Oggi pomeriggio, alle 18 presso la cattedrale di San Marco in Latina, si è tenuta la celebrazione per l’Anniversario della dedicazione della cattedrale e per il natale di Latina.
Il vescovo Mariano Crociata ha chiesto al vicario generale mons. Mario Sbarigia di presiedere la celebrazione, a motivo di un adempimento programmato da tempo che non gli è stato consentito di rimandare. Egli si unisce alla celebrazione, per la quale ha preparato l’omelia che sarà letta dal vicario generale al momento previsto dalla liturgia.
Di seguito il testo dell’omelia.
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OMELIA
Anniversario della dedicazione della cattedrale e natale di Latina
18 dicembre 2018
✠ Mariano Crociata
Cari fratelli e sorelle,
dalla fondazione, città e cattedrale di Latina si accompagnano richiamando l’una all’altra il senso e la responsabilità di essere compiutamente comunità civile e comunità ecclesiale. Alla verifica annuale è facile trovarsi, per qualche verso, l’una e l’altra in difetto e inadempienti. Non è un caso né una formalità se, da credenti, torniamo a iniziare le nostre celebrazioni, come anche stasera, con un atto penitenziale. È un segno, anche per noi, che le celebrazioni anniversarie non sono mai vere se non sono anche occasione di riflessione, di bilancio e di rilancio.
Pur volendo mantenere questo doppio registro, imposto dalla ricorrenza, di cattedrale e di città, non posso fare a meno di prendere spunto dal significato della chiesa cattedrale di cui celebriamo l’anniversario della dedicazione. Essa è il simbolo dell’assemblea dei credenti, della comunità ecclesiale che svolge la sua vita secondo un ritmo che è quello del respiro e del cuore, in una alternanza regolare tra convocazione e dispersione. Le nostre assemblee liturgiche, e questa più di altre, sono convocazioni il cui ultimo promotore è il Signore stesso, che ci raccoglie attorno a sé per edificarci come suo corpo umano, sociale e storico. Proprio in quanto corpo di Cristo edificato in Lui, siamo mandati, e come dispersi, nelle nostre case e nelle nostre occupazioni quotidiane per realizzare lì quella identità e quella appartenenza che rende culto a Dio, non più solo nei riti ma nelle condizioni comuni dell’esistenza di tutti. La caratteristica fondamentale del nostro essere credenti è, dunque, l’appartenenza alla Chiesa e, per essa, a Cristo stesso. Senza questa appartenenza la nostra identità si dissolve.
Con questo senso del nostro essere Chiesa, insieme ai parroci e ai preti di Latina abbiamo accennato a una riflessione sull’identità socio-culturale e civile dell’intera comunità cittadina e ciò che è emerso chiede una considerazione attenta che qui possiamo solo avviare. Senza superficiali generalizzazioni, non è difficile incontrare persone che vivono la nostra città come residenti temporanei, quasi ospiti di passaggio, non raramente in modo consapevole e intenzionale. Non dobbiamo qui fare i sociologi, ma è comune la constatazione che una quota significativa della nostra gente si è insediata o, anche oggi, sceglie di abitare nella nostra città in funzione di un lavoro svolto altrove o di altre analoghe convenienze. Del resto, fin dalle origini l’opportunità di un lavoro, qui o nelle vicinanze, è stata per i più la motivazione portante per decidere di stabilirsi qui da noi. Nel grande andirivieni non è mancato chi è poi tornato da dove era venuto o si è adattato a rimanere senza averlo veramente previsto e scelto fin dall’inizio, come un effetto fortuito del caso.
Qualcuno potrà osservare che cose simili succedono in chissà quanti altri posti. Il punto per noi, tuttavia, è un altro, e cioè se la nostra è una città dove si può venire per scelta; o, meglio, se noi che la abitiamo oggi, l’abbiamo scelta, la sentiamo nostra e perché. Il punto delicato è il senso di appartenenza a questa nostra città, il grado di attaccamento ad essa e il sano orgoglio di farne parte. Si ha l’impressione, in molti casi, che la vera patria e il luogo del cuore sono quelli da cui siamo venuti o da cui sono venuti i nostri, o dove spesso vivono ancora membri della famiglia e della parentela. Non poche forme di aggregazioni conservano il carattere regionale delle origini, un fenomeno che è allo stesso tempo positivo ma sintomatico di una nostalgia per un altrove rispetto a questo luogo e a questo tempo. Tutto ciò ha una sua legittimità e anche un suo valore. Ciò che sembra mancare, invece, è la volontà di abbracciare questa città come comunità del proprio presente e del proprio futuro, come luogo – non solo concreto ma anche simbolico – di investimento dei propri sogni e dei propri progetti.
Per compiere un tale investimento di sé, c’è chi si chiede se ne valga la pena, se cioè una città come la nostra presenti qualche motivo convincente per una tale scelta, se abbia un volto e una identità in cui riconoscersi e da abbracciare. Non sarebbe difficile ricostruire un elenco di pregi e difetti, di aspetti positivi e negativi, promettenti e deludenti, per rispondere a tale richiesta. Tuttavia nessun elenco avrebbe l’effetto di convincere in un senso o in un altro se non si compie una scelta previa, che è non tanto di opportunità o di preferenza, ma è prima ancora una scelta umana e morale, una scelta di volontà: non l’aspirazione o l’aspettativa di trovare già realizzata la propria città ideale, ma la volontà di costruire insieme la città per noi, la nostra città. Non so come sia stato per il passato, ma oggi sembra che manchi questa volontà in molti, per i quali la città diventa una opportunità da sfruttare, un luogo di passaggio da cui trarre i vantaggi possibili, ma senza prendersene mai cura. È come se uno volesse vivere in albergo e non abitare una propria casa: non avrà mai cura dell’appartamento dell’albergo come della propria casa.
Scegliere, dunque: non solo di risiedere in questa città, ma di volerla fare propria e renderla migliore con il proprio coinvolgimento e impegno. Questa è la posta in gioco.
La prima condizione è accettarne le origini, la storia, la composizione, la conformazione; bisogna riconciliarsi con essa, con la sua varietà di presenze e di provenienze. Riconciliarsi non vuole dire accettare ciò che non è andato o non va bene, e nemmeno rassegnarsi ai suoi aspetti deteriori; significa prendere atto che ci sono anche questi aspetti e chiedersi che cosa fare per rimuoverli e trasformarli, oltre che rafforzarne gli aspetti positivi. Per fare l’esempio più eclatante, quello delle misure repressive intraprese in questi anni dalle forze dell’ordine e dalla magistratura, non si può solo aspettare che queste facciano il loro lavoro perché le cose si mettano a posto, poiché la parte più importante tocca alla società civile, e consiste nella rimozione dal corpo sociale di ogni forma di indulgenza verso l’illegalità, verso la corruzione o anche solo verso le omissioni nel proprio lavoro e nell’adempimento del proprio dovere. La parte più importante nella ricostruzione di una comunità umana è compito della coscienza morale comune e dei valori condivisi da rafforzare e praticare. Ognuno è chiamato a farlo nella maniera che gli è più propria e con quanti sceglie come compagni di viaggio.
Bisogna, ancora, che siano superati i confini, o peggio i conflitti, dei gruppi di interesse, ideale, culturale e materiale, per trovare un terreno comune tra tutti. Questo vale anche per noi credenti, che non vogliamo costruire una città a nostra immagine, ma contribuire a plasmare la città di tutti dando il nostro contributo e portando la peculiarità della tradizione cristiana e della fede cattolica con il suo patrimonio di dottrina sociale. In modo particolare dovremmo dare un segno della capacità di fare unità oltre le diversità. Senza cancellare le differenze e le peculiarità di ciascuno o dei singoli gruppi o comunità, ci sono dei momenti e degli obiettivi che chiedono la partecipazione e lo sforzo di tutti. In quel momento e su quel punto bisogna diventare capaci di superare le particolarità e ritrovarsi come un corpo unico. A questo in fondo ci invitano le letture che abbiamo ascoltato, specialmente quando ci dicono, come fa san Paolo, di stare attenti a come costruiamo il tempio di Dio, perché il suo fondamento è uno solo, Gesù Cristo. L’unità in Lui e attorno a Lui viene prima di ogni altra cosa.
Un ultimo punto, su cui riflettere e lavorare, è l’esigenza di individuare grandi obiettivi comuni, che rispondano alle attese e ai bisogni della popolazione e del territorio, e mobilitare attorno ad essi le forze e le aggregazioni. Accanto all’impegno per il lavoro quotidiano e per i servizi essenziali di una comunità, soltanto grandi obiettivi mobilitanti e unificanti potranno contribuire efficacemente a costruire a poco a poco l’identità di questa città, di cui individuare vocazione e potenzialità. Ma per far questo c’è bisogno di visione e di competenza. Aiutiamoci ad acquisirle e a coltivarle. Aiutiamoci tutti a sognare insieme e ad agire uniti.