Saluto al convegno “Urbano II e la prima crociata” (10/03/2018 – Terracina)

12-03-2018

Saluto

Convegno su Urbano II e la prima Crociata

Terracina, 10 marzo 2018

+ Mariano Crociata

Proprio in questi giorni ricorrono i 930 anni dalla elezione del papa Urbano II, avvenuta proprio in questa chiesa (allora) cattedrale di S. Cesareo nel lontano 1088. Perché ricordare un tale evento, così remoto e soprattutto estraneo agli interessi e alle motivazioni che agitano la vita di noi cristiani di oggi e cittadini di questo nostro tempo? Mi pare quasi doveroso rispondere a tale domanda.

Per quanto possa apparire eccessivo il sottolinearlo, bisogna però precisare che, nella nostra iniziativa, non c’è nulla di nostalgico, in qualsiasi senso religioso, politico o ideologico lo si voglia intendere. Nessuno spazio, dunque, per sottintesi intenti strumentali alla base di questo convegno, al servizio di chissà quale velleitario sogno o progetto. Questo non è tempo di crociate né tantomeno di appelli contro qualcuno. I cristiani di oggi non possiamo essere che per la pace contro la guerra; di più, sulla base dell’insegnamento del Concilio e della Ecclesiam suam di Paolo VI, riconosciamo come via privilegiata per cercare la pace e il superamento dei conflitti il dialogo ad oltranza.

In secondo luogo, mi permetto di dire – anche qui rischiando di suscitare qualche sorriso – che il convegno di oggi non è stato voluto per cercare qualche titolo di grandezza o qualche grado di nobiltà per una cittadina di provincia che cerca di emergere. La Terracina di oggi non ha bisogno di questi espedienti per segnalarsi; ci sono altri motivi che le danno titolo per farlo. Gli storici sapranno spiegare le circostanze che portarono alla scelta di Terracina come sede della elezione del nuovo Papa. Certo è che Roma era nelle mani dell’antipapa Clemente III e dei suoi seguaci, e non c’era modo di tenere in essa il conclave. La sede di Terracina doveva offrire dei motivi – legami, circostanze, convenienze – che hanno portato alla sua scelta per radunarvi gli elettori del nuovo pontefice.

Dalla onesta considerazione di queste circostanze scaturisce probabilmente il senso vero di questo convegno. Promosso da una associazione, la sua finalità è evidentemente nel senso più proprio culturale, risponde cioè al bisogno di conoscere e di capire più che di celebrare. E poiché determinate vicende storiche hanno segnato questa cittadina nel passato, conoscere meglio che cosa è successo significa conoscere e capire meglio noi stessi oggi, o almeno tentare di farlo, alla luce della storia degli effetti di quegli eventi.

Nella direzione di considerazioni di questo genere, mi permetto di suggerire qualche spunto alla comune riflessione.

La prima è di carattere generale. Capita anche a piccoli centri – come è avvenuto per altri in Italia – di essere stati toccati, per qualche circostanza, da vicende di portata più grande e perfino mondiale. Questa evenienza induce naturalmente a una nuova coscienza di sé: una coscienza chiesta anche a noi oggi, non perché abbiamo da registrare qualche evento straordinario, ma perché viviamo in un’epoca in cui la comunicazione nel grande teatro globale è a portata di tutti e pure le grandi vicende ci raggiungono fin dentro le nostre case.

Quello che viene a noi è, allora, l’invito a contrastare il provincialismo, che consiste nel vivere le piccine e meschine vicende del proprio piccolo ambiente di vita come se fossero più grandi di ciò che realmente sono, nel fare del proprio ristretto orizzonte di interessi e di rapporti il criterio con cui valutare e giudicare le grandi questioni del nostro tempo. Per riuscire in un tale sforzo c’è bisogno di cultura: quella della scuola e dell’università, e quella generata da uno stile di vita e di rapporti personali e sociali improntato a valori di dignità e di rispetto, di apertura mentale e di ricerca del bene di tutti.

Nello spirito di questo convegno mi piace cogliere una sorta di molla interiore, una spinta a rompere il cerchio magico dell’autoreferenzialità di chi crede di fare cultura perché sa ricorrere a qualche parola d’ordine o nome altisonante, ma non è coltivato dentro, nella mente e nel cuore, non ha sensibilità alle grandi e vere questioni che agitano il cuore e la storia degli uomini di oggi come di quelli del passato.

Una seconda riflessione viene dallo stesso papa Urbano II, figura senza dubbio di grande spicco per il suo tempo. Monaco di Cluny, allievo del fondatore dei certosini, san Bruno, leale e convinto seguace di Gregorio VII, la cui riforma sarebbe probabilmente naufragata senza la recezione e l’attuazione compiuta con grande determinazione da quest’uomo straordinariamente dinamico e capace di valorizzare tutte le relazioni, ecclesiastiche e civili, instancabile pellegrino attraverso l’Italia intera e oltre. Animatore di spirito religioso, di senso di Chiesa, di coscienza civile, Urbano II emerge come la figura principale del proprio tempo anche da un punto di vista politico, con il ruolo di reale unificatore dell’Europa nella fase in cui le sue propaggini meridionali venivano riacquistate a una restituita presenza cristiana, con una straordinaria capacità di visione dell’insieme e una notevole tempra di governo. Egli si propone, a suo modo anche oggi, come un modello di uomo di Chiesa, di politico e di cittadino, con la sua volontà di perseguire il bene di tutti mobilitando ciascuno secondo la sua capacità e sensibilità.

La terza e ultima riflessione viene da questo sforzo di tenere insieme il bene di tutti, promuovendone l’unità, che caratterizza Urbano II anche nell’indizione della prima Crociata. Non va dimenticato che il suo stile austero di vita monastica, che conservò anche da pontefice, e la sua devozione (le biografie annotano la sua devozione mariana e ricordano che egli promosse il piccolo Ufficio della beata Vergine, la recita dell’Ave Maria e la dedicazione del sabato alla Madonna), oltre al suo stile governo, gli conquistarono presto l’affetto dei fedeli e successivamente la loro venerazione, che papa Leone XIII confermò nel 1881 convalidandone il titolo di beato. Nel famoso discorso di Clermont, nel 1095, dove fu lanciata la prima Crociata, egli si esprime a un certo punto con queste parole: «Cessino dunque i vostri odi intestini, tacciano le contese, si plachino le guerre e si acquieti ogni dissenso ed ogni inimicizia. Prendete la via del santo Sepolcro». L’invito a quel pellegrinaggio con le armi, da comprendere nel contesto storico in cui si svolgeva, aveva nondimeno innanzitutto un senso genuinamente religioso, perché richiedeva comunque una rottura con le sicurezze e le comodità, e soprattutto l’intrapresa di un cammino che comportava – come ogni vero pellegrinaggio – un cambiamento di vita e un orientamento più deciso verso Dio. Insieme a tutto questo, il presupposto fondamentale di una tale impresa poteva essere soltanto il superamento delle divisioni interne tra cristiani. Nessuna impresa e di nessun genere può essere realizzata da persone divise e in lotta tra di loro. Anche questo riferimento si segnala per una insuperata attualità, che ci tocca come credenti e come cittadini.

Tutto questo rende non solo motivato, ma perfino auspicabile un convegno come questo, al quale volentieri auguro la migliore riuscita.