OMELIA
Domenica XXVIII TO C
Latina, Parrocchia S. Cuore, 8 ottobre 2016
Ingresso del nuovo parroco, don Enzo Avelli
+ Mariano Crociata
È un momento importante quello che si trovano a vivere le comunità parrocchiali del S. Cuore e di S. Pio X. Nello scorrere delle vicende della Chiesa, e delle persone che la formano, è inevitabile assecondare il succedersi anche di quanti in essa assumono responsabilità di guida, quale ad esempio il parroco in una parrocchia. Esattamente questo oggi stiamo vivendo. Siamo stati tutti partecipi nei mesi scorsi della elezione e della ordinazione episcopale, proprio in questa chiesa parrocchiale (che oggi ricorda l’anniversario della sua dedicazione), di don Felice; ora è arrivato il momento di dare compimento a quanto è stato annunciato, con l’inizio del ministero del nuovo parroco nella persona di don Enzo Avelli.
Egli non ha bisogno di presentazione, poiché in questi anni ha già svolto a Latina il servizio di pastore della parrocchia di S. Rita. Di lui conosciamo l’esperienza, la preparazione e la saggezza. Personalmente sono grato della disponibilità offerta e sono contento che la comunità del S. Cuore, insieme a quella di S. Pio X, possa intraprendere una nuova fase del cammino ecclesiale sotto la sua guida. Tanto più che la dislocazione della parrocchia a ridosso del centro della diocesi le conferisce naturalmente una responsabilità peculiare, non sul piano dell’importanza o della dignità (perché le parrocchie sono tutte uguali in dignità), ma di servizio e di collaborazione, poiché con un impegno più consapevole e una attività esemplare è chiamata ad aiutare il Vescovo e la sua curia a non isolarsi, ma a rimanere a contatto vivo con l’esistenza cristiana ordinaria dei fedeli tutti e con le sue esigenze.
Ogni passaggio di questo genere porta con sé distacchi e incognite, perdite e attese. Il rapporto tra il parroco e la sua comunità stabilisce anzitutto comunione di fede e di grazia, come pure intesa pastorale, ma – in diversa misura, a seconda delle persone – instaura anche legami di amicizia, di stima e di affetto, interrompere i quali è sempre doloroso. Proprio questa esperienza però diventa estremamente arricchente per un sacerdote e per una comunità. Tiene infatti in un esercizio costante il nostro spirito, chiamato a crescere nella libertà e nella professione del primato dell’amore di Dio e del bene della Chiesa, cioè del bene di tutti e di ciascuno dei suoi membri. In queste circostanze apprendiamo, magari sul momento con una punta di dispiacere, che tutti – preti e fedeli – siamo del Signore, apparteniamo a lui e, grazie a lui, a tutti. Vale anche qui ciò che Gesù ci dice, e cioè che la vita la possediamo nella misura in cui la doniamo. I legami – sia sul piano della natura che nell’ordine della grazia – sono tanto più forti, profondi e duraturi, quanto più sono liberi. La nostra tentazione più grande è quella di essere possessivi, di voler trattenere solo per noi ciò che appartiene al Signore e a tutti. Se ci riflettiamo bene, questo ci insegnerebbe molto e ci illuminerebbe anche nella nostra vita personale e familiare, nella quale ci infliggiamo tante inutili sofferenze.
Il Signore chiede, dunque, a don Enzo e alle vostre comunità la libertà e la generosità di servirlo per amore suo costruendo relazioni profonde e collaborazioni sempre più stabili e generose, da cui tutti, soprattutto ragazzi e giovani, possano ricevere forza, luce, gioia per imparare la vita da veri uomini e donne credenti. Siete chiamati ad aiutarvi gli uni gli altri, superando la tentazione delle rivalità, delle invidie e delle gelosie, unicamente votati alla crescita nell’unità e nella comunione. Nel suo ministero di parroco di ambedue le parrocchie, don Enzo ha due collaboratori principali, nelle persone di due sacerdoti nominati suoi vicari parrocchiali. Sono due sacerdoti stranieri. Don Mykhaylo Konevjch – don Michele – è un sacerdote ucraino, ormai incardinato nella nostra diocesi; è stato per diversi anni a Priverno e ora, da alcuni giorni, è anche il nuovo cappellano dell’ospedale S. Maria Goretti. Il secondo è un sacerdote irakeno, don Saadi Khuder. Egli ha seguito gli emigrati della sua diocesi nel Nord Europa; ora il suo vescovo gli ha dato la possibilità di svolgere il suo servizio pastorale nella nostra diocesi. Accanto a loro continuano la loro collaborazione pastorale don Gianni Paoletto e il diacono Pietro Caianiello. Per tutti – dal parroco all’ultimo dei fedeli – la sfida è quella del dialogo, della comprensione reciproca e della collaborazione. Ma non è questa, forse, la natura della Chiesa? Se non proviamo a creare intesa e a fare comunione tra persone diverse, a creare comunità proprio là dove il Signore ci chiama e con chi ci mette accanto, come possiamo dirci cristiani? Non dimentichiamo che la famiglia di Dio non è una nostra costruzione ma un dono di Dio. Non a caso Gesù ha detto che lui ha scelto noi. E scegliendoci ci ha donato gli uni gli altri. Nella Chiesa, come nella famiglia naturale, i fratelli non li scegliamo noi, ci vengono donati. Ma questo è fonte di bellezza e di armonia che Dio stesso crea. Facciamo di questo dono il compito della nostra vita nella nuova fase di vita parrocchiale che oggi comincia.
Anche se ho già detto molte cose, non possiamo trascurare le letture domenicali. Le quali ci lasciano un messaggio che interroga la nostra capacità di gratitudine e chiede di imparare la gratitudine. Del resto al centro della nostra fede e della vita cristiana c’è proprio l’Eucaristia, che già nella parola contiene il significato di ringraziamento. Ogni volta che celebriamo ringraziamo soprattutto e innanzitutto il Signore: per il dono della vita, della salute, del lavoro, degli affetti e dell’amore che ci circonda e ci fa andare avanti; ringraziamento per il dono della fede, della salvezza che Cristo ci procura con il suo sangue, morendo e risorgendo per noi.
La cosa importante che dobbiamo aggiungere è che non c’è vera fede senza sentimento e volontà e capacità di ringraziare. Ed è facile capirlo: credere significa riconoscere che dipendiamo da qualcun altro, che non siamo padroni della nostra vita, che non ci salviamo con le sole nostre forze, che dobbiamo insomma tutto a Dio e al suo Figlio Gesù Cristo; ma se lo riconosciamo, allora ci sentiamo debitori nei suoi confronti e riconoscenti. Dal riconoscimento alla riconoscenza: è questo il passaggio che fa maturare la vita cristiana e dà compimento al cammino della nostra vita. Come i dieci lebbrosi, che sono in cammino e strada facendo chiedono aiuto e guariscono e imparano a ringraziare. In verità solo uno – “vedendosi guarito” – ritorna a ringraziare.
Importante questa sottolineatura del Vangelo: “vedendosi guarito”. Bisogna sapersi vedere con gli occhi della fede, non con quelli dell’abitudine, della presunzione, della supponenza, della illusoria autosufficienza. Sapersi vedere, cioè saper giudicare la propria condizione, la propria fragilità e il proprio bisogno: solo così ci si apre alla saggezza e, ultimamente, alla fede, cioè al riconoscimento di dovere tutto a Dio e di avere bisogno di lui e del suo Cristo. È questa la fede che salva, come dice il Vangelo.
Per far ciò abbiamo bisogno di conversione. Avete fatto caso che nella pagina evangelica ricorre due volte il verbo ‘tornare indietro’. In greco questo è il verbo della conversione: tornare indietro. Per imparare a ringraziare bisogna convertirsi, bisogna tornare indietro sui propri passi, per vedere (vedersi salvati) e capire che grazie a Gesù siamo stati (quante volte!) preservati, custoditi, sostenuti, guariti, salvati. La conversione comincia dal cuore, da un cuore indurito dall’egoismo e dalla presunzione che si frantuma e si scioglie così da diventare un cuore vivo, che sente struggente la gratitudine per quanto ha ricevuto e continua a ricevere. Non dimentichiamo che nella parola gratitudine è contenuto il senso della gratuità con cui senza merito tutto abbiamo ricevuto.
Chiediamo al Signore di darci un cuore così. Rinnoviamo la nostra gratitudine per la vita che abbiamo, con le sue fatiche e anche con i suoi doni; ringraziamo per la fede e per la comunità in cui ci troviamo, con le persone che la compongono; ringraziamo per il nuovo parroco e i suoi primi collaboratori, e il parroco ringrazi per le nuove comunità. Il Signore, come promette il Vangelo, ci farà sempre di nuovo rialzare e ci farà sperimentare la gioia e la forza della fede che salva.