Omelia per la Santa Messa del Mercoledì delle Ceneri (26/02/2020 – Cattedrale di Latina)

26-02-2020
OMELIA

Le Ceneri

Cattedrale di S. Marco, 26 febbraio 2020

+ Mariano Crociata

Un senso di gratitudine promana dalle letture che abbiamo ascoltato. Senza pericolo di vanificare il clima penitenziale della Quaresima che oggi iniziamo, un sentimento di fiducia pervade il nostro animo al sentire l’invito pressante e quasi l’implorazione che proprio il Signore rivolge a noi: lasciatevi riconciliare, ritornate a me. È l’invito di un padre quello che ci raggiunge oggi, e noi avvertiamo, dietro l’oppressione interiore e il rimorso per le nostre colpe, che il Padre, Dio, ci ama, qui e ora, così come siamo, desiderando solo cancellare tutto il male e il peso del peccato che ci schiaccia. Scopriamo, così, che la resistenza maggiore al cambiamento e alla conversione viene da noi, dall’attaccamento all’immagine che abbiamo di noi stessi e dall’orgoglio di chi non si rassegna e non si perdona perché non è perfetto, non ha nulla da dimostrare a Dio e agli altri di una presunta superiorità e autosufficienza che ci eravamo costruiti addosso nel nostro illusorio autocompiacimento narcisistico. È così sottile il velo che ci impedisce di guardare al Padre, eppure facciamo fatica a squarciarlo. Ci vuole poco a liberarsi della zavorra di inutili sensi di colpa, e presentarci a Dio per ciò che siamo, con le nostre miserie e le nostre fragilità, ma non per rimanerne vittime, ma per lasciarci abbracciare dal Padre e per venirne fuori. Accettiamo di essere così come siamo e accogliamo l’invito a ritornare al Signore, a lasciarci riconciliare e perdonare per cominciare a cambiare veramente; non solo ne abbiamo bisogno, ma soprattutto siamo chiamati a farlo, ce lo chiede Lui, personalmente.

Tutta la Quaresima che abbiamo dinanzi è il tempo propizio per un tale ritorno e per la riconciliazione in risposta al Padre che invita e chiama. Come risponderà ciascuno di noi? Certamente attraverso le opere che il Vangelo ci richiama: il digiuno, la preghiera, la carità. Possiamo cominciare da un aspetto che tocca soprattutto la preghiera ma non è estraneo al digiuno e alla carità. Una delle cose che riscopriamo, in questo anno dedicato alla pastorale dell’infanzia, è il bisogno di silenzio che i bambini hanno e che spesso viene disatteso perché ne vengono privati da un continuo e assordante chiasso; è il bisogno di rimanere con se stessi, di giocare e trastullarsi, di fantasticare a partire da cose spesso piccole e banali della quotidianità; è la possibilità di stupirsi e di meravigliarsi alla scoperta di una realtà che si rivela sempre infinitamente più ricca di ciò che appare visibilmente a uno sguardo superficiale. Se vogliamo aiutare i bambini a crescere, dobbiamo custodire questa profonda esigenza, che non annulla le altre esigenze di dialogo, di festa, di gioco, di accudimento e di manifestazioni di affetto e così via. In realtà oggi facciamo fatica a salvaguardare questo profondo bisogno dell’infanzia, che tanta affinità conserva con l’affinamento di una sensibilità spirituale, perché noi adulti per primi abbiamo perduto la capacità di silenzio e di ascolto della realtà. Il Vangelo di oggi ci invita non a caso con queste parole: «quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto». Abbiamo ridotto la preghiera alla sola celebrazione, ma se la celebrazione è la forma più alta del culto cristiano, non per questo è l’unica, perché, per respirare il clima proprio del vero culto a Dio, essa ha bisogno di interiorità, di preparazione, di silenzio appunto, come luogo in cui soffia interiormente il vento dello Spirito. Il ritmo della preghiera è come quello del cuore, dalla celebrazione alla preghiera personale e viceversa, dalla parola al silenzio e dal silenzio alla parola, dal canto e dal gesto all’intimo raccoglimento della meditazione e della contemplazione. Impariamo allora questo silenzio vivificante, la preghiera silenziosa che coltiva l’intimità divina e il senso della presenza a Dio e alla profondità di se stessi indivisibilmente. Cominciamo da questo, per arrivare appropriatamente a compiere tutto quanto il Vangelo ci chiede.

E per chiudere, vorrei ritornare al senso di gratitudine che ho evocato all’inizio. C’è un motivo in più per sentirci animati dalla gratitudine, se pensiamo a quei tanti fratelli e sorelle che in diverse diocesi e parrocchie italiane, oggi e in tutti questi giorni, non possono radunarsi per celebrare insieme perché impediti dal pericolo del contagio. Dobbiamo apprezzare la grazia di essere qui a celebrare, e ricordarci di loro e di quanti sono in ansia e impegnati per responsabilità sanitaria o lavorativa di qualsiasi genere a contrastare l’emergenza in corso. Dobbiamo guardarci dall’alimentare agitazione e paure, perché le misure prudenziali da seguire nascono solo dalla doverosa esigenza di prevenzione e non da altro, poiché la situazione sanitaria è sotto controllo. Apprezziamo piuttosto ancora di più i doni di cui possiamo godere, a cominciare dalla stessa vita e dalla salute, e poi dal dono degli affetti familiari e amicali, soprattutto della grazia della fede e della comunità ecclesiale, nella quale riceviamo la Parola e i sacramenti, la possibilità di lodare e ringraziare Dio ogni giorno, la gioia del silenzio orante nella ricerca dell’intimità divina senza dimenticare gli appelli alla comunione fraterna.