OMELIA
Domenica 8 ottobre 2017 XXVII TO A
Ingresso del nuovo titolare della parrocchia dell’Abbazia di Fossanova
+ Mariano Crociata
Il passaggio che oggi si consuma ha una importanza per la comunità parrocchiale e per la storia dell’abbazia di Fossanova di cui è difficile cogliere appieno la portata, se misurata con l’ottica dell’avvicendamento da un parroco ad un altro. Forse il richiamo dei subentri analoghi avvenuti nel passato ci dà meglio le proporzioni di ciò che stiamo vivendo. Questo è originariamente luogo di vita benedettina, che diventa cistercense con l’accettazione dell’omonima riforma nel 1135, a cui segue la costruzione di questa chiesa consacrata nel 1208. I cistercensi rimangono, Passando attraverso varie vicissitudini, fino alla occupazione dei francesi di Napoleone nel 1798 e la successiva soppressione. Solo nel 1826 l’abbazia fu riscattata e concessa ai certosini che già erano presenti a Trisulti. Nel 1926, un secolo dopo, l’abbazia fu affidata all’Opera don Guanella e nel 1936 di essa si fece carico la Provincia Romana dei Frati minori conventuali. Questa, con suoi frati, rimase fino al 1991, anno nel quale fu chiesta la collaborazione e poi la presenza esclusiva dei Frati della Provincia di Cracovia dello stesso Ordine, i quali oggi concludono il loro servizio nella persona dell’ultimo parroco, p. Cristoforo. A lui va la nostra gratitudine, che è difficile esprimere appieno in proporzione di ciò che la presenza dei Conventuali ha rappresentato per gli ultimi ottanta anni e oltre. Affidiamo la loro opera al Signore come l’unico che può ricompensare i suoi servi fedeli. Nondimeno chiediamo a p. Cristoforo di farsi portavoce del nostro sentire carico di riconoscenza presso i superiori e i confratelli, in particolare quelli che si sono succeduti per il servizio pastorale in questo augusto luogo, che ora viene preso in consegna, per così dire, dai sacerdoti dell’Istituto del Verbo Incarnato.
La loro presenza costituisce un grande dono; il fatto che la loro famiglia religiosa abbia accettato la nostra richiesta è motivo di grande gioia. Più di ogni altro complesso religioso, questo di Fossanova è nato come luogo di vita comune e difficilmente potrebbe essere vissuto e valorizzato senza un minimo di vita religiosa. Accogliamo pertanto con cuore aperto e grato p. Pablo, che oggi diventa parroco, e i suoi giovanissimi vicari parrocchiali, p. Luca e p. Nicola. La loro presenza è un segno di speranza per questa comunità e per la nostra diocesi, nella quale i padri del Verbo Incarnato sono in servizio a Sezze.
Non vi nascondo che non si è dissolto del tutto il sogno di vedere questo luogo anche come sede di studio, di formazione e di elaborazione culturale, in conformità con la sua vocazione originaria. Tante sono le difficoltà in tal senso, non ultimo il fatto che il complesso abbaziale non è nella nostra disponibilità. Ma questo non impedisce di sperare, senza dimenticare che il fattore decisivo per ogni impresa ecclesiale e culturale, con la grazia di Dio, sono le persone. E il fatto che l’istituto religioso che oggi viene ad assumere la cura pastorale di questa comunità è non italiano, sebbene italiani siano invece praticamente tutti e tre i sacerdoti che saranno tra noi, denuncia chiaramente le difficoltà in cui versa la nostra diocesi quanto a persone dedicate al ministero.
Questo non ci scoraggia, semmai ci fa raccogliere con maggiore determinazione la sfida che il Signore stesso ci mette in mano. E raccogliere la sfida significa impegnarsi per una vita di comunità all’altezza della chiamata del Signore e delle attese dei tempi. Il primo compito di questa comunità è essere comunità viva di Chiesa, fermento di presenza cristiana nel territorio. L’anno pastorale appena cominciato ci chiede di sentire come prioritario l’impegno di costruire una comunità viva attorno alla Parola, all’Eucaristia e alla carità fraterna, che faccia percepire la bellezza e il fascino della fede e della vita cristiana, perché si comprenda da noi e da tutti che essere cristiani è una grazia singolare e una possibilità in più per una vita autentica, umanamente significativa e aperta a orizzonti sconfinati di compimento.
Del resto questa è la missione della Chiesa, sempre e dovunque, la missione che ora è di p. Pablo e dei suoi confratelli in quanto responsabili pastorali, ed è non meno di tutti i membri della comunità parrocchiale. Bisogna corrispondere alla grazia di poter continuare ad essere comunità cristiana, perché non è scontato che tale possibilità si dia sempre e dovunque. In fondo, a questa stessa responsabilità ci chiamano con una severità non inusuale le letture bibliche domenicali.
Noi siamo la vigna che il Signore ha piantato e coltivato con sconfinato amore e instancabile cura. Dovremmo riportarci sempre alla coscienza dell’operosità e della fatica con cui il Signore si è sempre adoperato per il nostro bene, non solo per la nostra vita intera ma soprattutto per la nostra fede e la comunione di grazia in cui siamo cresciuti e vissuti. Ciò che a noi può sembrare un fatto naturale e addirittura nostro merito, è invece innanzitutto opera di Dio. La nostra preghiera dovrebbe essere sempre espressione di tale coscienza grata e riconoscente del bene ricevuto e che non finiamo di ricevere, poiché l’amore del Signore non si è stancato di noi, al contrario non cessa di circondarci di premure e di attenzioni di ogni genere, come pure oggi possiamo constatare e celebrare.
Non dobbiamo intendere erroneamente, però, il messaggio delle letture, quasi che il Signore voglia ricattarci affettivamente, perché non abbiamo corrisposto come avremmo dovuto. Il Signore non cerca i nostri frutti e ringraziamenti per se stesso, poiché Egli e la sua grandezza e bontà non dipendono da noi, piuttosto noi dipendiamo da Lui. Il rammarico e il rimprovero che le letture esprimono sono contro la nostra insipienza e ottusità. Siamo noi che abbiamo bisogno di portare frutto, e frutto di giustizia. Abbiamo sentito il profeta: «Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi». Giustizia e rettitudine sono ciò di cui noi abbiamo innanzitutto bisogno. Il Signore ci mette continuamente nelle condizioni di essere giusti e retti, perché noi ne abbiamo bisogno per essere veramente noi stessi e condurre una vita umana degna di tale nome e del dono di Dio. Il fatto è che non ce ne avvediamo o addirittura lo rifiutiamo.
Tutte le volte che pretendiamo di fondare la nostra vita su noi stessi, escludendo – scartando – colui che è l’unica e vera pietra angolare, Cristo Gesù, l’inviato del Padre, ci condanniamo da noi stessi alla sterilità e al fallimento, di noi stessi e della nostra vita. La comunità ecclesiale – la parrocchia – è il luogo dove instancabilmente impariamo di essere amati da Dio, di essere sua creatura come singoli e come comunità, e apprendiamo come consentire al suo amore col fare frutti di vita buona nella nostra esistenza, per la gioia nostra, degli altri, di Dio. Vivere secondo giustizia e rettitudine significa aver trovato il senso della vita, del nostro stare insieme, del compito che essa a nome del Signore ci affida e del bene che possiamo compiere per noi e per tutti. L’interesse del Signore non è sfruttare la vigna che è il suo popolo, che siamo noi, ma vederla fiorire e fruttificare nel bene, così da rendere gioiosa la vita di tutti. L’uva e il vino sono, nel linguaggio biblico, il simbolo della gioia della festa e del banchetto. Il Signore, facendoci nascere e donandoci la fede, ci ha invitato alla festa della vita, al banchetto della giustizia e della rettitudine. Non vogliamo essere amati? La cosa triste è proprio questa, che a volte sembra che non vogliamo lasciarci amare; preferiamo farci del male pur di sentirci come chi non vuole rendere conto a nessuno, anche a costo di dilapidare il patrimonio ricevuto. Ma anche allora il Signore non si stanca, finché non ci arrendiamo al suo amore, anche se non senza le prove e le sofferenze attraverso cui deve passare chi, alla fine, ha la grazia di prendere la via del ritorno al Padre.
L’augurio è che questa comunità continui ad essere e diventi sempre di più una piantagione preferita, un campo scelto del Signore, in cui si apprende di essere amati e si impara a lasciarsi amare da Lui e a vivere per Lui e verso di Lui, secondo giustizia e rettitudine, protesi alla festa definitiva nel regno dei cieli.