Sono molto contento e grato della vostra partecipazione a questo momento, che segna un passaggio importante per me, ma in qualche modo anche per la Chiesa in Italia, per la Conferenza Episcopale e per voi. Ringrazio il cardinale Presidente per aver voluto essere presente in questa circostanza e per le parole che mi ha benevolmente indirizzato, dopo avermi chiesto, poco più di cinque anni fa, di assumere il ruolo di Segretario Generale, al quale poi papa Benedetto XVI mi ha nominato. Era, questo, un ufficio che non mi sarei mai immaginato di ricoprire; da ciò ho imparato che si può essere chiamati anche a cose impensate.
In questo compito, mi è stata a cuore e ho condiviso con voi la preoccupazione non solo per l’immagine pubblica della Chiesa in Italia, ma soprattutto per la vita delle nostre diocesi, dei Vescovi, dei preti, delle comunità, di tutti i credenti e di quanti in qualche modo stanno a osservare e cercano qualcosa per la loro esistenza e la loro segreta speranza; perciò, in questi anni intensi e talora faticosi, abbiamo operato con l’avvertenza sempre viva della responsabilità consegnata alla mia e alla nostra presenza, alle decisioni da prendere, agli adempimenti portati a esecuzione, alle parole dette e scritte. È anche vero, poi, che noi siamo umile strumento, a volte perfino – fatta salva la forza intrinseca dell’agire sacramentale della Chiesa – mero rimando o richiamo a un percorso della grazia che, in forza dell’incarnazione, agisce dentro le istituzioni, ma non può venire da esse tenuta in catene. È consolante pensarlo, perché altrimenti sarebbe schiacciante il peso della responsabilità che ci incombe addosso. A noi compete fare del nostro meglio, sempre e dovunque.
Consentitemi di dire che ho trovato tra di voi esempi edificanti di vita sacerdotale e di coerenza cristiana nella condizione laicale e consacrata; in tanti di voi ho conosciuto dedizione e laboriosità, intelligenza e passione nello svolgimento dei compiti assegnati. Anche di questo vi sono grato. Mi permetto, perciò, di rivolgervi l’invito a non perdere mai la consapevolezza che la portata del lavoro che qui si compie non è misurabile con risultati più o meno quantificabili, ma in larga misura sfugge quanto all’efficacia più o meno positiva con cui raggiunge i lembi estremi del tessuto ecclesiale. Non lasciatevi mai imprigionare da calcoli angusti e da meschine dialettiche relazionali, che rischiano di appannare questa consapevolezza. Ai sacerdoti desidero raccomandare di rimanere sempre in ascolto – da pastori – del cuore e della vita delle persone e delle comunità per le quali sono pensate tutte le attività e le iniziative. Ai collaboratori e dipendenti laici vorrei dire, sommessamente, di tenere in gran conto il lavoro che qui conservano, visti i tempi che corrono, e di mettere in esso quel di più che viene dalla fede e dall’appartenenza ecclesiale che tutti ci accomuna, non solo per ciò di cui ci occupiamo, ma anche per scelta ed esperienza personale e familiare. A tutti chiedo, fin d’ora, di accogliere con cordialità e piena disponibilità il nuovo Segretario Generale.
Quello che oggi viene annunciato è un passaggio fisiologico. Sono grato a papa Francesco anche per avermi voluto prorogare oltre la conclusione del mandato, ma soprattutto per la fiducia che ha mostrato verso la mia persona nominandomi Vescovo di Latina. A lui rinnovo, anche in questo momento, la mia devozione e la piena obbedienza. In questa circostanza si fa più avvertita in me la percezione – non solo mia – che quelli che viviamo sono tempi di grandi cambiamenti per la Chiesa. La figura di papa Francesco ha impresso un’accelerazione e una nuova direzione a un processo già in atto, mostrando come la Chiesa può essere soggetto di una trasformazione che conosce molteplici fattori di tipo culturale, sociale ed economico. Si tratta di un processo complesso, che vede accostati l’entusiasmo delle folle che si raccolgono attorno al Papa e la fedeltà quotidiana, talora affaticata, delle nostre comunità e, ultimamente, della nostra fede. È in questo clima che dobbiamo raccogliere l’invito del Papa a far crescere la partecipazione e la condivisione, il calore delle relazioni e la cordialità nella dedizione, una comunicazione di fede che, senza sminuire il senso dell’istituzione ma orientandola al suo fine specifico, sia attenta alla persona e alla sua situazione, come da alcuni anni – con la cura dell’educare e la ricerca dell’umano rigenerato dalla fede – stiamo imparando a fare. Raccogliamo e teniamo desta l’indicazione che viene dal magistero e dall’esempio del Papa.
Per quanto io possa rimanere in questo servizio ancora per un poco – e fino all’ultimo giorno non mi sottrarrò a nessuno dei miei impegni e delle responsabilità, secondo un modello di fedeltà alla Chiesa e alle sue istituzioni a cui ho cercato di ispirare sempre l’espletamento dei compiti affidati –, il mio pensiero e il mio cuore ora si dirigono sempre di più alla diocesi di Latina, questa Chiesa dalla storia antichissima e recentissima insieme. Vado con la ferma certezza che il Signore mi ha chiamato ad andare lì. Per me è una nuova e originale variazione dell’unico tema vocazionale della mia vita. È anch’essa un’altra sorpresa del Signore. La vita, d’altronde, è una successione di chiamate dietro le quali cogliamo la mano di Colui che, con la sua imprevedibile iniziativa, guida i cammini dei singoli e della storia. Non per questo rimango indifferente a questo cambio definitivo di scenario geografico. Ma non è proprio vero che le nostre radici stanno in alto? E se non lo capiamo noi credenti, come aiuteremo a illuminare con la fede l’intemporaneo e attualissimo drammatico migrare umano? Sperimento perciò qualcosa della libertà cristiana, del sollievo e della leggerezza che vengono dal non rimanere abbarbicati e dall’essere pronti a venire trapiantati altrove, secondo un atteggiamento che affonda nel cuore della fede, a partire dal nostro padre Abramo.
Non mi resta che invitarvi a prendere parte alla celebrazione del mio ingresso, che conto di fare prima di Natale. Ora vi chiedo solo di pregare per me. Vado con la certezza che il bagaglio con cui parto non è soltanto una ricca esperienza umana ed ecclesiale, ma anche legami di fede, di amicizia e di stima che spero mi accompagneranno per il tempo che mi sta dinanzi.
Discorso ai collaboratori e dipendenti della Cei (19/11/2013, Roma)
18-06-2014