Omelia per il 50° della dedicazione della chiesa parrocchiale di Borgo Carso (19/09/2020 – Borgo Carso, Latina)

19-09-2020

OMELIA

50° di dedicazione della chiesa parrocchiale

Borgo Carso, 19 settembre 2020, liturgia XXV domenica TO A

+ Mariano Crociata

Esattamente cinquant’anni fa, questa chiesa parrocchiale, intitolata a Maria Immacolata, dopo un breve intenso periodo di costruzione, veniva dedicata e aperta al culto. Ciò che rende memorabile questo anniversario è il ricordo della mobilitazione corale dell’intero borgo per trovare le risorse economiche e materiali necessarie alla costruzione di questo edificio sacro. Nessuno rimase estraneo al progetto, sentito come opera comune, frutto della fatica e del lavoro di tutti, frutto della generosità di tutti. Voglio immaginare che sia questo uno dei motivi per cui la festa della Madonna dei campi viene attesa e partecipata con desiderio vivo ad ogni ricorrenza annuale.

Ci sono tante cose in quest’opera comune che è stata la costruzione della chiesa: il bisogno di un edificio religioso per il borgo, il valore socializzante e unificante della partecipazione di una estesa e in parte dispersa collettività, il significato simbolico e identificante di un edificio sacro attorno al quale sentirsi comunità, umana e religiosa insieme. Ma l’elemento decisivo, forse non in tutti consapevole nella stessa misura, deve essere stata quella fede che aveva bisogno di una chiesa per esprimersi adeguatamente in una liturgia comunitaria. Perché altrimenti costruire un edificio sacro?

L’edificio chiesa era e rimane espressione e simbolo di una fede cristiana personale e comune, che deve potersi esprimere esteriormente e pubblicamente; perché la fede non è una questione privata. La fede prende tutta la mia persona e tutta la mia vita, le mie relazioni con gli altri, il mio rapporto con l’ambiente e il mondo. Una chiesa è il simbolo di questa proiezione aperta e universale delle nostre persone e della nostra vita di credenti. Non è solo il luogo del culto; è il centro a cui tende e da cui si diparte tutto ciò che siamo e viviamo, perché in essa si celebra – come stiamo facendo adesso – l’Eucaristia, si rinnova cioè il gesto di Gesù da cui nasce e in cui vive tutto della fede per noi e si comunica la salvezza qui, ora, e per l’eternità. Per questo si compie la dedicazione, di cui celebriamo l’anniversario, perché l’edificio viene in tal modo legato indissolubilmente alla sua destinazione religiosa, ecclesiale e liturgica. Questo edificio esiste unicamente per questo scopo: luogo di convocazione dell’assemblea della comunità ecclesiale che crede e che prega, che ascolta la Parola di Dio e celebra i misteri della salvezza che Gesù ha compiuto nella sua persona, nella sua morte e risurrezione. L’intitolazione a Maria Immacolata, poi, mette sotto l’intercessione e la protezione della santissima madre di Gesù la vita della comunità che qui si raccoglie.

Alla fine la Chiesa consiste proprio nell’assemblea della comunità, cioè in voi qui presenti e in quelli che qui convengono regolarmente per la celebrazione, soprattutto quella eucaristica. E infatti l’edificio così dedicato, intitolato e utilizzato prende nome da noi che siamo Chiesa: chiesa edificio da Chiesa viva, perché è alla comunità dei credenti, che noi siamo, che serve questa costruzione. Senza di noi essa non avrebbe nemmeno senso. Non a caso, in quei luoghi – ormai tanti, soprattutto all’estero – in cui non ci sono più credenti, non c’è più comunità ecclesiale che si raccoglie, le chiese vengono trasformate e usate per tutt’altri scopi rispetto a quello religioso.

L’anniversario, dunque, interpella noi tutti: a cinquant’anni dalla dedicazione che Chiesa siamo? Potremmo dire: la chiesa è stata dedicata per noi, ma noi a chi siamo dedicati, a chi e a che cosa ci dedichiamo? Qui scopriamo a che serve una ricorrenza come questa. Tutti voi forse potrete dire: qui c’è il sudore, il lavoro di mio padre, di mio nonno; e sentirvi orgogliosi per questo. Ma questo è il momento in cui soprattutto ciascuno di voi dovrebbe poter dire: qui c’è la testimonianza della fede di mio padre, di mio nonno; e soprattutto c’è il segno della mia fede, della fede dei borghigiani di oggi. Di qui la domanda: possiamo davvero dire una cosa del genere? Possiamo dire che la comunità umana di questo territorio parrocchiale si identifica attorno a questa chiesa e si sente una comunità cristiana, una comunità di cattolici che non solo tiene all’edificio chiesa, ma tiene alla propria vita di fede e a tutto ciò che discende da quella fede: l’amore di Dio, la fraternità e la solidarietà, la volontà di aiuto reciproco e di attenzione gli agli altri, soprattutto ai più deboli e indifesi?

Sono domande difficili che non dobbiamo rinunciare a farci, soprattutto di questi tempi, nei quali diventa sempre più complicato vivere secondo la logica della fede in un mondo regolato da una ferrea logica economica dell’utile e del profitto. Abbiamo ascoltato la parabola evangelica, e ne rimaniamo alquanto sconcertati per la maniera piuttosto strana di agire di questo padrone, che dà a chi ha lavorato solo un’ora la stessa paga di chi ha lavorato dodici ore. Certo non vuole consigliare a chi di voi è agricoltore di procedere in questa maniera, perché un’azienda agricola rischia il fallimento. Eppure anche a voi, come a tutti noi, ha qualcosa da dire questo Vangelo.

La prima cosa che ha da dire è che Dio ha a cuore ciascuno di noi al di là di ogni merito possibile e al di là di ogni confronto che possiamo fare tra di noi. Dio tiene a me e a te, e farà di tutto per conquistarci e per non perderci. Tutti noi siamo invitati ad essere grati e contenti di questo, non preoccupati di essere trattati meglio o peggio di altri, ma di essere comunque salvati da una bontà divina che non ragiona secondo le nostre meschine logiche calcolatrici.

La seconda cosa che impariamo da questo Vangelo è che, seppure non riusciamo del tutto a capire la bontà sconsiderata di Dio, anche noi dobbiamo almeno apprendere una lezione, se vogliamo dirci ancora credenti in lui. E la lezione consiste nel cercare di trattare la persona, ogni persona, come tale, secondo una dignità intangibile che viene direttamente da Dio e non dipende dal censo, dalle capacità, dalla razza, dalla lingua, dalla simpatia o altro di simile. Noi cristiani oggi siamo chiamati a una testimonianza elementare, secondo cui ogni persona – chiunque essa sia – merita un rispetto e una cura incondizionati. Da questo dovrebbe contraddistinguersi una comunità cristiana, anche questa comunità parrocchiale. La quale non dovrà ricordare, a cinquant’anni di distanza, a ciascuno dei membri del borgo i suoi diritti e i suoi doveri nei confronti della chiesa parrocchiale, ma piuttosto che egli ha un posto qui, perché ha un posto nel cuore di Dio e nel cuore di tutta la comunità, ed è desiderato e atteso al pari di chiunque possa vantare una assiduità di frequenza da tempo immemorabile.

Accogliamo, allora, il senso di questo anniversario e l’invito che ci viene dal Vangelo, per far sì che da questa ricorrenza rinasca una comunità cristiana viva e autentica.