Omelia Messa di precetto pasquale delle istituzioni pubbliche (11/04/2017 – Latina)

11-04-2017

OMELIA

Celebrazione con i dipendenti della prefettura, le forze di polizia, le istituzioni civili e militari, il mondo del volontariato

Martedì santo, 11 aprile 2017

+ Mariano Crociata

La Pasqua non è circondata dal clima emotivamente coinvolgente che è tipico del Natale; tuttavia la sua importanza è di prima grandezza nel panorama delle feste cristiane e, soprattutto, per il senso di fede del popolo cristiano. Tutto per il cristianesimo comincia con la Pasqua, e precisamente con la risurrezione di Gesù. Se Cristo non fosse risorto, non ci sarebbe stato nulla di ciò che il cristianesimo di questi duemila anni ha creato e ci ha lasciato; e lo stesso Cristo Gesù sarebbe uno dei tanti personaggi che la storia ci ha fatto conoscere.

Tra i molti significati che la Pasqua contiene, ce n’è uno che oggi vorrei richiamare a me e a voi. Già la Pasqua ebraica era celebrata come il rinnovarsi di un passaggio. Per gli ebrei il passaggio fondamentale e originario era stato quello del mare, che aveva segnato la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto e l’inizio del cammino verso la libertà in una terra tutta per sé. Quello decisivo era stato il passaggio dalla condizione di schiavitù alla libertà di essere un popolo e una nazione in una propria terra. Fino ad oggi gli ebrei si riconoscono tali grazie a quell’origine, a quel passaggio originario.

In Gesù il passaggio è sempre dalla schiavitù alla libertà, ma non riguarda soltanto una condizione sociale, ma tocca qualcosa di più profondo, come del resto anche per gli ebrei. Gesù intende rispondere alla domanda: che cosa rende schiavi? Che cosa tiene prigionieri e privi di libertà? Certamente bisogna mettere in conto i condizionamenti materiali che limitano la libertà, come avviene in tutte quelle situazioni in cui manca lo stretto necessario per vivere oppure sono troppo limitate le risorse necessarie per soddisfare i bisogni fondamentali della vita, come il denaro, il lavoro, la casa.

Ma è ormai esperienza largamente condivisa che la sicurezza materiale è condizione necessaria ma non sufficiente: essa non basta per raggiungere, e meno che mai per garantire, vera libertà; si può star bene e avere tutto, e ciononostante continuare ad avvertire e a subire il peso di condizionamenti che non si possono definire in termini solamente materiali. Gesù compie un passaggio di tutt’altro genere e su un altro piano, che non finisce di sconcertarci. Esso non riguarda immediatamente ciò che lo conduce dalla morte alla risurrezione, come celebriamo a Pasqua, perché la risurrezione da morte è la rivelazione ultima del passaggio che egli ha compiuto nel corso della sua vita. E tale è il passaggio dal vivere solo per sé al vivere per Dio e per gli altri. Gesù ci ha fatto capire che la vera e la prima libertà è la libertà da se stessi, quella cioè di spendere la propria vita per una causa che la merita veramente. È stato lui a dire: chi vuole salvare la propria vita la perde, ma chi perderà la vita per me e per il Vangelo la salverà. Egli ha speso la vita per gli altri e per il Padre: lì egli è già risorto, così che la vittoria finale sulla morte sarà la piena rivelazione del senso della sua vita.

Questa straordinaria libertà Gesù la dimostra ancor più eloquentemente nel momento supremo e più difficile. Nella pagina di Vangelo che abbiamo ascoltato oggi è Gesù che dice a Giuda, il quale ha deciso e si sta muovendo per andarlo a tradire e consegnare a quelli che lo vogliono morto a tutti i costi: “Quello che vuoi fare, fallo presto”. Sembra volerlo incoraggiare a tradirlo, ciò che appare francamente un atteggiamento insensato: di fronte al pericolo l’istinto induce a cercare in tutti i modi di scamparla, di farla franca, di difendersi e sfuggire al pericolo. Gesù al contrario rimane non solo calmo ma preoccupato per Giuda più che per se stesso; cerca di fargli capire la gravità di ciò che sta compiendo e quasi prende su di sé la responsabilità del tradimento ordinandogli di andarlo a fare subito. Non è preoccupato di sé; è libero da se stesso, dedicato senza riserve alla causa di Dio e al bene dei suoi, compreso Giuda.

Ci stiamo preparando a celebrare e fare Pasqua, ma la celebreremo e la faremo veramente se cercheremo anche noi di compiere quel passaggio di cui la nostra vita ha bisogno. In che cosa ci sentiamo prigionieri di noi stessi, di qualche legame disordinato, di qualche abitudine sbagliata, di qualche intenzione malevola o perfino malvagia, o al contrario di qualche indolenza o pigrizia che non ci fa compiere nemmeno il minimo del nostro dovere, e così via? La Pasqua ci ricorda e fa sperimentare che non siamo condannati a continuare a sbagliare e a non cambiare mai: è possibile cambiare, passare dalla tristezza del peccato alla gioia della grazia, dalla morte dell’egoismo alla risurrezione dell’altruismo, dell’amicizia sincera, del vero amore coniugale e familiare, del gusto per il lavoro fatto coscienziosamente, dell’impegno coerente e disinteressato nello svolgimento di pubbliche responsabilità, del servizio generoso e volontario a favore di chi soffre per condizioni di indigenza e di miseria. Gesù risorto ci annuncia che non siamo condannati a rimanere schiavi del male e del peccato, e nemmeno della mediocrità, della sfiducia, del disfattismo o della indolenza e della noia.

Vi invito a vivere con questa ferma fiducia i prossimi giorni di questa santa settimana e di celebrare la Pasqua con la gioia di poter ricominciare una vita migliore, compiendo quel passaggio, quel salto, che Gesù rende possibile a chiunque si renda disponibile ad accoglierlo e ad affidargli la propria vita. È questo l’augurio che vi voglio rivolgere e che è racchiuso nelle parole: buona Pasqua!