Omelia convegno Pastorale universitaria (16/03/2017 – Roma)

18-03-2017

OMELIA

Giovedì della II settimana di Quaresima

Convegno sulla pastorale universitaria

Roma 16 marzo 2017

+ Mariano Crociata

 

La presentazione liturgica di brani della Scrittura introduce sempre un effetto di reciproca contestualizzazione delle letture o, quanto meno, suggerisce possibili collegamenti. Il passo del profeta Geremia (17,5-10) probabilmente fa riferimento alla fiducia illusoria riposta dal popolo sulla forza del re e dal re sulle sue alleanze politiche e militari, destinata a restare miseramente delusa. Solo la fiducia in Dio conduce a salvezza.

Anche l’uomo ricco della pagina di Luca (16,19-31), che banchetta lautamente, può essere senza forzature calato nello schema della categoria dell’uomo che confida nell’uomo, cioè in se stesso e nelle proprie abilità e risorse, e si appaga del benessere e del godimento presenti. Questa vana e mal riposta fiducia lo rende cieco: egli non si accorge nemmeno di Lazzaro che alla porta brama inutilmente di ricevere anche solo i resti dei suoi pasti di gaudente. La sua falsa fiducia rende cieco il ricco non solo nei confronti di Lazzaro, ma anche verso le conseguenze del proprio tenore di vita e quindi verso il proprio futuro definitivo. Quando questo arriva è già troppo tardi, perché egli è costretto a scoprire che è qui sulla terra, nel tempo in cui si può vivere solo di fiducia, che bisogna avvedersi di ciò che merita e di ciò che invece non merita fiducia.

L’accostamento delle letture suggerisce che la questione cruciale posta dal Vangelo non ha primariamente carattere morale e non ha di mira una pur doverosa e caritatevole elemosina, bensì tocca l’orientamento di fondo che anima e guida l’esistenza dell’uomo. Lazzaro muore di fame perché l’uomo ricco non lo vede, lo ignora con ottusa indifferenza. E non lo vede e lo ignora perché è pieno di sé, non vede solo che se stesso, conta e si fida solo di sé e del suo godimento.

Che cosa può dire tutto questo alla riflessione di questa giornata di convegno e all’impegno pastorale in università? Il compito dell’università ha molto a che fare con la capacità di vedere, di capire, di discernere. In università, infatti, si dovrebbe stare per affinare il senso di osservazione e lo spirito critico. Il suo primo impegno dovrebbe essere formare la persona in maniera intellettualmente eccellente, come direbbe John Henry Newman, capace per equilibrio e maturità di giudicare in maniera retta e vera, prima che fornire le competenze necessarie per l’esercizio di una professione o lo svolgimento di una attività.

Queste possono sembrare oggi espressioni e concezioni anacronistiche, di altri tempi. Eppure è proprio ciò di cui c’è maggiormente bisogno: costruire la persona nella sua sana capacità di intelligenza, di giudizio, di decisione e di azione. In tal senso la pastorale universitaria sembra dover tornare sempre a imparare a farsi carico di una educazione dell’umano che comunichi intimamente al cuore stesso dell’esperienza cristiana. Essa pone domande elementari alle quali nessuno può sottrarsi: di che cosa e di chi ci si può fidare? A chi affidare, a chi consegnare la propria vita sicuri che essa non verrà maltrattata e tradita, ma promossa e condotta a pienezza? Come si impara a giudicare chi e che cosa sia affidabile e chi e che cosa invece no? Che cosa ci permette di tenere gli occhi aperti sulla realtà, per vedere che cosa c’è veramente dinanzi a noi, che cosa conta ed è veramente importante?

Il senso umano e vocazionale di tali domande è fin troppo evidente. A rimuoverle si consegue solo – come nel caso dell’uomo ricco della pagina evangelica – un risultato fallimentare, non solo in ordine al destino definitivo, ma anche per la qualità umana di una persona e insieme per la sua fede e il senso cristiano della sua vita.

Affidiamo alla luce e al calore dello Spirito il cammino dei nostri universitari e chiediamo al Signore per noi la capacità di accompagnarli sulla via della fiducia in lui che mai delude attese e speranze di vita e di salvezza.