Omelia Convegno nazionale Unesu-Irc (08/05/2017 – Milano)

09-05-2017

OMELIA

Lunedì 8 maggio 2017

IV Settimana di Pasqua

Convegno UNESU-IRC, Milano

+ Mariano Crociata

La visione di Pietro e il suo incontro con gli uomini venuti da Cesarea spinti da un suggerimento dall’alto, segnano un passaggio cruciale nella complessa e drammatica transizione della missione dei discepoli di Gesù dal solo Israele ai pagani. Pietro si vede condotto da un’ispirazione superiore a riconoscere l’opera dello Spirito tra i pagani ancora prima che ad essi sia giunta la testimonianza apostolica. È un evento di capitale importanza quello di cui sentiamo riferire. Ancora oggi noi siamo il frutto di quel passaggio decisivo, per tanti versi unico e irripetibile. Il Signore, con il suo Spirito, conduce la missione per vie nuove, imprevedibili e inimmaginabili; ma, poiché è egli stesso a preparare il terreno e a suscitare desiderio e attesa, lo fa aprendo gli occhi di Pietro, e poi via via degli altri, alla realtà. E la realtà precede e sorprende la missione cristiana: c’è una attesa diffusa di Cristo e della sua Parola.

Tra altre, colgo in questa pagina di Atti una suggestione che va oltre il passaggio irripetibile a cui rimanda. C’è in essa un carattere paradigmatico, una indicazione di metodo che riguarda il modo di agire di Dio e l’esigenza di una disponibilità incondizionata da parte dei credenti a coglierlo e ad assecondarlo. L’iniziativa dello Spirito di Dio ci precede anche oggi nel suscitare attesa nei confronti di Cristo e della sua Parola nelle persone e negli ambienti apparentemente meno predisposti. A noi la disponibilità e la prontezza ad aprire gli occhi sulla realtà e ad assecondare l’opera di Dio mettendoci al suo servizio. Allargando ancora lo sguardo, è il cammino stesso dell’uomo che è trapuntato di fermenti (con il Concilio si parlerebbe di ‘segni dei tempi’) che attendono di essere scrutati e accompagnati.

Il vasto campo educativo è uno di quei cammini i cui fermenti sono più vivi ma anche più difficili da cogliere e accompagnare. Prevalgono infatti le preoccupazioni e gli allarmi perfino. I cambiamenti così profondi che connotano la sensibilità e lo stile di vita delle nuove generazioni fin dalla più tenera età indurrebbero a vedere affermarsi una sorta di inedito paradigma umano più che mere nuove esigenze pedagogiche. Non sappiamo che cosa ci riserverà il futuro, ma sappiamo senza ombra di dubbio che esso prenderà forma a misura della cura e della relazione che avremo saputo riservare alle nuove generazioni. Le quali possiedono molte più potenzialità di quanto uno sguardo preoccupato sia propenso a cogliere, impressionato come è soprattutto dai problemi. La sfida si presenta in maniera peculiare alla comunità cristiana. Se è vero, infatti, che la Chiesa in Italia può vantare una esperienza ricca e plurisecolare in ambito educativo e scolastico, di cui è testimone un presente ancora sorprendentemente vitale, nondimeno i segni di stanchezza e le difficoltà esterne che si intensificano non fanno giungere correttamente a destinazione le nuove domande che emergono, con il risultato di sentirsi bloccati in un vicolo cieco senza vie d’uscita.

Proprio in riferimento a questa situazione, la figura di don Milani ci trasmette un messaggio che non esiterei a definire spiritualmente esemplare. Non solo per la sua incondizionata obbedienza, ma perché dentro di essa egli si è speso in maniera creativa inventando, in una situazione per tanti versi umanamente estrema, una forma nuova di scuola che incarnava in modo originale la costitutiva missione educativa della Chiesa. Mosso da un senso acuto del suo compito di uomo e di prete, il suo sguardo attento ai bisogni della persona in situazione finiva col generare una formula che faceva compiere ai ragazzi della sua scuola un salto di qualità che i loro coetanei anche più attrezzati e favoriti si sognavano di poter eguagliare.

Non credo sia forzato cogliere alla radice della sua passione educativa una coscienza della responsabilità pastorale che si rivela di una singolare apertura e integrità (come del resto Esperienze pastorali registrano). Soprattutto egli si rivela straordinariamente in sintonia con la parola e l’esempio del Maestro, il modello unico e insuperabile, il buon pastore di cui parla il Vangelo. «Il buon pastore dà la propria vita per le pecore»; conosce le sue pecore e queste lo conoscono, lo ascoltano e se ne lasciano guidare, perché egli dà la vita per esse. Don Milani si è lasciato modellare da questa figura di pastore che è Gesù.

Abbiamo bisogno ancora di più oggi di tali pastori, che affrontano con passione e dedizione una missione educativa che non si accontenta di formule ripetitive ma ha bisogno di creatività e di fantasia, la creatività e la fantasia di un amore disinteressato per il bene dei nuovi figli che la Chiesa e l’umanità hanno la grazia di ricevere ancora.

 

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