OMELIA
Funerali della signora Mimma Scaccia
Terracina, S. Domenico Savio, 28 dicembre 2017
+ Mariano Crociata
Ci stringiamo con affetto attorno a don Enrico, al suo papà e ai suoi familiari in questo momento di dolore per la morte della mamma, la signora Mimma. A lei va il nostro pensiero pieno di gratitudine per ciò che è stata, non solo per i suoi cari ma anche per quanti l’hanno conosciuta, con il suo tratto distinto, discreto, cordiale e accogliente. Per un attimo il pensiero va al passato, alla sua vita di amore e dedizione alla famiglia, alla sua bontà d’animo e alla sua attenzione a tutti quanti l’hanno conosciuta; ma la nostra celebrazione eucaristica non ci consente di attardarci sul passato. A raccoglierci qui non è solo l’affetto familiare e amicale; è quello stesso affetto, ma in quanto generato e innervato dalla fede, dalla condivisione di quella medesima fede, di cui ci ha dato esemplare testimonianza la signora Mimma. In un certo senso è proprio lei che in questo momento ci invita ad alzare lo sguardo, per scorgere i tratti di quel futuro al quale lei ormai appartiene, il futuro di Cristo risorto.
Nonostante i tanti anni vissuti nella fede cristiana, avvertiamo ad ogni passo la fatica di affrontare alcune esperienze nella sua luce, in modo particolare l’esperienza del dolore e della morte. Per questo abbiamo bisogno ancora una volta di rifare il percorso che la Parola di Dio ci indica: passare dall’apparenza alla realtà. La pagina della Sapienza (3,1-9) ci invita a compiere un tale passaggio, affidandoci alla certezza che la nostra sorella Mimma è nelle mani di Dio, nessun tormento la toccherà, essa è nella pace, la sua speranza è piena di immortalità. Il contrasto tra un modo troppo terreno e umanamente comprensibile di vedere le cose e quello che l’annuncio della fede schiude, è reso in maniera formidabile da una immagine lieve e leggiadra: come scintille nella stoppia, scorreranno qua e là. Perfino l’inesorabile rigore della morte non deve ingannare sulla condizione di leggerezza, di libertà, di movimento senza più limiti e condizionamenti che ora appartiene a chi è entrato nella sfera di Dio e della sua eternità nella potenza dello Spirito del Risorto. Non è solo una parola di consolazione, questa; è una rivelazione, una luce e una promessa. Anche per noi diventa desiderabile quella condizione in cui saremo sciolti da ogni peso e limitazione, per scorrere nello spazio infinito di Dio in una danza senza fine con tutti quelli ai quali ci unisce l’unico amore divino.
Il Vangelo (Gv 11,17-27) ci illumina su questo annuncio e su questa promessa togliendoli dall’indeterminatezza in cui li lascia la prima scoperta dell’immortalità dei giusti da parte del libro della Sapienza. L’eternità in Dio è una relazione piena e definitiva con lui. La risurrezione non è una condizione ma una comunione: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà». La vita è Gesù risorto; vivere è essere con lui. Con il dono della fede accolta e coltivata, fin da ora viviamo con lui. Il ritorno alla vita terrena che Lazzaro sperimenterà poco dopo, nella narrazione evangelica, è solo un segno di ciò che toccherà per sempre ai credenti in Gesù: essere con lui.
C’è un segno ulteriore dentro la pagina evangelica: l’amicizia di Gesù con Lazzaro, Marta e Maria; una amicizia confidente che porta Marta a rivolgersi quasi con tono di rimprovero a Gesù: se tu fossi stato qui. Gesù si commuoverà e piangerà di fronte all’amico morto. E il suo amore di amico lo farà rivivere. Gesù piange di fronte al peccato che ha introdotto nel mondo la morte, si commuove di fronte a quanti ne rimangono vittime, interviene per risollevarle e salvarle. Il segno, allora, è l’amore che salva e fa vivere, l’amore che spinge il Verbo di Dio a farsi uno di noi, come celebriamo ancora in questa ottava di Natale, e porta Gesù ad abbracciare la croce come strumento di salvezza e di vita. Gesù è la vita perché è pienezza d’amore, amore creatore che brucia tutte le scorie di male e di peccato per far risplendere la sostanza preziosa di cui siamo fatti a immagine di Dio.
In fondo è questa anche l’esperienza umanissima che facciamo giorno dopo giorno. A tenerci in vita è l’amore di quanti ci accolgono nel nostro venire al mondo, come solo una mamma può fare, e di chi ci accompagnano fino all’ultimo respiro. Ora comprendiamo meglio che questo amore che ci fa vivere è il frutto e il pallido segno di un amore infinitamente più grande e potente, capace non solo di darci vita, ma di restituircela pienamente e definitivamente oltre la morte, per goderne eternamente in Dio. Nella fede, già partecipiamo di quella vita, perché è la vita di Gesù, anzi la vita che è Gesù, il quale purifica i nostri piccoli fatui amori per renderli vivi e veri alla fiamma del suo amore.