Omelia Incontro preghiera mensile per le vocazioni (30/12/2017 – Le Ferriere)

31-12-2017

OMELIA

Sabato 30 dicembre 2017, dopo Natale

Incontro di preghiera mensile per le vocazioni

Casa del martirio, Le Ferriere

+ Mariano Crociata



È bello ritrovarsi a questo appuntamento anche oggi, durante l’ottava di Natale. E il pensiero non può non andare a quei Natali trascorsi in questa casa dalla bambina Maria Goretti, fatti di semplicità, ma anche di gioia, fede e preghiera. Tutto per la nostra fede comincia dall’incarnazione del Verbo, cioè dall’offerta che fa di sé il Figlio di Dio diventando uno di noi, donandosi e anzi consumandosi per la nostra salvezza, che – come ci ricorda la prima lettura (1Gv 2,12-17) – consiste nel perdono dei peccati, nella conoscenza di Gesù come colui che era fin da principio e del Padre suo, nell’ascolto della parola e nel rimanere nella parola, nella vittoria sul maligno. Troviamo così enunciate le dimensioni fondamentali dell’essere cristiani, degli effetti che l’incontro con Gesù e con i suoi discepoli procura.

La seconda parte dello stesso brano dice che all’opera compiuta deve seguire la continuazione della lotta che l’adesione a Cristo richiede. Essa consiste nel non amare il mondo. Il discepolo di Gesù si trova dentro questa alternativa: amare Dio o amare il mondo. Che cosa si intende qui per mondo? Esso abbraccia tutto ciò che rifiuta Dio e il suo inviato, Gesù Cristo. Tre espressioni condensano questo mondo che rifiuta Dio. La prima è “concupiscenza della carne”; essa indica il desiderio smodato, la voglia sregolata, la ricerca incontrollata di soddisfare tutto ciò che l’istinto naturale brama; essa non può amare Dio perché cerca solo se stessa e non riconosce niente al di fuori del proprio desiderio sfrenato. La seconda è la “concupiscenza degli occhi”; essa è simile alla prima perché ha lo stesso carattere di desiderio incontrollato, ma in questo si riferisce al possesso e al dominio di tutto ciò e di tutti coloro che cadono nel proprio spazio relazionale così che tutti i rapporti sono alterati dalla volontà di sottomettere e usare cose e persone. La terza è la “superbia della vita”; essa riguarda il senso di autosufficienza e di sicurezza di chi vive nell’illusione che tutto dipende da sé, che non ha bisogno di niente e di nessuno, di chi si sente appagato e padrone della vita. Proprio a questo atteggiamento illusorio risponde la stessa lettura quando dice che «il mondo passa con la sua concupiscenza», mentre solo Dio, la sua volontà e coloro che la compiono restano in eterno.

In questo modo abbiamo un quadro di che cosa abbia ricevuto il credente in Gesù e quale impegno debba affrontare per rimanergli fedele. Viene spontanea una riflessione sulla intenzione vocazionale della nostra preghiera. Non può sentire alcun richiamo vocazionale uno che non abbia fatto l’esperienza dell’incontro con Gesù e della rinascita ad una vita nuova, fatta di perdono dei peccati, di conoscenza di Dio, di ascolto della sua parola, di consapevolezza del male da combattere con l’aiuto della grazia di Dio. Chi vive soggiogato da desideri privi di guida e orientamento – che vuol dire semplicemente: chi vive chi ha oscurato dal proprio orizzonte la presenza e anche solo l’ipotesi Dio – non è capace di altro se non di pensare a se stesso, non certo di spendersi per un ideale, per una causa, per una persona come Gesù, per Dio e per gli altri. Prima di ogni altra cosa bisogna creare le condizioni, per quanto umanamente è possibile, perché le persone, giovani e meno giovani incontrino Dio in Gesù.

E per incontrare Gesù bisogna in qualche modo desiderarlo e attenderlo. È ciò che fanno Simeone e Anna; quest’ultima, quando vede il bambino, non può fare a meno di uscirsene in una lode incondizionata a Dio. C’è in ciascuno di noi una grande nostalgia e attesa di Dio, ma essa non può emergere se non raggiunge il livello della coscienza il bisogno di redenzione che ci divora dall’interno della nostra condizione. Questo bisogno di redenzione presenta un grande potere evocativo nell’attualità, di fronte ai problemi senza fine che ci affliggono. La cosa grave è che non si riconosce che alla radice di tutti i problemi c’è una indigenza, un bisogno di salvezza che ci tocca personalmente. Ciascuno di noi ha bisogno di prendere coscienza che il Signore è venuto per lui.

Il Signore ci dà tempo, perché dà a se stesso tempo di crescere. Ricominciamo dal crescere con lui. Così riusciremo a riconoscere la nostra chiamata e aiuteremo altri a riconoscere la propria.