Omelia per la consacrazione dell’altare della chiesa di S. Benedetto (11/07/2020 – Parrocchia S. Benedetto, Latina)

11-07-2020

OMELIA

Latina, parrocchia di S. Benedetto

Borgo Piave, 11 luglio 2020

+ Mariano Crociata

La celebrazione di oggi condensa una tale molteplicità di motivi di riflessione e di preghiera da rischiare di lasciarci dispersi e un po’ confusi. Abbiamo ascoltato le letture bibliche della domenica ma celebriamo la festa di Benedetto abate, patrono della comunità parrocchiale e primo patrono d’Europa, soprattutto abbiamo inaugurato l’ambone, benediremo il battistero e consacreremo il nuovo altare. Al di là delle apparenze e della elencazione, non si tratta di cose così lontane tra loro; tutto si ricompone se cogliamo come un percorso ciò che stiamo compiendo nel rito e che siamo invitati a imparare a percorrere sempre di nuovo nella nostra vita personale e in quella della comunità tutta.

Se fate caso alla successione dei gesti e alla disposizione dei segni, potete notare come il primo lo abbiamo compiuto all’ambone, il secondo riguarderà il battistero, il culmine sarà l’altare. I nostri sensi, l’udito, la vista e l’olfatto, ma anche il tatto e il gusto, percepiranno e condivideranno con la sensibilità loro propria questo percorso attraverso l’ascolto (ma anche l’acclamazione, la preghiera e il canto), l’accensione progressiva della luce, l’infusione dell’incenso e l’incensazione, la partecipazione alla mensa eucaristica. Quella che stiamo compiendo è, certo, una celebrazione della Santa Messa, ma una celebrazione nella quale alcuni momenti singolari ci fanno rivivere l’esperienza che dovremmo fare ad ogni celebrazione, e cioè il cammino pasquale. Non si tratta solo dell’itinerario tipico della Veglia pasquale, ma del suo prototipo sorgivo, e cioè l’evento pasquale, della morte e risurrezione di Gesù, nel quale dobbiamo sempre di più entrare con la nostra vita grazie alla fede che la anima. Stasera dunque riviviamo l’itinerario pasquale come modello di ogni nostra celebrazione e della nostra intera esistenza.

Il primo momento è sempre l’ascolto, perché tutto comincia dall’annuncio evangelico accolto con fede e amore. Le letture bibliche ci parlano proprio di questo servendosi dell’immagine del seme che viene seminato, o anche – come nella prima lettura – dell’immagine dell’acqua che piove dal cielo e irrora e rende feconda la terra. Se Qualcuno non prende l’iniziativa dall’alto, nulla noi possiamo per risollevare le sorti della nostra vita. La parola di Dio è quella potenza che unicamente può fecondare la vita e le nostre persone; e lo può fare se entra dentro di noi per ricominciare dal basso e dal di dentro il percorso della fecondità e della vita che rinasce e riesplode. C’è bisogno, dunque, di una parola dall’alto; ma c’è bisogno anche di una accoglienza umile e disponibile dal basso. Si dà il caso che una parte del terreno non sia accogliente e impedisca al seme di fecondare e di fiorire. Sta tutto qui il mistero della fede, di quella fede che dovrebbe cogliere e accogliere, disporsi, aderire e affidarsi. Ma non è questa la fatica e la gioia di ogni momento della vita di un credente, chiamato in tutte le circostanze e le situazioni a rinnovare la propria adesione di fede con un sempre nuovo sì?

È il sì del personaggio di cui ci parla il capitolo 8 del libro degli Atti, un Etiope, eunuco, funzionario della regina di Candace, il quale mentre è in viaggio legge e cerca di capire un brano dell’Antico Testamento, ma senza riuscirci; si presenta a lui il diacono Filippo, il quale gli parla di Gesù, della fede in lui e della necessità del battesimo per essere salvati. Così, strada facendo, egli, conquistato dalla parola ascoltato, dice a Filippo: «Ecco, qui c’è dell’acqua; che cosa impedisce che io sia battezzato?». Nulla davvero lo impedisce, e così viene battezzato. Il momento che vivremo al nuovo battistero non servirà solo a benedire il luogo liturgico del battesimo dei nuovi cristiani, ma soprattutto a ricordare a tutti noi battezzati che da lì siamo nati e da lì dobbiamo sempre di nuovo rinascere. E infatti rinnoveremo le promesse battesimali.

Dobbiamo smetterla di pensare che il battesimo sia un avvenimento del nostro passato; esso è piuttosto il processo incessante che vivifica il nostro presente. La vita non è altro che un continuo passare dalla morte alla vita, dal peccato alla grazia, dalla vendetta al perdono, dall’egoismo all’amore, e così via. Che cosa pensate che sia venerare e fare festa per san Benedetto se non fare memoria del suo cammino pasquale? Perché egli è santo se non per il suo continuo passare dalla morte alla risurrezione ad ogni momento e ad ogni passo della sua vicenda umana?

Ed ecco che il Signore viene a sostenere e incoraggiare il nostro cammino pasquale, il nostro incessante cammino di conversione, con il dono della sua presenza e del suo stesso corpo, per farci entrare sempre di più in una comunione che lo vede farsi come noi per assimilarci sempre di più a lui. Il sacramento dell’Eucaristia porta a compimento tutta la vita cristiana perché realizza la comunione più grande che sia possibile stabilire – meglio, ricevere – con il Signore e quindi tra di noi, che insieme sediamo alla mensa e mangiamo l’unico pane.

Tutto questo avviene sull’altare e grazie all’altare. Bisogna aggiungere qualche parola necessaria in proposito. Quello che stiamo compiendo vede l’altare e gli altri luoghi dello spazio celebrativo venire rinnovati. Non solo in questa circostanza speciale, ma ordinariamente, noi osserviamo prima la costruzione dell’edificio sacro e poi, in essa, l’altare e tutto il resto. Anche materialmente è questo l’ordine di successione temporale. Nell’ordine dei significati e del senso originario le cose non stanno così. Prima di tutto viene l’altare. Infatti non è necessario un edificio per celebrare l’Eucaristia, ma è sempre e assolutamente necessario l’altare. E questo si spiega facilmente. Tutto nella salvezza nasce non dall’uomo ma da Dio, e precisamente dalla morte e dalla risurrezione di Gesù. Solo perché è morto ed è risorto, Gesù convoca i credenti in lui, dona loro il suo Spirito e li rende Chiesa, dà loro la forma della Chiesa. La Chiesa non è il risultato della nostra iniziativa, non siamo noi che ci organizziamo e facciamo la Chiesa; è il Signore che ci dà la Chiesa, che costituisce la Chiesa e poi ci convoca, ci invita ad entrare e a farne parte.

L’altare condensa in sé la presenza del Cristo, l’altare è Cristo che muore e che si dà in cibo per noi, è luogo del sacrificio e mensa della fraternità; e l’annuncio pasquale che viene proclamato dall’ambone è reso possibile dal Cristo che muore e risorge e trova pienezza nella comunione sacramentale. Lo stesso battistero segna il passaggio da morte a vita dopo l’ascolto della parola e il dono della fede ma orientando il nuovo nato alla vita di Dio nella comunione eucaristica. L’altare dunque è il centro. Nel simbolismo dell’edificio sacro, l’altare è Cristo e il Cristo è sull’altare. Vi dirò perciò una cosa che vi potrà sembrare sconcertante ma è vera: l’altare viene prima del tabernacolo, l’altare è più importante del tabernacolo, non perché il sacramento eucaristico non sia il vertice di tutta l’economia sacramentale cristiana, ma perché solo sull’altare si può compiere la rinnovazione del sacrificio, la celebrazione del sacramento eucaristico, la consumazione della comunione sacramentale. Nel tabernacolo si conserva ciò che solo sull’altare nasce, prende vita, si realizza, perché l’altare è il monte in cima al quale Gesù muore, si offre al Padre e si dona ai fratelli nell’atto di amore supremo che il Padre accoglie incondizionatamente restituendogli la vita piena con la risurrezione.

Oggi abbiamo la grazia di partecipare a un rito straordinario, affinché, ogni volta che qui celebriamo, riviviamo il mistero da cui siamo generati, e alimentiamo così la nostra vita di ogni giorno facendola diventare tempo di conversione e di continua rinascita. È l’augurio che ci scambiamo ed è la preghiera che affidiamo all’intercessione del nostro patrono, il santo abate Benedetto.