Oggi pomeriggio, nella cattedrale di S. Marco a Latina, il vescovo Mariano Crociata ha presieduto la S. Messa del crisma. Nel corso della celebrazione il vescovo ha benedetto gli olii che verranno usati per amministrare i sacramenti, successivamente i presbiteri presenti hanno rinnovato le loro promesse sacerdotali pronunciate il giorno delle loro ordinazioni.
Di seguito è riportata l’omelia pronunciata dal vescovo Mariano Crociata:
OMELIA
S. Messa del crisma
Mercoledì, 12 aprile 2017
+Mariano Crociata
La S. Messa detta del crisma si segnala per due momenti rituali di particolare rilievo per la vita della Chiesa: la rinnovazione delle promesse sacerdotali da parte dei presbiteri e la benedizione degli oli santi e del sacro crisma. Con il primo atto i presbiteri rinnovano dinanzi a Dio e testimoniano in presenza dell’assemblea dei battezzati la risposta alla chiamata del Signore con l’impegno di una vita offerta interamente a servizio del popolo cristiano in unione alla missione pastorale che Cristo ha affidato alla Chiesa; con il secondo atto vengono benedetti gli oli in quanto segni peculiari dell’azione divina che la Chiesa compie mediante Cristo nello Spirito attraverso i sacramenti, in specie il battesimo, la confermazione, l’ordine sacro e l’unzione degli infermi. Mi piace richiamare, qui, che anche quest’anno il primo a essere segnato con il crisma oggi benedetto sarà un presbitero della nostra Chiesa eletto vescovo di S. Severo, don Gianni Checchinato, che abbiamo accompagnato e continueremo ad accompagnare con affetto di amicizia nella sua preparazione alla ormai prossima ordinazione episcopale e, oltre, nel suo nuovo ministero.
La Parola di Dio attraverso la Scrittura illumina ambedue i momenti ed evidenzia il legame che li unisce. Il Signore consacra con il suo Spirito innanzitutto il suo eletto e inviato Messia, che abbiamo conosciuto e abbracciato in Gesù, e grazie a lui consacra anche tutti quelli che, diventati suoi discepoli, ne hanno seguito le orme e ne hanno abbracciato l’opera e il servizio. Il Cristo, l’unto per eccellenza di Spirito Santo, riversa su di noi e su quanti credono in lui un’abbondanza di Spirito che genera alla fede tutti i battezzati e tutti i chiamati li dispone al servizio ecclesiale nelle sue svariate forme, fino a quello ordinato per il servizio pastorale, che ha nel presbitero una figura centrale e nel diacono una collaborazione essenziale, sempre in relazione al ministero del Vescovo attorno a cui cresce la Chiesa in unità e concordia.
Non sottolineeremo mai abbastanza che il senso dell’uno e dell’altro aspetto – e cioè della consacrazione ad opera dello Spirito nel sacerdozio battesimale e nel ministero ordinato – si condensa nella missione affidata, in forza della quale siamo mandati «a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19). Avvertiamo in questo parole profetiche e messianiche, dal sapore originario per la nostra fede e il nostro essere Chiesa, il richiamo con cui la nostra comunità diocesana quest’anno si è messa umilmente in cammino “in ascolto dell’altro per un annuncio alla persona”. Questa celebrazione giunge opportuna a questo punto del cammino annuale per chiederci che cosa ne abbiamo fatto di questo mandato; ci chiede quali miseri, poveri, prigionieri, ciechi, oppressi abbiamo ascoltato, quale annuncio abbiamo portato loro, quale liberazione abbiamo procurato.
La domanda è posta innanzitutto a me e a voi, cari confratelli presbiteri, perché in essa si tratta del contenuto delle promesse che stiamo per rinnovare. Forse pensiamo che le promesse riguardino un intimistico sentimento privato? O non invece la missione per la quale siamo stati chiamati e consacrati dal Signore? E quale missione è del Signore se non la stessa alla quale la Chiesa ci chiama e non quella che ognuno ha magari nella sua testa, preferendo andare dietro a progetti e idee che rispecchiano il suo privato e velleitario sentire piuttosto che il cammino che la Chiesa indica, quello della Chiesa universale tracciato dal Papa, in modo particolare con la sua Esortazione apostolica programmatica Evangelii gaudium, e quello della Chiesa diocesana sotto la guida del vescovo? O qualcuno pensa che l’annuncio e la missione evangelizzatrice siano ubbie di un Papa o di un vescovo e non piuttosto il cuore del Vangelo come anche oggi abbiamo ascoltato?
E voi cari diaconi, voi consacrati e fedeli tutti, non siete certo spettatori di qualcosa che non vi riguardi. L’unzione battesimale innanzitutto, e poi la consacrazione religiosa e l’ordinazione diaconale, vi rende corresponsabili della missione della Chiesa. Se c’è un palcoscenico e uno spettacolo in corso, voi calcate al pari dei presbiteri la sua scena e ne siete attori non meno di essi. Non è un atto di accessoria devozione l’invito che vi sarà rivolto di pregare, perché la preghiera impegna e compromette, con Dio e con la Chiesa. Non ci è consentito pensare che la preghiera sia innocua; anzi forse proprio per questo facciamo fatica a pregare veramente.
Un aspetto vorrei sottolineare, tra i tanti che non meno lo meriterebbero. Nel nostro cammino pastorale, abbiamo portato l’attenzione, oltre che sulla famiglia e sui migranti, sui giovani. Come un segno di conferma e di incoraggiamento sul cammino intrapreso, abbiamo accolto l’annuncio del tema del prossimo Sinodo dei vescovi a cui ha fatto seguito la pubblicazione del documento preparatorio lo scorso mese di gennaio: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, documento corredato di un questionario che dovrebbe diventare in questi mesi strumento di ascolto dei giovani sia per iniziativa dell’ufficio diocesano sia nelle comunità parrocchiali. È un appello, quello che riceviamo, a prendere coscienza del bisogno di Dio e di Cristo che hanno i giovani e della sfida rappresentata dalla trasmissione della fede alle nuove generazioni. È un compito arduo quello al quale la Chiesa ci chiama. Conosciamo tutti la difficoltà di comunicare con i ragazzi e i giovani di oggi, anche quando siamo animati dalla più grande disponibilità e proviamo a incontrarli con il maggiore sforzo di attenzione possibile. Sono difficoltà che non ci devono scoraggiare, per quanto ripetuti siano gli insuccessi. Ricordiamoci che non saremo giudicati sugli insuccessi subiti, ma piuttosto per i tentativi e gli sforzi non fatti a motivo di paura, sfiducia, indolenza o rassegnazione. È in gioco il futuro della nostra fede e dell’annuncio cristiano. Sappiamo che esso è nelle mani di Dio, ma Dio compie la sua opera anche attraverso di noi e non ci chiama per finta o per compiacerci, ma per vederci all’opera. Un’opera che vogliamo fare nostra, così come sappiamo, ma certi che al nostro piccolo impegno farà riscontro l’azione potente del Signore che attende la nostra sia pur debole adesione per assecondarla con il sovrano intervento della sua grazia.
Tutto questo impegno ha la possibilità di assumere una forma pratica, di diventare concreto attraverso due suggerimenti o proposte che vi rivolgo. Mi chiedo se i nostri ragazzi e giovani non sarebbero più profondamente toccati se non ci limitassimo a fare loro bei discorsi ma unissimo alle parole una testimonianza di solidarietà come quella di cui ci giunge richiesta: dare ospitalità a giovani siriani che vivono nei campi profughi e non hanno nulla né per vivere né per studiare, ma potrebbero accedere all’università anche qui da noi; e con essi famiglie che non possiedono più nulla e non hanno nulla da fare se non vivere un’esistenza inutile in attesa che qualcosa succeda. Abbiamo la possibilità di aiutare a costruire un futuro persone che ne sono senza colpa privati e vedono messa a repentaglio la loro stessa sopravvivenza. Non possiamo limitarci a deplorare quanto le cronache ci riportano giornalmente sui disastri delle guerre civili e del terrorismo che infestano il Medio Oriente. Se il nostro essere cristiani non prende un po’ il sapore della compassione e della solidarietà, come vogliamo che tocchi il cuore delle generazioni che si affacciano alla ribalta di un presente così travagliato e di un futuro dai tratti a dir poco foschi? Non sarà la chiusura nei nostri piccoli egoismi e interessi a garantire un futuro, né a noi né al nostro cristianesimo. Perciò si aggiunge opportunamente la seconda proposta, che consiste semplicemente nel richiamare la colletta a favore dei cristiani di Terrasanta che si tiene il venerdì santo, perché anche lì, nella Terra di Gesù, il futuro della fede cristiana, e dei cristiani che ancora vi resistono, è strettamente legato alla capacità di solidarietà che i cristiani siamo e saremo capaci di esprimere.
La Pasqua che ci accingiamo a celebrare, ormai nell’imminenza del Triduo Santo, è una domanda di fede nell’azione potente di Dio che è capace di risuscitare i morti, come ha risuscitato Gesù, e può dunque ben dare frutti impensati ai nostri piccoli sforzi e ai segni del nostro sincero e operoso desiderio di rispondere alla sua chiamata e alla sua missione nella direzione di una ricercata fraternità. Non ci sarà futuro, e nemmeno presente affidabile, per la nostra umanità e per la nostra Chiesa fuori di una ritrovata fratellanza tra di noi e con tutti quelli che saremo capaci di incontrare ed accogliere.