Omelia per la Solennità dell’Assunzione di Maria (14/08/2020 – concattedrale di S. Cesareo, Terracina)

14-08-2020

OMELIA

Solennità dell’Assunzione di Maria

S. Cesareo, Terracina, 14 agosto 2020

+ Mariano Crociata

Nello scarno episodio che ci riferisce il Vangelo di Luca Gesù sembra prendere le distanze dalla madre. La lode della mamma di fronte a un figlio che suscita l’ammirazione di tanti è una espressione elogiativa che estende la gloria del figlio a colei che gli ha dato la vita e lo ha cresciuto. Gesù prende le distanze da simili espressioni e sposta l’attenzione. Una madre può essere contenta dei successi del figlio, ma a nulla vale simile contentezza se non si tende ad una gioia più grande, e cioè alla gioia che viene dall’ascoltare Gesù stesso e dal mettere in pratica ciò che egli dice.

Dobbiamo scontare almeno due difficoltà di fronte al richiamo piuttosto rude e severo di Gesù. La prima difficoltà viene dal familismo che caratterizza ancora, per alcuni versi, la nostra cultura. È vero che oggi tante famiglie sono in crisi; ed è vero pure che la famiglia è il nucleo fondamentale della società e della Chiesa, e perciò va sostenuta e promossa in tutti i modi. Il primo e più importante modo di vivere la fede è quello che si sperimenta in famiglia quando la famiglia è fatta di credenti sinceri e impegnati. E tuttavia Gesù sembra quasi relativizzare proprio la famiglia. Su questo bisogna intendersi, però. Gesù non intende sminuire la famiglia, ma sottoporre anch’essa a un criterio che ne indica le condizioni di vera riuscita e di felicità. E il criterio è l’ascolto della parola di Gesù e la sua messa in pratica.

Su questo dobbiamo riconoscere di essere in difetto, perché la nostra gerarchia dei valori sembra non essere nemmeno scalfita dal criterio indicato da Gesù. Non a caso ho parlato di familismo, termine che indica un modo sbagliato, eticamente disordinato, di vivere l’essere famiglia. Quando infatti la difesa della famiglia viene compiuta anche a costo di ignorare o di calpestare alcuni principi morali pur di tutelarne gli interessi – veri e presunti tali –, allora si vede ad evidenza che c’è qualcosa di disordinato o, comunque, non conforme alla parola di Gesù, in un tale modo di fare.

Gesù non chiede di maltrattare o mortificare la dignità della famiglia o delle persone; al contrario vuole la pienezza della loro gioia, che si ottiene solamente ascoltandolo e praticando ciò che si è ascoltato da lui. Qui interviene la seconda difficoltà, che deriva da una insufficiente concezione della libertà corrente al giorno d’oggi. Questa concezione esalta la totale autonomia dell’individuo, che deve poter scegliere e decidere autonomamente ciò che vuole e malsopporta che ci sia qualcuno a dirgli come e cosa deve fare o no. Oggi è facile sentirsi chiedere: e perché devo ascoltare questa parola? Credo che la risposta sia semplicemente: perché chi la pronuncia è fedele ed è in grado di mantenere la parola data. In nessun altro è possibile trovare la felicità che egli promette, tantomeno in noi stessi e nelle nostre capacità. Ma c’è di più: ascoltarlo e seguirlo non è perdere la propria libertà, bensì realizzarla e potenziarla, perché con Gesù e con Dio noi esprimiamo noi stessi con la più grande verità e spontaneità.

Qual è, allora, la parola che oggi Gesù ci vuole dire? Egli ci parla innanzitutto proprio attraverso Maria, la cui persona diventa il messaggio più eloquente. Infatti ella non si sente turbata o scartata o anche solo messa al secondo posto dalle dure parole di Gesù. Infatti lei è la prima discepola di Gesù, colei che mette in pratica la parola di Dio. Ella è colei che ha detto e dice per sempre: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola», e così dicendo realizza pienamente se stessa nella verità e nella libertà. Lei è davvero il nostro modello, colei che vogliamo imitare e invocare, come avete imparato a fare in questi giorni meditando la “Salve, Regina”. Maria è veramente beata, come donna, come sposa, come madre, perché ha ascoltato Dio. Sono queste infatti le parole che le rivolge la cugina Elisabetta: «E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Un’altra parola di Dio ci viene dalle circostanze che ci impediscono di esprimere secondo la più antica tradizione la nostra devozione a Maria, con la processione e le altre manifestazioni esterne. Su questo punto dobbiamo sentirci mossi non solo dalla necessaria prudenza – non certo dalla paura! – per prevenire la diffusione del virus che ancora ci minaccia, ma anche da un senso di delicatezza e di attenzione alle persone. Le distanze e la riduzione di contatti che dobbiamo mantenere non devono allontanarci gli uni dagli altri, non renderci più freddi, sospettosi e indifferenti, devono invece farci scoprire una capacità più profonda di attenzione e di relazione, meno superficiale ed esteriore, e più interiore, più intuitiva, più cordiale e disponibile all’aiuto, al sostegno, alla premura. Paradossalmente, questa costretta lontananza ha il potere di annullare quella falsa vicinanza, confusione e promiscuità in cui ci sembrava di essere così vicini mentre in realtà era grande la distanza reale e spesso l’anonimato delle persone, ridotte a numeri e a cose, sopra cui passare impunemente. Bisogna riscoprire il volto e l’identità di ciascuno; non il volto che la mascherina – almeno in parte –deve continuare a nascondere, ma quel volto interiore inconfondibile che solo gli occhi bastano spesso a rivelare e che parlano di sofferenza e di gioia, di drammi e di fatiche, diventando così appelli alla solidarietà e alla fraternità.

Una parola ancora è oggi per noi la restituzione della icona medioevale di Maria al suo originario splendore dopo il restauro recentemente realizzato. Questa parola ci dice di una lunga storia di fede e di devozione che forma anche la nostra identità attuale e ci conferma nella fede tramandata e ricevuta che ha plasmato la comunità che qui si raccoglie non solo ogni anno. Il segno è bello: una antica e suggestiva icona che si lascia guardare con rinnovata ammirazione e ancor più potente affetto. Ma il segno deve toccarci veramente, e lo fa se scopriamo che anche noi abbiamo bisogno di un rinnovamento profondo. Il nostro restauro è la conversione del cuore, quell’ammorbidimento che si disfa come scorie di tutte le durezze che ci siamo costruiti addosso per difenderci gli uni dagli altri, se non addirittura per imparare meglio a scagliarci gli uni contro gli altri. Il Signore ci dia davvero, dal profondo del cuore, lo splendore di Maria SS. Assunta, che gioisce della misericordia di Dio non solo per sé ma per tutti i suoi figli.