Omelia conferimento Accolitato presso il Seminario di Anagni (07/03/2017 – Anagni)

09-03-2017

OMELIA

Martedì della I settimana di Quaresima, 7 marzo 2017

Seminario Leoniano di Anagni, conferimento dell’accolitato

+ Mariano Crociata

 

La liturgia della Parola di questo primo martedì di Quaresima delinea una cornice sorprendentemente consona e uno sfondo illuminante al conferimento del ministero dell’accolitato. Adotterei la parola integrità per raccoglierne il messaggio. Integrità non in senso moralistico, come il linguaggio corrente la intende riducendola a un sinonimo di irreprensibilità, ma nel senso dell’intero che peraltro è esplicito nel suo significato. È innanzitutto l’intero dell’iniziativa e dell’opera di Dio, e poi di conseguenza quello della risposta del credente. Si tratta della preghiera, come dimensione costitutiva dell’essere del credente prima che come sua specifica attività. Una preghiera che in verità è una risposta, insieme risonanza e corrispondenza, alla Parola di Dio che ha sempre l’iniziativa e che non raggiunge mai nessuno senza effetto, senza aver operato ciò per cui è stata mandata (cf. Is 55,10-11). Il primo intero a cui siamo rimandati è dunque la circolarità tra Parola di Dio e preghiera: non c’è l’una senza l’altra.

L’intero della pagina evangelica (cf. Mt 6,7-15) è innanzitutto nella preghiera del Padre nostro, nella quale la ricerca di Dio, della sua trascendenza, della santità del suo nome, della sua volontà è la prima grande domanda e il più profondo desiderio dell’orante, a cui segue la richiesta che tutto ciò si rifletta nelle condizioni dell’esistenza e della storia dei credenti fino al compimento definitivo con il superamento della prova suprema. Ma la stessa preghiera insegnata da Gesù sta dentro un altro intero, che abbraccia due riferimenti che la racchiudono: il primo alla conoscenza che Dio ha di ciò di cui abbiamo bisogno prima ancora che glielo manifestiamo e il secondo alla necessaria circolarità tra ricevere il perdono da Dio e scambiare il perdono con i propri fratelli.

Il messaggio della liturgia della Parola riguarda dunque la verità della preghiera, non solo mai riducibile a mera espressione verbale o, peggio, a monotonamente ripetitiva formula fissa, ma piuttosto riconducibile alla essenza della relazione del credente con Dio, dal quale si sente chiamato e interpellato a rispondere con parole che sono il sovrabbondare incontenibile di un cuore credente e il salire alle labbra di una esistenza filiale e fraterna.

Il ministero dell’accolitato ha molto a che fare con tutto ciò. La Chiesa da molto presto ha circondato di cura e di attenzione il sacramento dell’Eucaristia e la celebrazione liturgica nella articolazione dei ministeri attorno, soprattutto, a quello sacerdotale del Vescovo. L’accolitato, però, ha di suo una insuperabile propensione alle forme celebrative di cui ha il compito di assicurare la più esatta esecuzione; contiene, dunque, nella sua funzione una doverosa premura verso il rito e le sue rubriche, che possono però condurre, via via digradando, al ritualismo e al formalismo vuoto, lezioso, fine a se stesso. Il rischio cui è esposto non cancella il valore insostituibile che esso contiene, come esigenza da adeguare e meta assiduamente da conquistare.

Nelle cose umane non esiste una sostanza o un contenuto senza forma. La stessa struttura dell’essere umano come spirito incarnato denuncia il carattere composito di una armonia e di una unità continuamente da perseguire, rifuggendo dai sempre incombenti estremi dello spiritualismo e del materialismo. In realtà la persona non è mai solo materia, ma nemmeno puro spirito. Così anche nell’esperienza cristiana – ciò che vale anche per altre dimensioni dell’esistenza umana – la forma è sostanza quando mantiene la verità e l’esperienza della fede come proprio costante e costitutivo riferimento, in quanto intenzione, motivazione e regola interiore. È la relazione personale ed ecclesiale con Dio che intenziona ogni forma rituale e ne esige la più fedele esecuzione con quella attiva e fruttuosa partecipazione che il Concilio non si stanca di raccomandare.

Come espressione suprema del culto e della preghiera cristiana, l’Eucaristia, innanzitutto, e ogni celebrazione liturgica hanno bisogno di questo intero che nasce dalla cura per le forme rituali; ma tale cura scaturisce da una profonda adesione interiore che attinge alla relazione con Dio espressa in maniera compiuta proprio in quelle forme. A questa anima spirituale del culto cristiano corrisponde strettamente la sua espressione esistenziale, che porta l’accolito ad essere non solo il primo servitore dell’Eucaristia nella sua distribuzione ai fedeli e nelle case dei malati che la chiedono e la attendono, ma ne traduce la verità del gesto di donazione che la innerva sorgivamente per il sacrificio di Cristo in croce, facendosi egli testimone di carità verso tutti e verso i bisognosi in particolare; solo in quel gesto, che forma come l’altro capo della lunga catena che risale al rito, proprio il momento rituale dispiega tutto il suo significato e tutte le sue potenzialità.

C’è, allora, un’integrità che l’accolito deve perseguire per rendere giustizia al servizio che compie nel ministero liturgico. Essa raccoglie in unità la comunione di preghiera e la relazione con Dio, e insieme tutte le manifestazioni dell’esistenza personale e comunitaria, dai rapporti fraterni alla dedizione servizievole verso gli indigenti di ogni genere che gli è dato di incontrare. Essa soprattutto tende ad una donazione di sé che trasforma l’Eucaristia in evento attuale e si apre a quella consumazione di sé che, sull’esempio di Gesù, il beato Leonida Fëdorov ha testimoniato in maniera esemplare.

Comprendere e vivere tutto questo dà senso agli anni che trascorrete tra queste mura nella comunità del seminario per rispondere a una chiamata che convoca a un potere di compiere riti la cui verità sta tutta nell’essere anima di esistenze senza riserve donate. 

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