OMELIA
Domenica 29 aprile 2018, V di Pasqua B
Parrocchia S. Maria di Sessano
Venticinquesimo di ordinazione di D. Livio Di Lorenzo
+ Mariano Crociata
Abbiamo bisogno di darci a vicenda occasione di ringraziare il Signore. Dovremmo farlo sempre, o almeno più spesso di quanto non avvenga. Non è un caso che il momento sorgivo e culminante della liturgia e della preghiera cristiana sia l’Eucaristia, per definizione ringraziamento. Il rinnovarsi del mistero pasquale in ogni nostra celebrazione avviene nel segno del ringraziamento. Ringraziamo il Padre riattualizzando ciò che ha fatto Gesù e lo facciamo insieme a Gesù stesso, l’unico che può veramente rivolgersi al Padre e ha qualcosa da offrire al Padre. In lui anche noi diventiamo lode e ringraziamento.
Il ringraziamento eucaristico costituisce il centro della vita di un presbitero, non perché deve celebrare molte Messe, ma per il semplice fatto che solo lui è abilitato a farlo e la Chiesa ha bisogno di lui per compiere questo gesto supremo che dà ragione alla sua esistenza. Perché la Chiesa esiste grazie alla Pasqua e per la Pasqua che si rinnova nell’Eucaristia. Con questa consapevolezza e con questo intendimento siamo qui a celebrare i venticinque anni di ordinazione di don Livio Di Lorenzo. È l’occasione per dirgli la riconoscenza della comunità diocesana per la dedizione e la passione con cui ha svolto il ministero di pastore in diverse parrocchie e il servizio di formazione e accompagnamento dei diaconi permanenti come Delegato del Vescovo. Ma è soprattutto l’occasione per ringraziare insieme a lui il Signore per il dono del sacerdozio ministeriale e per la fedeltà sperimentata in questi venticinque anni.
È prezioso, caro don Livio, poter sostare dopo una tappa così lunga, che sorprende grosso modo a metà del cammino di vita di una persona, e in ogni caso coglie un presbitero nella fase della maturità umana e ministeriale. È un momento in cui, più che al passato si deve guardare al futuro, più che a risultati, ai progetti che proprio la maturità raggiunta consente, se non obbliga, a immaginare e a costruire. Perché al giorno d’oggi di questo si tratta per un prete, di fare della propria vita un progetto personale, non isolandosi – inventandosi personaggio – ma sintonizzandosi con il cammino della Chiesa, della diocesi, della comunità parrocchiale nella quale si è stati chiamati a svolgere il ministero. Questi sono tempi nei quali non basta seguire uno schema collaudato da sempre, ma capire dove stanno le nuove attese e i nuovi bisogni che l’esperienza di fede e la domanda di spiritualità pongono alla Chiesa e cercare di rispondervi unendo creatività personale e comunione ecclesiale.
Mi piace prendere uno spunto dal Vangelo di oggi per sottolineare un aspetto che interessa il nostro ministero e la vita cristiana al di là della circostanza che ci vede qui radunati ma non per questo estraneo ad essa. A proposito della vite e dei tralci, come pure della vite che è Gesù e dell’agricoltore che è il Padre, il quale pota la vigna perché porti più frutto, Gesù aggiunge: «Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato» (Gv 15,3). L’aggettivo ‘puri’ non deve trarre in inganno, poiché si riferisce ai tralci purificati, liberati da tutto ciò che ne limita la capacità di portare frutto, e quindi vuol dire semplicemente ‘potati’: voi siete già potati, grazie alla parola che vi ho trasmesso. La potatura che il Padre compie avviene per mezzo di Gesù e, in modo particolare, della sua parola. Rimanere in Gesù – per richiamare il suo insistente invito lungo tutto il brano – non è gesto statico, non è un fatto inerziale; è invece un gesto dinamico, un atto di dinamismo verso una più ricca fruttuosità. Ma ciò si compie lasciandosi potare dal Padre tramite la parola di Gesù, lasciandosi cioè liberare da tutto ciò che appesantisce come una zavorra e rallenta la capacità di portare frutto, che stando al seguito della pagina consiste nell’osservanza dei comandamenti del Padre e nell’amarsi gli uni gli altri.
Quando sentiamo parlare di potatura siamo spontaneamente rinviati a tutto ciò che nella vita ci costringe dolorosamente a distacchi, rinunce, sacrifici per qualcosa di più importante. La Scrittura non ignora questo aspetto, di cui parla soprattutto nella forma della correzione da parte del padre nei confronti del figlio che ama, tema che troviamo nei libri sapienziali e nella Lettera agli Ebrei. Ma qui non è della correzione penosa che si parla, bensì della parola di Gesù come dotata del potere di purificare in vista di una maggiore fruttuosità. Come avviene dunque questa potatura? Essa consiste nella interiorizzazione che si compie nell’ascolto della parola. Quando questa viene realmente accolta, essa opera una trasformazione interiore, perché fa prendere coscienza, illumina i propri errori e le proprie incomprensioni, muove la volontà a decidersi per eliminare ciò che contraddice l’ascolto e abbracciare ciò che avvicina, e anzi rende intimi, di colui che ci parla. In questa maniera il credente si rende più pronto e disponibile ad accogliere il dono di Dio e a corrispondervi generosamente. L’ascolto della parola compie una purificazione, una potatura, mobilitando la coscienza e la libertà del discepolo, il quale si mette spontaneamente in sintonia con il maestro che parla, con la linfa della vite che nutre, per portare frutto con grappoli d’uva carichi di adesione alla volontà di Dio e di opere di amore fraterno.
Sono convinto che un progetto di vita presbiterale, di animazione spirituale e di attività pastorale ha bisogno di questa potatura prodotta dall’ascolto della parola, da essa prende le mosse e ad essa deve continuamente tornare ad attingere.