Omelia Mercoledì delle Ceneri (10/02/2016 – Cattedrale Latina)

10-02-2016

OMELIA

Mercoledì delle ceneri

Latina, Cattedrale, 10 febbraio 2016

+ Mariano Crociata

 

Per chi conserva memoria e sensibilità per la Quaresima, il tempo penitenziale che comincia oggi torna come risposta attesa ad un bisogno profondo, bisogno di perdono e di riconciliazione, di conversione e di rinnovamento, di pacificazione e di quiete. Il fatto che non sia più di tutti tale sensibilità e memoria induce a discernere il tempo che viviamo mettendolo a confronto con la Quaresima. Ed è duplice il discernimento da compiere, perché due sono i campi su cui gettare la luce del Vangelo e della fede, la mentalità corrente e la coscienza personale.

La mentalità corrente è sempre più distante dal senso del peccato. Oggi sembra assistere a una rincorsa di tutti ad accusare che la colpa per cui le cose non vanno è sempre di altri. Manca l’idea della possibilità di riconoscersi responsabili di qualcosa. Prevalgono i diritti senza doveri, non ultimo il diritto alla felicità. Nessuno ha niente di cui scusarsi e da farsi perdonare, ma solo vantaggi e premi da aspettarsi.

Capite bene come chi è portatore di simile mentalità, non trovi motivo di interesse in alcuni sacramenti, come la confessione, o in alcune preghiere e formule della liturgia che hanno carattere penitenziale. Al più, ci si adatta all’una e alle altre come a un rito quasi magico, o semplicemente devozionale, che non intacca la coscienza di sé e della propria reale situazione.

È necessario riflettere su questo stato di cose, se non altro perché in assenza di una coscienza di peccato non può sussistere nemmeno il bisogno di perdono e quindi la preghiera e la celebrazione della penitenza e di ogni altro sacramento nella misura in cui tutto questo suppone, invece, la realtà del peccato, in modo tale che sul peccatore possa essere invocata ed esercitata la misericordia.

A volte si ha l’impressione che l’appello alla misericordia serva non ad aprirsi alla riconciliazione e alla conversione, ma solo a riconoscere e premiare la condizione in cui uno si trova senza alcuna richiesta di cambiamento. Così la misericordia viene confusa o ridotta a tolleranza, comprensione indiscriminata, indulgenza incondizionata, in altri termini approvazione dello stato di cose e delle abitudini consolidate; salvo poi doversi lamentare che troppe cose non vanno e cercare un capro espiatorio, reale o simbolico che sia. Il risultato è alla fine lo snaturamento e quindi la perdita della misericordia. Quando non si ha nulla da farsi perdonare, non si ha nemmeno alcuna misericordia da ricevere e da accogliere.

L’inizio della Quaresima ci chiede di verificare qual è il nostro personale atteggiamento e quale quello della comunità con cui condividiamo l’esperienza cristiana. È una verifica necessaria per capire come stiamo veramente in relazione a Dio. Le letture proclamate suppongono che siamo consapevoli e riconosciamo di essere peccatori o comunque responsabili di qualcosa di negativo e perciò bisognosi di misericordia.

E se abbiamo tale consapevolezza, allora scopriamo il significato della Quaresima cristiana, nella quale non trova spazio alcuno il senso di tristezza, perché l’incontro con la misericordia apre alla gioia. La gioia e la libertà scaturiscono dall’esperienza e dalla certezza di fede di essere realmente perdonati, liberati dalla schiavitù del proprio peccato e risollevati da sotto il suo peso schiacciante. È triste la vita di chi non ritiene di avere nulla da cambiare, ma proprio per questo non ha nessuna speranza di miglioramento, di rinnovamento e di nuovo inizio. Non c’è, dunque, bisogno di misericordia se non c’è peccato, ma se non può esserci misericordia allora il nostro orizzonte rimane chiuso e senza speranza. Riconoscere il proprio peccato è già segno e frutto di misericordia, esperienza di sollievo e di liberazione.

E se qualcuno pensa di non riuscire a vedere in sé dei peccati, non deve andare a caricarsi di colpe che non ha, ma piuttosto imparare a scrutare dentro e attorno a sé con la luce e la forza che vengono dalla Parola di Dio e dal suo assiduo ascolto orante. E allora scoprirà che il Vangelo stesso ci mette in guardia da una religiosità esteriore e centrata su di sé, cioè praticata per sentirsi a posto e per avere immagine (farsi vedere, come dichiara il Vangelo), apprezzamenti e riconoscimenti. Esso ci invita piuttosto a pregare, digiunare e fare carità non per sé, ma unicamente per l’amore e la gloria di Dio. E questo è il termine di un cammino senza fine, rispetto al quale si è sempre indietro e in ritardo, in difetto e in peccato.

Cerchiamo allora di accogliere l’invito insistente del Signore a lasciarci riconciliare e a tornare alla piena comunione con lui: al solo ascoltarlo dovrebbe allargarsi il nostro cuore e aprirsi alla gioia e alla speranza di saperci cercati e amati da Dio. E anche l’invito a lacerarci il cuore per il dolore dei peccati, che ci rivolge il profeta Gioele, non è diretto a suscitare un dolore cupo e disperato, ma a conoscere l’esperienza dell’amore tradito e deluso e della gioia di poterlo riparare e riconquistare riaccogliendolo con incondizionata apertura e corrispondenza.

Siamo qui radunati come comunità penitente, solidale nel peccato ma soprattutto nell’esperienza della misericordia elargita senza misura dal Signore e condivisa tra di noi. Testimoniamoci l’un l’altro questa coscienza e questa gioiosa esperienza, per far crescere attorno a noi e diffondere tra tutti rinnovata esperienza e vera cultura di misericordia.