Omelia per l’ingresso del nuovo parroco di S. Tommaso d’Aquino (09/09/2018 – Pontenuovo)

09-09-2018

OMELIA

Domenica 9 settembre 2018 XXIII TO B

Ingresso del nuovo parroco, don Giovanni Castagnoli,
a S. Tommaso d’Aquino di Sermoneta

+ Mariano Crociata

«Effatà», «Apriti»: questa è la parola chiave pronunciata da Gesù per aprire le orecchie e la bocca del sordomuto. La stessa parola dà il titolo al rito che si svolge durante la celebrazione del battesimo, con la differenza che essa non contiene più un comando imperioso ma un auspicio, un augurio, una preghiera: che il battezzato possa presto ascoltare la Parola di Dio e professare la sua fede. Una differenza non da poco, se non altro perché lì si tratta di guarigione fisica, qui di fede personale. Così facendo la Chiesa vuole dire che lo stesso Signore è Colui che ha il potere di aprire all’ascolto della Parola e alla professione della fede; anzi è l’unico che ha il potere di donare la fede e di creare nel cuore della persona umana le condizioni per corrispondere positivamente al dono della fede. E tuttavia anche tale potere Dio ha voluto contenerlo, così che anche la Sua vuole essere una parola efficace, non un comando imperioso. Dio vuole la nostra risposta libera. Solo Lui dona la capacità di credere, ma anche essa richiede la disponibilità e la volontà attiva della persona ad accogliere e ad assecondare il dono ricevuto. Dalla capacità di ascolto all’ascolto effettivo c’è una distanza imponderabile, quella che passa dall’incredulità alla fede, distanza all’apparenza minima, impercettibile, ma capace di fare l’infinita differenza tra incredulità e fede, scrutabile unicamente all’occhio penetrante di Dio.

Che cosa può portare ad attivare positivamente quella capacità? Non è in nostro potere verificarlo e controllarlo. Nemmeno in noi stessi, per i quali l’apertura del cuore alla fede è il primo e l’unico grande compito della vita, dall’inizio alla fine; tanto meno negli altri, dei quali non ci è dato di scrutare i movimenti interiori, leggibili solo dallo sguardo amorevole e luminoso di Dio. Quella tra incredulità e fede è una barriera che non possiamo superare per attraversarla a piacimento e per conoscerla come si vorrebbe; possiamo, per noi, implorare di superarla, per gli altri, favorire e invocare che sia superata. È questo lo spazio e il metodo dell’azione pastorale: invocare e favorire. Intendo dire che noi pastori, la prima opera da compiere a favore dei fedeli affidati alle nostre cure, l’abbiamo nella preghiera. Il primo passo dell’azione del pastore è pregare. E insieme alla preghiera favorire.

Che cosa favorisce il cammino di apertura delle persone a Dio? Sono tante le azioni che si potrebbero evocare. Qui ne richiamiamo soltanto due, sulla scorta del Vangelo di oggi. Vediamo infatti Gesù attraversare confini all’incontro di persone di ogni categoria, cultura e religione: «uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli». Gesù è un ‘attraversatore’ di confini, e quindi di differenze e di diversità; non solo non esclude nessuno, ma va incontro a tutti; pur conservando fino alla fine la missione di andare alle pecore perdute della casa di Israele, è sempre un cercatore di fede, dovunque riesca a trovarla, a suscitarla e risvegliarla.

Permettete una piccola divagazione: fino a non molto tempo fa, era un punto di onore e un motivo di orgoglio per una comunità, per una diocesi, per una nazione cristiana, mandare missionari in nazioni e continenti remoti del nostro pianeta a portare dappertutto l’annuncio cristiano; oggi, non solo i missionari si sono ridotti in misura considerevole, ma se quei convertiti dai nostri missionari tornano da noi, li trattiamo da estranei e anche, indiscriminatamente, da soggetti pericolosi, a meno che non siano preti che suppliscono la carenza di vocazioni che è ormai diventata endemica qui da noi. Abbiamo attraversato confini, ma ora vogliamo rinchiuderci nei nostri, dimentichi della fede comune.

Il primo passo è, dunque, attraversare i confini, superare le distanze, andare incontro. È un po’ quello che stai facendo anche tu, don Giovanni: hai attraversato un confine, di comune, di parrocchia (per quel che vale) e sei venuto incontro alle persone alle quali sei stato mandato. È un movimento spaziale quello che hai compiuto; ma ad esso deve corrispondere un movimento del cuore, quello della gioia e dell’entusiasmo di animare e alimentare la fede della gente di qui, di questo territorio, di queste comunità.

La seconda azione per favorire il sorgere e il risvegliarsi della fede, che il Vangelo suggerisce, è racchiusa in questa espressione: «Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, cioè: “Apriti!”». Sei mandato a una comunità, a un gruppo, a gente composta da persone, ciascuna con la sua individualità, identità, qualità inconfondibile, con la sua unicità, con i suoi aspetti positivi e con quelli meno felici. L’azione pastorale della Chiesa incontra ultimamente la persona; non una sola, non alcune soltanto, bensì il numero più grande possibile, e considerate una per una, ciascuna riconosciuta nella sua dignità, nel suo bisogno, nella sua singolare predisposizione ad accogliere il Signore e a credere, cioè a stabilire una relazione personale con Dio: con Dio, non con noi; e con noi solo perché innanzitutto e al di là di tutto con Dio. Per i parrocchiani, i parroci passano, solo Dio resta; e questo devono ricordarlo sia i parroci che i parrocchiani. Non perché siamo macchine o automi, ma perché solo in Dio e con Dio gli incontri sono veri e duraturi anche umanamente. Se questo vale, come vale, per chi è unito nel sacramento del matrimonio, figuratevi come deve essere vero per tutti gli altri. La sponsalità tra pastore e comunità è unicamente di servizio, nella più grande libertà e distacco, come condizione di un amore disinteressato rivolto al bene e al successo unicamente perseguibili: l’incontro con Dio, la relazione con Lui, l’amore per Lui. Ecco, a queste condizioni, ogni fedele ha bisogno di essere tratto fuori dalla folla anonima e di essere curato personalmente, perché si attivino in lui quelle mozioni e quei dinamismi che lo conducano a rispondere spontaneamente, liberamente e consapevolmente alla chiamata del Signore, al dono della fede.

Caro don Giovanni, oggi inizi questa affascinante avventura ecclesiale, spirituale e pastorale insieme, di guidare il cammino di una comunità parrocchiale. Senza falsa sicurezza, fidando nella grazia di Dio, forte della sapienza del Vangelo e della saggezza della Chiesa, con le sue indicazioni e le sue disposizioni, intraprendila con gioia ed entusiasmo. Il Signore ti assisterà e noi non mancheremo di sostenerti. Questa la nostra preghiera e il nostro augurio.