OMELIA
Domenica 18 dicembre 2016, IV di Avvento (A)
Latina, cattedrale di S. Marco
Anniversario della dedicazione della cattedrale e della fondazione della città
+ Mariano Crociata
Quest’anno l’anniversario della dedicazione della cattedrale e della nascita della città di Latina cade nella quarta domenica di Avvento, dal cui messaggio lo vediamo illuminato. Un messaggio che si condensa in tre aspetti: l’Emmanuele, il Dio con noi, promesso da Isaia; l’obbedienza della fede di cui parla san Paolo; l’umanità di Giuseppe nel Vangelo.
La promessa dell’Emmanuele è il contenuto e il senso del Natale e di tutta la fede cristiana. In Gesù Dio si rende personalmente presente in mezzo a noi. Anche una limitata consapevolezza credente del significato di tale annuncio basterebbe a farci sentire dei privilegiati. Lo ha compreso lucidamente san Paolo, il quale si chiede: «se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?» (Rm 8,31). Purtroppo la nostra debole fede non ci fa apprezzare la grandezza del dono che il Natale celebra e non riesce a dare un orientamento corrispondente alla nostra vita. Continuiamo a trascinarci nella mediocrità, preoccupati di cose non essenziali e anzi troppo presi da noi stessi per pensare a quanto Dio ha fatto e fa per noi.
Per questo motivo è in affanno la nostra fede e di conseguenza anche la nostra vita concreta, cioè la nostra obbedienza. Che cosa significa obbedienza della fede? È il contrario dell’obbedienza per paura, per calcolo, per mero senso del dovere. È invece la risposta spontanea della fiducia e dell’amore alla richiesta della persona affidabile e amata che ci chiede qualcosa. Come quella del bambino alla madre o dell’amico all’amico. È a tal punto importante l’obbedienza della fede, che il Figlio di Dio (Lui per primo obbediente al Padre) non si sarebbe incarnato se non l’avesse trovata innanzitutto in Maria e poi anche in Giuseppe, il quale (diversamente dal re Acaz) si fida di Dio, crede che è stato Lui ad agire nella maternità di Maria e perciò accetta di prenderla come sposa.
Il terzo aspetto è il senso di umanità di Giuseppe: prima di ricevere la rivelazione dell’angelo decide di ripudiare Maria ma di farlo in segreto, per non esporla al pubblico disprezzo e procurarle del male. Un senso di delicatezza e di rispetto della persona che è difficile trovare in circostanze analoghe e anche meno drammatiche.
Che cosa dice tutto ciò alla nostra celebrazione anniversaria? Per rispondere mi sembra opportuno accennare alla straordinarietà dell’anno che la città ha vissuto, sia sul piano delle vicende giudiziarie che su quello amministrativo. Non è da questo pulpito che devono venire giudizi e valutazioni che spettano alle istituzioni deputate a farlo e ai cittadini che sono in solido i responsabili chiamati a dare sostanza alla vita democratica di una comunità civile. Il tenerlo presente però suggerisce due indicazioni. La prima riguarda il fatto che anche di fronte a fatti straordinari o drammatici, non bisogna reagire con senso di pessimismo o di rabbia, e nemmeno di trionfalismo o di superficiale ottimismo. Non siamo mai degli arrivati. Ogni giorno dobbiamo riconquistare il bene che intravediamo e che cerchiamo. E se, magari con la nostra partecipazione, eventualmente abbiamo fatto qualche passo significativo in avanti, allora la cosa di cui preoccuparsi è di non adagiarsi sugli allori, come se tutto fosse risolto. Ogni giorno dobbiamo conquistarci e riconquistarci quel bene di tutti che stiamo cercando. Se pensiamo che tocca solo a qualcun altro impegnarsi o darsi da fare e a noi invece solo fare da spettatori estranei, allora possiamo stare sicuri che presto o tardi la situazione tornerà peggio di prima.
Il messaggio di oggi è l’obbedienza della fede, cioè l’obbedienza che scaturisce dalla fiducia in colui che ce la chiede e dalla sua incrollabile affidabilità. Mi sembra importante, a questo proposito, ritornare su un punto altre volte richiamato, e cioè il rapporto tra legalità ed etica privata e pubblica. Alcuni si accontentano di richiamare la necessità della legalità per vedere assicurata la serenità sociale e la giustizia nella vita pubblica. È una pia illusione, come puntualmente confermano le cronache. Osservare le leggi è possibile a una persona che abbia senso morale, ma il senso morale non lo produce la legge, bensì solo una educazione e una cultura della persona e della vita che lo motivi e lo rinforzi. Si può aggiungere che una migliore organizzazione delle condizioni sociali e anche legali di vita favorirebbe un livello di legalità maggiore. Questo sarà molto probabile, ma il solo timore o la convenienza o il calcolo non avranno mai come effetto la legalità richiesta. È vero anche che chi ha pubbliche responsabilità non può fare il moralista né ha titolo per interferire con la coscienza delle persone; in una società pluralistica e democratica, può solo curare il corretto funzionamento della organizzazione sociale e controllare l’osservanza delle relative regole e procedure. Anche questo è ineccepibile, ma va pure aggiunto che un sistema di regole funziona finché ha dei valori alla propria origine e a proprio fondamento, come è il caso della carta costituzionale per il nostro paese. Il discorso dunque torna inevitabilmente alla dimensione di coscienza, di fiducia, di relazione buona, con ciò o con chi conta e vale ultimamente nella vita di una persona, senza le quali un senso astratto e formale delle regole non riesce a creare quel senso dei legami e degli impegni comuni per cui diventa possibile e motivato per ciascuno sacrificare qualcosa di sé per la realizzazione di un bene più grande a vantaggio di tutti, dell’intera comunità.
Questo tema non riguarda solo la nostra città. Come ci è dato di vedere anche in questi giorni, è invece un tema nazionale e oltre. Chi ha responsabilità deve comunque curare con diligenza il bene di tutta la comunità. Ma ciascuno, a cominciare dagli adulti, in riferimento alla famiglia, alla scuola e a ogni altra agenzia educativa e sociale, deve prendersi l’impegno di risvegliare in sé e di inculcare attorno a sé l’amore per i valori e gli ideali che soli possono dare sostanza allo stare bene insieme e rendere la nostra comunità cittadina migliore, più umana.
Come credenti, questo impegno lo dobbiamo sentire doppiamente, per noi stessi e per gli altri. Come ci ha insegnato Gesù, che è nato ed è morto per tutti, noi portiamo la responsabilità anche per gli altri, nella testimonianza, innanzitutto, e poi nella persuasione della verità della nostra fede, da diffondere attraverso ogni forma di servizio educativo. Dobbiamo ricominciare dall’obbedienza della fede, cioè dal conoscere e amare sempre di più la volontà del Signore e la sua parola, per servirla con tutta la nostra persona e la nostra vita. In questo anniversario della dedicazione della cattedrale, dobbiamo sentire risvegliare in noi il senso del nostro essere Chiesa, cioè corpo di Cristo, luogo della presenza del Signore. Il Dio con noi trova nella chiesa cattedrale un segno per ricordarcelo e manifestarcelo; a noi il compito di assumerlo come impegno di persone credenti, pietre vive che sentono la grazia e la responsabilità di essere presenza comunitaria del Signore in mezzo agli altri con l’esperienza della comunione, dell’unità e del servizio che ci rendiamo gli uni gli altri in una crescente inclusione aperta a chiunque si lascia raggiungere.
In ultimo, dobbiamo tutti quanti coltivare un senso di speranza e di realistico ottimismo. Se qualche passo avanti è stato fatto, allora vuol dire che si può riuscire a far crescere quei progetti di bene in cui crediamo. Dobbiamo avere fiducia di farcela e dedicarci con passione perché l’impresa riesca. È il mio augurio alla comunità ecclesiale e anche all’intera comunità cittadina.