché il fare la volontà di Dio non equivale alla semplice applicazione meccanica di norme e indicazioni precostituite e astrattamente immutabili. È chiaro che esistono principi e valori che ci dicono la permanente volontà di bene e di salvezza Dio, ma il più delle volte la concretezza delle situazioni e delle scelte chiedono qualcosa d’altro della semplice applicazione di una regola, chiedono appunto un discernimento. La volontà di Dio non equivale a un codice – che pure ci può aiutare – perché è una volontà personale, viva, che illumina e indirizza nelle circostanze mutevoli e imprevedibili che la vita presenta. La volontà di Dio si manifesta a chi la cerca con tutto il cuore e la accoglie con amore e disponibilità riconoscendovi il bene per sé e per tutti. La volontà di Dio corrisponde sempre al bene delle persone alle quali è chiesto di compierla, perché non è la volontà di un estraneo, ma di chi conosce e vuole il nostro bene più di noi stessi.

Ci sono nelle pagine bibliche proclamate alcuni suggerimenti preziosi che bisogna raccogliere. Il Siracide ci fa capire che un modo elementare di manifestarsi della volontà di Dio consiste nella collocazione sociale e relazionale nella quale ci troviamo. Il posto che occupiamo è un appello e una chiamata. Naturalmente non solo non c’è sempre fissità, ma ci sono posti differenti che ci possiamo di volta in volta e anche simultaneamente trovare ad occupare. Nei confronti di chi ci ha generato, siamo sempre figli, come saremo sempre fratelli o sorelle, ma cambia il modo di essere l’uno e l’altro a seconda dell’età propria o dei genitori o dei fratelli, o del cambiamento delle rispettive situazioni; cambia soprattutto la collocazione di chi diventa genitore. Il posto che occupiamo regola diversamente le nostre relazioni, e quindi gli atteggiamenti e le responsabilità, chiedendoci una postura corrispondente. La lettera ai Colossesi interviene a illuminarci, esplicitando gli atteggiamenti che traducono la volontà di Dio nelle nostre relazioni: tenerezza, bontà, umiltà, mansuetudine, magnanimità, sopportazione e perdono vicendevoli. Dono di sé e accoglienza dell’altro contraddistinguono lo stile dei rapporti nella famiglia di Gesù, sul cui modello si impronta anche l’icona della Visitazione.

La pagina evangelica ci fa compiere un passo avanti. La volontà di Dio chiede a volte di mettere da parte i propri progetti per rispondere ad una chiamata singolare. La figura di Giuseppe ci dice che il bene che il Signore ci dona passa per la ricerca del bene dell’altro e non immediatamente del proprio; questo dovrebbe verificarsi pure nella vita di famiglia. Docile alla parola che gli giunge nel sogno, Giuseppe si fa carico della difesa, della custodia e della premura per Gesù e per Maria. Il contesto della narrazione, poi, ci aiuta a capire meglio il messaggio evangelico; infatti il riferimento all’Egitto è intenzionale nella redazione di Matteo, poiché rivolto a far riconoscere Gesù come il nuovo Mosé, che guida il popolo di Dio verso la terra dei salvati. Con Gesù è in atto un nuovo esodo, anzi l’esodo vero e definitivo. Tutta la sua esistenza fino al compimento pasquale sarà un esodo: da Dio e da sé. Grazie a lui, il popolo lo seguirà in una conversione che diventa l’esodo personale da sé verso Dio e verso gli altri. Giuseppe, e prima di lui Maria, è il custode di questo esodo e insieme il suo primo protagonista, pronto a muoversi – nuovo Abramo – verso dove Dio indica.

La famiglia di Dio, e perciò anche la famiglia cristiana, non si costruisce ripiegata su se stessa, chiusa al mondo esterno. Al contrario. Essa stessa è fatta di persone che escono da sé per andare verso l’altro. In ogni vera famiglia si insegna a uscire dal proprio guscio, dal proprio egocentrismo, dal proprio narcisismo, per donarsi e accogliere, per far vivere e far crescere la vita.

Sulla linea di questo uscire da sé si colloca la visita di Maria a Elisabetta, come pure l’apertura della Chiesa al mondo, ai suoi drammi e alle sue fatiche. Non una famiglia ripiegata su di sé, dunque, ma una famiglia che non è meno famiglia perché si apre e si preoccupa degli altri. La stessa cura per l’ambiente, della casa comune, come dice il papa, è parte di questa apertura e partecipazione al cammino di tutti, perché si preoccupa non di una natura quasi sacralizzata, ma di una umanità desolata da un ambiente reso ostile e non più accogliente dall’egoismo di chi si ostina a vivere solo per sé, dimentico e indifferente alle sofferenze altrui.

Vi auguro di essere una famiglia di Gesù tanto unita in se stessa quanto aperta e attenta ai drammi di uomini e donne di oggi, ancora di più grazie al Capitolo generale ordinario che ora cominciate a celebrare.

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