SALUTO
Convegno su “Terracina nel Medioevo”
9-10 febbraio 2018
+ Mariano Crociata
In apertura del convegno di studi su Terracina nel Medioevo mi è particolarmente gradito porgere un cordiale saluto al sindaco della città, Nicola Procaccini, al Soprintendente Saverio Urciuoli, al direttore Antonio Tarasco, alle curatrici del convegno Maria Teresa Gigliozzi e Mariella Nuzzo, agli illustri relatori e a tutti gli intervenuti.
Per chi opera nell’ambito delle attività culturali appare del tutto naturale e anzi necessario occuparsi di storia e di arte, di ricerca e di divulgazione. Può non apparire del tutto ovvio, invece, che una diocesi, con la sua missione propriamente pastorale, si coinvolga nella promozione di un convegno come questo, su un’epoca remota e su aspetti per lo più di rigorosa specializzazione tecnica e scientifica. Invero l’interesse per i beni culturali da parte della Chiesa è cresciuta considerevolmente negli ultimi decenni, e anche per il passato esso non è stato mai assente. Ma non è un generico interesse culturale a motivare sufficientemente il nostro coinvolgimento, e nemmeno – all’opposto – il gusto per una storia locale, che è facile riscontrare perfino nei più minuscoli centri, a testimonianza in ogni caso di un attaccamento ai luoghi della vita e della storia di una comunità. C’è qualcosa di più a spingere verso la valorizzazione di iniziative come questa. È, precisamente, la consapevolezza che il passato fa parte del nostro presente, lo innerva e lo struttura fino a plasmare almeno alcuni elementi costitutivi dell’attuale identità.
È del tutto inadeguato, in questo senso, un approccio superficiale volto a soddisfare una estemporanea curiosità che riduca la conoscenza a informazione su dati frammentari e disarticolati. È la qualità della coscienza di sé a decidere del valore e del risultato culturale di una tale conoscenza. La storia e l’arte in modo diverso ci interrogano su chi siamo e su chi e che cosa vogliamo essere in questo tempo e guardando al futuro. Che lo vogliamo o no, ciò che una storia lontana come quella medioevale ci consegna è già dentro le strutture del nostro modo di essere, di pensare e di vivere. Tornare a studiarle e a conoscerle significa riappropriarsi di qualcosa che già ci appartiene per farne strumento sempre più avvertito e affinato di orientamento nella vita della città, del territorio, della storia di oggi.
La cosa assume un valore tutto singolare se la consideriamo in una prospettiva ecclesiale. La rilevanza antropologica culturale della tradizione trascende se stessa in una dimensione sostanzialmente nuova quando prendiamo in considerazione il livello teologico del suo attuarsi, quando cioè è una comunità di fede cristiana il soggetto e l’ambiente di elaborazione e di espressione vuoi di un’opera d’arte, vuoi di un pratica religiosa come pure di qualsiasi altra forma sociale o culturale prodotta dall’esperienza credente. Ciò che anima la tradizione in senso teologico, infatti, è l’azione dello Spirito o l’iniziativa divina che innerva tutto l’operare umano, da quello rituale a quello etico, giuridico, sociale, artistico o altro ancora. Quanto viene trasmesso dentro i processi di tradizione culturale-religiosa è la forza stessa di Dio che continua a parlare e agire come in origine ha fatto con Gesù, nella sua qualità di compimento della rivelazione e della salvezza.
Per un credente, l’edificio chiesa non si riduce mai a un mero manufatto di pregio, per quanto alto sia il rango del suo valore artistico e storico, ma parla dell’esperienza di fede e di preghiera di generazioni di credenti, da cui sono venuti anche a noi la fede, un patrimonio di valori, una visione della vita, una creatività sempre risorgente nel corso del tempo, un modo di sentire e di costruire la città, lo stare insieme, il tessuto di relazioni che nutre l’esistenza di ciascuno e l’ordine della convivenza tra generazioni e nell’oggi della comunità.
Per questo la chiesa di San Cesareo, cattedrale fino a pochi decenni fa di una diocesi che risale indietro nel tempo fin dentro l’epoca medioevale e oltre, circondata da una comunità civile che ha visto in essa un punto di riferimento e una figura espressiva della propria identità storica e religiosa, intrecciata con un territorio il cui tessuto di relazioni abbracciava fin il centro della cristianità, Roma, e la sua stessa figura apicale, il Papa, questa chiesa continua ad assolvere la sua funzione di aula dell’assemblea celebrante e di spazio di vita della comunità credente con una continuità stupefacente con il passato e con un senso di stabilità che la rende capace di guardare lontano anche per il tempo futuro.
La vera questione è la coscienza con cui i credenti di oggi e la comunità umana ed ecclesiale di oggi sono capaci di mantenersi all’altezza morale e spirituale di una identità che comunque ci caratterizza. Il convegno di questi giorni, attraverso l’analisi minuziosa degli aspetti più diversi della storia e dell’opera di un’epoca significativa e ricca come è quella medioevale, costituisce un monito e un appello alle coscienze di oggi perché non si limitino a ricordare e ricostruire, ma facciano della memoria una risorsa capace di rigenerare una visione e una volontà che non si accontenta di far rivivere un’epoca ma vede risvegliare in sé il desiderio di farne sorgere una nuova.