Omelia Martedì Santo “Messa per la Prefettura e le istituzioni” (22/03/2016 – Latina)

22-03-2016

OMELIA

Martedì della Settimana Santa

Celebrazione per la prefettura e le forze istituzionali

Latina, Cattedrale, 22 marzo 2016

+ Mariano Crociata

 

Siamo ormai prossimi al Triduo pasquale e la Chiesa ci invita a meditare su ciò che accade non solo attorno a Gesù, ma anche dentro di lui, nel suo animo sottoposto al drammatico passaggio del momento supremo della sua vita, quello della cattura, della tortura, della condanna e poi della crocifissione e morte. Anche il brano di Isaia, seppure scritto almeno sei secoli prima di Cristo, ci aiuta a capire il suo stato d’animo e l’atteggiamento spirituale con cui egli si dispone ad affrontare la prova più difficile. Gesù non viene esonerato dalla tentazione dello scoraggiamento, quella che afferra ciascuno di noi quando facciamo l’esperienza di un fallimento o di una sconfitta, quando tutto sembra inutile e vano ogni sforzo e fatica. Ma la tentazione è solo un attimo, per Gesù; egli si riprende subito al pensiero di essere stato chiamato fin dal seno materno, prescelto dal Padre per una missione che lo rende spada affilata, freccia appuntita; Dio è per lui forza, luce, e ancora diritto, ricompensa, onore.

Capita anche a noi talvolta di sentire, in mezzo alle difficoltà ordinarie e straordinarie della vita, di essere investiti di una forza che non viene da noi, di una fiducia e di un coraggio che non ci fanno arrendere nemmeno nei momenti peggiori. Chi ha fede conosce questa esperienza, anche se essa può essere capita e condivisa da chiunque coltivi grandi ideali e abbia avuto in dono legami solidi e affetti profondi.

Gesù non si perde d’animo anche se non conosce tali affetti e legami, e si ritrova solo proprio nel momento in cui ne avrebbe maggiormente bisogno, come abbiamo sentito nel Vangelo di oggi. Non solo Giuda, il traditore, gli rema contro e si prepara a consegnarlo a chi lo vuole morto, ma perfino Pietro, il primo e il principe degli apostoli, è già pronto a rinnegarlo non appena si sentirà sfiorato dal pericolo per la sua sicurezza e per la sua incolumità. La forza di Gesù sta unicamente in Dio suo Padre, al quale ha dedicato e consegnato tutta la sua persona e la sua vita. Questo mediteremo nei giorni a venire di questa settimana fino a Pasqua.

E meditare su Gesù tradito, catturato e portato al patibolo è ciò che di meglio possiamo fare per celebrare bene la Pasqua; soprattutto per imparare e diventare capaci di pensare e di vivere come Gesù stesso. L’esempio di infedeltà di due suoi apostoli, come Giuda e Pietro, devono servirci come severo richiamo di fronte alla tentazione di venir meno alla parola data, all’amicizia sincera, alla fedeltà al dovere, al senso della giustizia, alle responsabilità nell’adempimento del proprio compito umano, professionale e istituzionale.

Oggi non fa più scalpore e nemmeno notizia il tradimento di una persona, di un’idea, di un impegno. Per molti è diventato normale, anche solo per una momentanea convenienza, lasciar perdere la famiglia, tradire un’amicizia, cambiare casacca, come si suol dire. Non si comprende, però, dietro questi e simili comportamenti, quali ad esempio tutte le forme di corruzione, che il vero tradimento si consuma verso se stessi, verso la propria coscienza. Il vero dramma consiste nella incapacità di rendersi conto della gravità di tale tradimento della propria coscienza, poiché così facendo si annulla la propria personalità, si mette sotto i piedi la propria stessa dignità, si perde la faccia di fronte a se stessi prima che di fronte agli altri.

Avete notato come Gesù si rivolge a Giuda prima e a Pietro dopo? In fondo, con immutata amicizia, con preoccupazione e premura. Pensate: come reagirebbe ognuno di noi in presenza di un amico che ci sta tradendo e sta tramando dietro le nostre spalle a nostro danno? Chi riuscirebbe a frenare la rabbia e l’odio che una tale circostanza susciterebbe in noi? E invece Gesù rimane calmo e ragiona con i due, quasi a volerli convincere e far ragionare per farli tornare sui propri passi. Gesù non teme per sé; sa che il suo destino dipende da Dio Padre e sa che il Padre non lo abbandonerà mai. Perciò si preoccupa di Giuda e di Pietro; non per sé, ma per loro stessi, per il male che si stanno facendo da soli.

Anche a noi Gesù dice di recuperare il senso della nostra dignità e del nostro vero bene, senza cedere ad atteggiamenti e comportamenti che tradiscano la rettitudine della nostra coscienza, la fedeltà al nostro dovere e alle nostre responsabilità. Non accontentiamoci di rispettare e fare rispettare la legge, ma cerchiamo di volere sinceramente e, se possibile, amare il bene che la legge indica. La nostra società rischia di deperire non solo per l’illegalità diffusa, da combattere comunque con fermezza, ma soprattutto per la perdita di affezione ai valori che hanno generato e giustificano la legge, e cioè la ricerca del bene comune, la dignità di ogni persona, il senso della giustizia, il gusto del lavoro fatto bene e altro ancora.

Vi auguro che la Pasqua rinnovi in me e in voi il senso di quella verità e di quel bene che Gesù ci ha mostrato capaci di dare compimento alla persona umana e alla vita anche se si trova ad essere afflitta e perseguitata. Facciamo di questa Pasqua un’occasione per ritrovare noi stessi, al fondo della nostra coscienza, là dove le acque sono calme, come il fondo del mare, perché lì riposano le vere ragioni del nostro vivere, la nostra fede, il nostro amore, il desiderio di vita e di infinito che Dio ha depositato in noi e in Gesù risorto ora promette di portare compimento.